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Post n°3811 pubblicato il 17 Settembre 2010 da cile54
Precarietà, male di vivere. Si uccide a Palermo un 27enne Che orrore, quando i giornali e le tv speculano sui penosi fatti di cronaca. Noi di InviatoSpeciale, che ci battiamo – nel nostro piccolo – per restituire un’etica al mestiere più bello del mondo eppure così mercificato, ci siamo interrogati se provare a raccontare e commentare il suicidio, avvenuto a Palermo, di un giovane di 27 anni. Abbiamo deciso di farlo quando abbiamo scoperto che il perverso intreccio tra precarietà e male di vivere aveva tolto ogni speranza ad un ragazzo, che chiedeva semplicemente di poter immaginare un futuro. Chiedeva di poter usufruire di opportunità così ‘normali’ in altri Paesi, ma del tutto irrituali nell’Italia della raccomandazione e della fuga dei cervelli, della mafia e del malcostume generalizzato, della degenerazione politica e dell’inadeguatezza di quasi tutti i servizi pubblici. Norman Zarcone si era laureato con lode in Filosofia, poi ha scelto di intraprendere il dottorato triennale in Filosofia del linguaggio (senza alcuna borsa di studio, sottolineano i resoconti dal capoluogo siciliano) ed era in attesa di sostenere, ad ottobre, l’ultimo esame per poter completare l’iter di specializzazione. Qualche cronista ha raccolto poche frasi, qualche testimonianza più o meno diretta che aiuta a comprendere il disagio di Norman, prima della decisione di gettarsi dal settimo piano della sede universitaria. L’amico Giovanni, ad esempio, ha raccontato che “Norman era giù. Era chiuso, non parlava molto nemmeno con me che lo conoscevo da una vita. Ripeteva sempre che non vedeva prospettive rosee per il suo inserimento all’università. Diceva che le difficoltà erano sempre troppe e aveva il terrore che dopo la fine dei tre anni di dottorato sarebbe rimasto a spasso”. Il padre, Claudio, dipendente regionale in pensione, ha manifestato il suo dolore con grande durezza: “Il suo gesto lo considero un omicidio di Stato. Era molto depresso per il suo futuro. Si era laureato in filosofia della conoscenza e della comunicazione, con 110 e lode. E io sono certo che saranno favoriti i soliti raccomandati”. Poco prima, aveva fornito qualche altro dettaglio recentissimo sullo stato d’animo del figlio: “Di mattina l’avevo visto nervoso e avevo cercato di rassicurarlo. Mi aveva detto di non preoccuparmi ed era uscito. Avevo un presentimento, volevo parlare chiaramente della sua situazione quando sarebbe rientrato in serata. Avrei voluto approfondire l’argomento”. Mentre Norman, su un quaderno, aveva già lasciato un suo messaggio, una breve lettera toccante e drammatica. Poche righe che hanno condotto gli inquirenti a dare sempre più credito alla tesi del suicidio: “La libertà di pensiero è anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla”. Ecco la speranza soffocata dalla paura. Il male di vivere che attraversava un ragazzo di 27 anni di pari passo con la precarietà e la tragica previsione delle sue conseguenze. Fino a qualche giorno fa, per sopravvivere, il giovane dottorando svolgeva l’attività di bagnino al circolo nautico, guadagnando 25 euro al giorno.”Mi diceva – ha raccontato il padre – che era anche un modo per imparare l’etica del lavoro”. Un’etica rimasta sulla carta, mentre un’intera generazione percepisce distintamente il furto di un principio fondamentale: il diritto al futuro. InviatoSpeciale ha documentato nel corso di questi mesi i numerosi volti sociali dello spaventoso declino vissuto dal e nel Paese. Abbiamo raccolto le storie dei precari dei settori privati un tempo ‘evoluti’ e scivolati nel dirupo della crisi e quindi dello sfruttamento, di pari passo con l’incapacità della classe politica di proporre vie di uscita adeguata ai tempi e all’evoluzione dello sviluppo tecnologico. Abbiamo seguito il calvario dei senza-cattedra in una scuola diventata l’ombra di se stessa, con l’istruzione pubblica (fino a quindici anni fa elemento portante di una civiltà degna di tal nome) gradualmente seppellita dalle “riforme” marchiate dal liberismo straccione, dal bigottismo clericale e dal populismo leghista. Chi semina vento, raccoglie tempesta. Ma non infuria certo la ribellione cosciente, né la volontà comune di riappropriarsi degli strumenti del sapere. Ha vinto la parcellizzazione sociale, finora. E provare a ricomporre i tasselli sarebbe operazione complessa e difficile. Richiederebbe tempo, un nuovo equilibrio tra le generazioni e soprattutto una classe politica sufficientemente attenta alle conseguenze della drammatica evoluzione della società italiana. Tutti fattori così distanti dal “problema”: il cronometro della vita corre velocissimo e malamente, così che milioni di giovani non percepiranno tra 35 anni una pensione decente; i desideri delle vecchie generazioni non intercettano più il malessere dei ragazzi, e semmai lo tamponano integrando qua e là il loro penoso reddito; il Parlamento, infine, è l’espressione più distante da quella stessa società civile che lo ha eletto attraverso la peggiore legge elettorale possibile. Con questi chiari di luna, non sarà facile illuminare di speranza la notte che attende la Repubblica. Paolo Repetto 15 settembre 2010 |
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Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
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