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Aumenta il divario fra Nord e Sud, dove il reddito disponibile è pari al 60% di quello del Nord

Post n°3684 pubblicato il 11 Agosto 2010 da cile54

I consumi continuano a calare nel Meridione,

la disoccupazione cresce

Consumi ancora in calo, soprattutto al Sud. È quanto riporta il Rapporto redatto dall’Ufficio studi di Confocommercio-Imprese per l’Italia, che fotografa una situazione di crisi della domanda di beni e servizi che, a dispetto degli annunci sul superamento della recessione economica, continua a caratterizzare il nostro Paese. «Nel lungo periodo, è in continuo ridimensionamento la quota di consumi nel Mezzogiorno – si legge nel Rapporto –  rispetto al totale nazionale, con una percentuale che passa dal 28,6% del 1995 al 27,3% del 2007, al 26,8% nelle previsioni al 2011; nello stesso periodo, l'incidenza della spesa delle famiglie italiane al Nord risulta, al contrario, in costante crescita sia per l'area Nord-Ovest (che passa dal 29,6% del 1995 al 30,1% nelle previsioni al 2011), che per il Nord-Est (dal 21,2% al 22,3%)». Quindi un Meridione che vede allontanare le proprie capacità di spesa rispetto al Nord. Negli anni della crisi (2008-2009), però, «il calo della spesa ha colpito, in particolare, anche il Nord-Ovest con in testa il Piemonte che ha registrato un calo di oltre il 5%; nel periodo 1996-2007, Valle d'Aosta, Lazio e Veneto sono le regioni con le migliori performance (tutte con una variazione media annua dei consumi prossima al 2%), mentre Puglia, Abruzzo, Liguria e Calabria sono quelle con le minori dinamiche (tutte con una variazione inferiore ad 1 punto percentuale)».

Il Rapporto evidenzia, in ogni caso, che «a livello generale, l'attuale fase di ripresa continua ad essere caratterizzata da una significativa debolezza della domanda delle famiglie, con una particolare accentuazione nelle regioni del meridione, e le previsioni dei consumi per il 2010 sull'intero territorio sono pari a +0,4%, mentre per il 2011 è previsto un leggero miglioramento (+1%)». Inoltre, ciò che dimostra l’aumento del divario fra Nord e Sud, «la quota dei consumi effettuati dalle famiglie del Sud rispetto al totale nazionale è in progressivo ridimensionamento. Questa tendenza, emersa già da tempo, tende a consolidarsi anche negli anni della crisi in considerazione di un'incidenza della spesa del Mezzogiorno che passa dal 27,3% del totale Italia nel 2007 al 26,8% del 2011».

La situazione descritta dal Rapporto dovrebbe far riflettere sulle conseguenze prodotte dalla totale mancanza di una politica economica di incentivi economici verso il Meridione; basti pensare che il reddito disponibile pro capite nel Mezzogiorno continua ad essere pari a poco più del 60% di quello del Nord. La debolezza dei consumi nel Meridione persiste anche tenendo conto che, nel Sud, è molto forte la presenza turistica rispetto e i dati registrano anche gli acquisti della popolazione non residente. Facile immaginare, dunque, come i consumi siano ancora più deboli se si escludono quelli concentrati nelle aree di più alta densità turistica e vacanziera.

Dati sulla produzione: Italia indietro rispetto a Usa e Gran Bretagna

Il ristagno della domanda di beni e servizi, almeno per ora, non sembra essere influenzata dal leggero aumento del prodotto interno lordo. In base alle rilevazioni Istat, il Pil  è aumentato nel secondo trimestre dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dell’1,1% rispetto al secondo trimestre del 2009. Nel secondo trimestre il PIL è aumentato in termini congiunturali dell’1,1% nel Regno Unito e dello 0,6% negli Stati Uniti. Ciò significa che, in termini tendenziali, il PIL è aumentato del 3,2 per cento negli Stati Uniti e dell’1,6 per cento nel Regno Unito.

L’aumento della disoccupazione

Naturalmente la diminuzione dei consumi si accompagna, come conseguenza diretta, alla diminuzione dell’occupazione. Soprattutto nel Mezzogiorno, la mancanza di posti di lavoro segna irreparabilmente la debolezza negli acquisti di beni e servizi. I dati Istat relativi ai primi tre mesi dell’anno sulla forza-lavoro nel Mezzogiorno sono chiari: è in netto aumento la quota di popolazione inattiva perché ha perduto il posto di lavoro: 139 mila persone nel complesso delle aree meridionali, di cui circa 73 mila non riescono a ricollocarsi sul mercato.

Nel primo trimestre dell’anno gli occupati complessivi sono, in Italia, 22 milioni 758 mila. Rispetto allo stesso periodo del 2009, si è avuta una nuova diminuzione, pari a 208 mila occupati in meno (-0,8%). L’industria, con un -5,2%, è il settore produttivo che accusa le perdite più forti di occupazione, seguito da quello agricolo (-3,1%).

Meno occupati, meno entrate per lo Stato

Prosegue senza soste anche la caduta dell’occupazione nell’istruzione, nella sanità e nella Pubblica amministrazione, a causa delle politiche governative di contenimento dei posti di lavoro. Bisognerebbe anche tenere conto che i pesanti tagli imposti dal Governo all’occupazione nel settore pubblico, che determinano un risparmio netto dal lato delle spese, comportano anche una caduta del gettito fiscale (soprattutto per quanto riguarda le imposte indirette), dato che incidono negativamente sul livello dei consumi. Sarebbe quindi il caso di calcolare il risparmio netto che la pubblica amministrazione ricava da queste dissennate politiche economiche, detraendo dai risparmi complessivi la quota relativa al mancato gettito fiscale (il gettito Iva è infatti in costante diminuzione).

Cosimo Pierre

09 Agosto 2010

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