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Esodo estivo: sgomberati in 200, una parte si ribella.Gravissime le parole del prefetto sui profughi e su Rifondazione Comunista

Post n°3685 pubblicato il 11 Agosto 2010 da cile54

Torino, l'odissea di 20 profughi somali

 

Un profugo di guerra eritreo, somalo, afghano o quant'altro è un rompicoglioni pieno di pretese?

Essere profughi significa accettare tutto ciò che arriva da chi "ospita" senza proferire verbo?

Non pochi a Torino leggono la questione "rifugiato di guerra" in questi termini. Infatti nel capoluogo piemontese due giorni fa si è consumata una pagina a dir poco imbarazzante della storia di questa città. La vicenda è annosa e vecchia: due anni fa duecento profughi senza casa occupano una ex clinica abbandonata poco distante dal centro. Entrano in cento, poi diventano duecento, trecento, quattrocento. Le condizioni sono spaventose: senza acqua, senza luce, senza riscaldamento. Passa il tempo e passa pure Agnoletto, al tempo parlamentare europeo, nessuno ovviamente se lo fila. Denunciava la bestialità della situazione. Giunge il primo inverno e dentro la clinica la temperatura scende anche dieci gradi sotto zero. Ci sono neonati e donne. La città osserva freddamente ma non mancano gruppi di volontari, associazioni, centri sociali che forniscono il loro aiuto. Passa altro tempo e si decide che la situazione va risolta. Il Comune fa una scelta forse giusta forse sbagliata, sicuramente impegnativa: sposta tutti i profughi, circa duecento, in una caserma riadattata in via Asti, zona superchic. Apriti cielo e solito circo all'italiana: marce di protesta dei residenti, fiaccolate a lutto, comitati, "la sicurezza, non usciremo più di casa, io ho paura", etc etc.

Chiamparino tiene duro ed i profughi entrano nella loro nuova "casa". Vi rimangono per circa un anno. Vengono investiti 400mila euro in corsi di formazione che qualche frutto danno in termini di integrazione e occupazione. L'insieme dell'operazione voluta dal sindaco regge anche perché le condizioni sono nettamente migliori rispetto alla clinica occupata. Certo via Asti assomiglia proprio ad una caserma: orari inflessibili, controlli, pass, etc. però grazie alla buona volontà di tutti, in primis dei volontari, non si riscontrano particolari problemi.

Poi però forse a causa dei costi, forse a causa dell'utilizzo che si farà della caserma per il prossimo anniversario dell'Unità d'Italia, anche da via Asti i profughi vengono invitati a sloggiare. Le soluzioni alternative proposte sono i dormitori della città, dove si entra la sera, si esce la mattina e durante il giorno ci si arrangia, magari nelle mense.

Quasi tutti accettano in virtù del cartesiano motto "o mangi questa minestra o salti dalla finestra".

Ma una ventina rifiutano: «C'è il Ramadan e non possiamo vagare tutto il giorno per la città senza mangiare e bere con le nostre cose in attesa che giungano le sette di sera. E senza nessuna garanzia di trovare posto». In realtà alcuni profughi dopo aver fatto blocco per oltre due anni temono che la divisione li lascerebbe privi di punti di riferimento in città. Torino, in poche parole, li spaventa.

A questo punto è una gara tra il sindaco, il prefetto, le opposizioni e la stampa forcaiola. Parte il coro: sgombero! E sgombero sia! "Le regole sono regole! Le regole si rispettano!". Un inflessibile ed implacabile qualunquismo detta legge.

Si schierano le truppe davanti ai venti "irriducibili" (così vengono definiti con impavido sprezzo del ridicolo dalla stampa torinese): blindati, pompieri, ambulanze. Un paio di tentativi nell'ultimo mese vanno a vuoto. Fino all'altro giorno quando si arriva allo sgombero. Ma le cose vanno storte: innanzitutto fuori dalla caserma di via Asti mancano i nemici di sempre con cui combattere, cioè i ragazzacci dei centro sociali. Qualche funzionario della questura inizia una trattativa con gli insorti: stallo totale. Fino quando un consigliere circoscrizionale ex Prc, Paolo Salza, ha un'idea: spostiamoli in un vecchio centro sociale sgomberato due anni fa e murato. Per le forze dell'ordine si può fare, per i profughi anche, sempre meglio che essere cacciati con le cattive. Arriva un bus del Comune (chi dà l'ordine all'autista?) e qui inizia una scena da girone dantesco: i venti lo stipano con le loro misere cose: materassi, reti, fornelli, calze, saponi, scatole, cibo, vestiti, coperte... Giunti in corso Chieri, altra zona bene di Torino, si trovano davanti ad una casa fatiscente e murata: è l'ex Valena. I venti scendono dal bus e a colpi di mazza abbattono un muro sotto lo sguardo di poliziotti, fotografi, giornalisti, politici, gente che passa. Entrano e trovano una specie di discarica a cielo aperto e qui si accampano.

Ma ovviamente le tragedie si trasformano sempre in farse.

Gli occupanti vengono denunciati. Il prefetto Padoin sbraita di "calci nel sedere" ed "hanno rotto", più parole pesanti verso il gruppo di Rifondazione. Risponde il segretario regionale del Prc Armando Petrini: «Le parole del prefetto Padoin lasciano sbigottiti. Padoin confonde colpevolmente piani diversi. Un conto è il rispetto della legalità e dei diritti dei cittadini. Un altro l'utilizzo di un linguaggio francamente proto-fascista, fatto di "calci nel sedere" e "hanno rotto". Di fronte a un dramma sociale delle dimensioni che abbiamo visto, e che ha coinvolto in un'iniziativa solidale forze politiche e associazioni, l'atteggiamento del prefetto ricalca evidentemente il clima cupo e pesante di questa Italia che continua a minacciare rigurgiti fascistoidi. Le parole di scherno nei confronti di Rifondazione, poi, da parte di un Prefetto, si commentano da sole».

Anche Renato Patrito, segretario Torinese Prc, risponde al Prefetto: «Padoin dovrebbe essere più cauto quando parla. Rifondazione, purtroppo, non può comandare un autobus e relativo autista. Ben venga quindi l'indagine, scoprirà che l'ordine non può che essere arrivato da qualche assessore che ora tace. Certo stupisce che un funzionario dello Stato utilizzi un lessico così violento».

Chiamparino invece se la prende con la Questura perché «l'operazione fatta alla presenza dei funzionari e con il loro avallo non ha senso. Chiederemo alla Prefettura lo sgombero immediato della struttura. Ho chiesto all'assessore Viano di dare disposizioni al responsabile della cartolarizzazione anche perché non sappiamo quali condizioni di sicurezza ci sono all'interno dell'edificio». Ovviamente poi accusa i sempreverdi centri sociali di essere dietro la cocciutaggine dei famosi venti "irriducibili".

«Noi la nostra parte l'abbiamo fatta - dice l'assessore ai Servizi sociali Marco Borgione - In undici mesi abbiamo lavorato per gestire 230 persone dando una risposta diversa da quella data in altre città italiane, cioè gli sgomberi. Ora - conclude - questa situazione non riguarda più i servizi sociali». E chi riguarda?

E adesso? Possibile che si usi la forza contro venti disgraziati che fuggono da guerre e torture? Possibile che le istituzioni torinesi vivano questa presenza irrisoria in città in maniera così intransigente? Sono questi poveracci i nostri nemici con cui far valere le famose "regole"?

Maurizio Pagliassotti

11/08/2010

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