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Post n°3556 pubblicato il 07 Luglio 2010 da cile54
Minacce, insulti, persecuzione: sciocchezze. Ai giudici talebani della Cassazione non piacciono le donne che sopportano l’arroganza dei mariti. Troppo “forti”, quindi colpevoli, se non impazziscono per le intemperanze del capo famiglia Quando la moglie resiste alle angherie del marito deve essere condannata Ci sono donne che si sentono – o vengono considerate – “forti”: si stiano attente. Una storia per nulla edificante è alla base di una sentenza della Cassazione riferita, con inadeguata evidenza, dalla stampa. Una signora di nome Roberta, “scossa ed esasperata”, per le “continue ingiurie, minacce e percosse” – suffragate da certificati medici e testimonianza di conoscenti – aveva portato in tribunale il marito e il brav’uomo era stato condannato in primo e secondo appello a otto mesi di reclusione. La difesa di Sandro, che, tra l’altro, aveva parzialmente ammesso le maniere forti, consisteva nella dichiarazione che Roberta era una donna forte, che non si faceva intimorire. Tutti – i maschi in politica in primo luogo – dovrebbero sapere che anche lo stalking, cioè la persecuzione con mezzi non immediatamente diretti (approcci insistenti e non voluti, assedio al domicilio, minacce telefoniche. invasione di e-mail) oggi è reato. Un ragionamento equilibrato ne deduce che i tribunali dovrebbero avere un comportamento tanto più doveroso e coerente nell’applicare le misure già previste per la violenza privata e i maltrattamenti in famiglia. 05-07-2010 |
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