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Lo stato di prostrazione dei lavoratori RAI è la prova di un servizio pubblico servo del mercato della comunicazione

Post n°6823 pubblicato il 20 Agosto 2012 da cile54

I duemila precari che faranno causa alla Rai

Il popolo delle partite Iva in Rai è in subbuglio. Si tratta di circa duemila persone che viene pagato con la partita Iva e, secondo la nuova riforma Fornero, potrebbe essere considerato lavoratore dipendente. Ne parla il Corriere:

La riforma Fornero rischia di far saltare delicati equilibri (cioè posti di lavoro e compensi) in quella fascia contrattualmente debolissima di forza-lavoro esterna alla Rai che, secondo i calcoli di «Iva party» (una delle associazioni di base) costituisce da un terzo alla metà di tutto il personale di redazione dei programmi di intrattenimento e di approfondimento giornalistico, ad esclusione delle testate. Per fare un esempio citato nella memoria affidata ai nuovi vertici Rai, in una redazione come Ballarò di Raitre lavorano venticinque persone.

Di queste undici sono esterni a partita Iva:

Cinque redattori, quattro inviati e due autori. Il punto è semplice e riguarda, appunto, il nutrito «popolo delle partite Iva»: registi, autori di testi, esperti, presentatori, conduttori. In massima parte composta da trenta-quarantenni. Laureati, quasi sempre titolari di conoscenze professionali molto specifiche e innovative. Comunque precarissimi. La riforma Fornero, in estrema sintesi, dichiara «falsa » quella partita Iva che superi gli otto mesi di contratto presso lo stesso imprenditore, che attribuisca al lavoratore una postazione fissa (tavolo, telefono, obblighi di orario) e che registri l’80% del proprio reddito dalla stessa azienda. Se si verificano due di queste eventualità, il lavoratore ha diritto all’assunzione.

Nella realtà dei fatti, molte redazioni Rai assicurano da anni contratti anche di dieci mesi lasciando solo una pausa estiva:

A Viale Mazzini, tra l’ufficio legale e quello dei contratti, c’è agitazione. La tv pubblica non può reggere un’ondata di cause di lavoro, il catastrofico bilancio non lo permette tecnicamente. Ma è difficile immaginare soluzioni alternative se non a danno proprio delle «partite Iva»: per esempio riducendo a sei mesi la durata dei contratti, quindi raddoppiando numericamente gli ingressi di lavoratori ma amputando inevitabilmente i compensi di chi, magari, lavora da anni nella stessa redazione o nella stessa trasmissione. Una prospettiva amarissima per una fascia sociale già fragile ed esposta a mille variabili. Si legge nella nota di «Iva party»: «Cosa succederà a settembre? Saremo richiamati in azienda? E con quali condizioni? Abbiamo già brutti segnali. Il rischio è che il prezioso vivaio di passioni e competenze che si è creato soprattutto in questo ultimi quindici anni venga falciato da tagli e da condizioni di lavoro ulteriormente demotivanti. Alcuni “atipici” hanno acquisito, loro malgrado, i presupposti per un’azione legale contro l’azienda che vedrebbe in tal modo un’ondata di contenziosi molto dispendiosa.

Alessandro D'amato

19/08/2012 Fonte: giornalettismo.con:

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