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Sarà presentata ufficialmente il 25 settembre a Ferrara, nel quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi

Post n°3768 pubblicato il 05 Settembre 2010 da cile54

Vittime delle forze dell’ordine: le famiglie danno vita a un’associazione

 

«Continuare a parlarne è la forma più duratura di giustizia». Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi ucciso il 25 settembre 2005 da quattro poliziotti, ha ancora voglia di far sentire la sua voce. Ma perché abbia più forza l’ha unita a quella delle famiglie Bianzino, Cucchi, Giuliani, Sandri e Uva. Nel quinto anniversario della morte di Federico, a Ferrara, verrà presentata l’associazione famiglie delle vittime delle forze dell’ordine. Quel giorno sarà anche la prima nazionale del documentario di Filippo Vendemmiati sul caso Aldrovandi.

«Sarà un’associazione aperta – racconta Patrizia Moretti – che nasce con due obiettivi: lavorare perché nessuno debba più vivere ciò che è accaduto a noi e ricucire il rapporto con le istituzioni». La madre di Federico tiene infatti a ricordare come, in questi anni, non abbia mai generalizzato le accuse, ma abbia sempre distinto i colpevoli dalle persone oneste. «Ho accusato di omicidio i quattro agenti condannati nel 2009 – precisa – e di depistaggio e falso i loro colleghi che hanno cercato di nascondere quanto era accaduto, mai la polizia nel suo complesso».

Quello del poliziotto è un mestiere delicato, «che va fatto con coscienza». È per questo che la madre di Federico sostiene l’importanza di una selezione sugli ingressi e della formazione. E parla della necessità di poter identificare gli agenti, cosa che oggi non è possibile. La strada da fare è ancora lunga, ma lei non si tira indietro ed è convinta che ognuno nel suo piccolo possa fare qualcosa. «Non credo che la gente voglia una polizia di cui avere paura – afferma –. Anche per questo la legge deve essere uguale per tutti. Oggi, purtroppo, non è così».

La notizia della decisione di costituirsi in associazione arriva a pochi giorni dall’anteprima veneziana del documentario «È stato morto un ragazzo» [8 settembre nelle Giornate degli autori]. «Il titolo è una sgrammaticatura, ma riflette la realtà. Abbiamo lottato a lungo contro le versioni ufficiali che via via ci venivano raccontate – racconta Patrizia Moretti – e che, puntualmente, venivano smentite».

Patrizia Moretti si aspetta molto dal film di Vendemmiati, «l’unico», a suo parere, che potesse girarlo. Il regista, di origine ferrarese, era un conoscente della famiglia [compagno di scuola di Lino Aldrovandi] a cui, durante la lavorazione, si è avvicinato molto. «Ha seguito il processo fin dall’inizio e conosceva bene la vicenda – chiarisce la madre di Federico – ma il film gli ha permesso di approfondirla sia dal punto di vista giornalistico che da quello umano».

Una conoscenza, quest’ultima, che, secondo Patrizia Moretti, è mancata a Mariaemanuela Guerra, il pubblico ministero a cui era stato assegnato il caso e che «non ha mai cercato di sapere chi era mio figlio o che cosa aveva fatto quel giorno. Non le importava di lui». Tanto che per i primi quattro mesi il fascicolo dell’indagine rimase vuoto e ci vollero il blog aperto da Patrizia Moretti e l’assegnazione a un nuovo pm per arrivare al processo. «Il fascicolo vuoto non è una mia invenzione – precisa – ma un fatto. Oggi, quel pm ha scelto di querelarmi per averlo detto. Non so perché lo abbia fatto, ma credo che per lei sia controproducente».

Nonostante tutte le falsità dette sul figlio, i depistaggi e le querele, Patrizia Moretti non ha perso la fiducia nella giustizia. «Non ho mai dubitato che la verità sarebbe venuta alla luce – racconta –. È vero, la condanna è piccola, ma nemmeno l’ergastolo avrebbe potuto restituirmi Federico. Ho lottato per dargli la giustizia che meritava. Credo che il film di Vendemmiati sia importante: potrà mettere mio figlio nella giusta luce e farlo vivere di nuovo, visto che lui non può più farlo». [lp]

3 Settembre 2010

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Commenti al Post:
Squacchiarella
Squacchiarella il 12/09/10 alle 12:21 via WEB
Vorrei tanto esserci. Ci vorrebbe innanzi tutto una legge che COSTRINGA TUTTI QUESTI PUBBLICI UFFICIALI (pagati con le tasse...)a mostrare non il tesserino che, mi hanno detto, non riporti nome e cognome,ma proprio il documento di identità.Senza tante storie... Per me è una questione di "armi psicologiche":devono smetterla di sentirsi INTOCCABILI ed ONNIPOTENTI (una sorta di potenziali mafiosi leggittimati). Non deve piu' esistere che se chiedo aiuto ad un legale per farmi giustizia mi devo sentire rispondere:"Mi possono dare fastidio in _Tribunale..." "Te li vuoi mettere contro?". Ci vorrebbe , sempre a mio modesto parere, una "legge" che prevedesse il doppio della pena per i reati commessi dai pubblici ufficiali, forze dell'ordine etc etc.Quella divisa la devono portare con merito e diritto, non con arroganza, a mo' di scudo! Sono UTOPICA,lo so..O come mi ha definita un legale PALADINA ("Vuole fare la paladina?)...Ma volevo chierderle:come Si potrebbe iniziare in qualche modo ad industriarsi per far si' che davvero queste due "leggi" vengano elaborate per poi entrare in vigore? Grazie!
 
 
cile54
cile54 il 13/09/10 alle 08:45 via WEB
E stato proposto più volte un tesserino con un codice identificativo da tenere ben in vista sulla divisa, purtroppo non verrà mai accettata da questo sistema politico repressivo. L'iniziativa della famiglia di Federico, e di altre che hanno avuto la perdita dei loro cari a causa della violenza e impunità delle forze del dis/ordine pubblico, può aprire una breccia nel muro dell'omertà di Stato. Grazie a te del commento. ciao
 
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