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Post n°3885 pubblicato il 08 Ottobre 2010 da cile54
Una questione di eguaglianza, libertà, diritto alla cura Che un tribunale abbia chiamato la Corte Costituzionale ad esprimersi sulla legittimità del divieto per le coppie sterili di avvalersi ai fini riproduttivi di una donatrice o di un donatore esterno alla coppia stessa, contenuto nella legge 40 sulla fecondazione artificiale, non dovrebbe sorprendere nessuno. La Corte ha già dovuto esprimersi in più occasioni sulla libertà nelle scelte riproduttive nel nostro ordinamento giuridico. Nel 1975 affermò che non c’è equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare. Principio ribadito con una sentenza del 2008, in cui si afferma l’importanza di una scelta informata per la sintesi di due diritti fondamentali, quello all’autodeterminazione e quello alla salute. Si solleva ora una questione di eguaglianza, di libertà personale e di diritto alla cura. Perché tanto clamore per una decisione non solo fondata ma quasi obbligata, a Costituzione vigente? Perché il nodo è politico ed ha a che vedere con la pretesa di indiscutibilità del potere legislativo, di esercizio di un potere assoluto e sottratto a ogni vincolo, di insofferenza per l’esperienza delle democrazie costituzionali europee. Affermazioni come quella della sottosegretaria Roccella, se è vero, come riportano i giornali, che a suo parere “dire che la norma è irragionevole non è una questione di diritto”, hanno il sapore di un dispotismo consegnato a tempi ormai storici. Nello stesso tempo, sono espressione dell’insofferenza per il richiamo al rispetto dei limiti che la Costituzione impone al legislatore, contenuto nell’ultima sentenza della Corte sulla legge 40, che ha stigmatizzato la pretesa di fissare per legge, anziché di affidare alla relazione tra il medico e la persona interessata la scelta dei trattamenti sanitari appropriati e consensuali. Dovrebbe sorprendere, se mai, che la Corte sia chiamata ad intervenire per la renitenza dichiarata non solo dell’attuale maggioranza, ma di un partito trasversale alle forze politiche in parlamento al rispetto dei diritti e delle libertà costituzionalmente tutelati. Sorprende meno, anche se non conforta affatto, la complicità, in tema di sessualità e vita riproduttiva, tra esponenti di istituzioni dello Stato ed esponenti delle gerarchie vaticane: fondamentalismo chiama fondamentalismo, come la storia ci ha tristemente insegnato. La storia ci ha però insegnato anche che diritti e libertà chiamano diritti e libertà, ed è tempo di riprendere, allargare e connettere con la questione della cittadinanza quella discussione pubblica sulla separazione tra la legge, la morale e la religione che ha attraversato e attraversa la molteplicità del femminismo. Erminia Emprin 7 ottobre 2010 leggi www.liberazione.it |
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Roma, 12 maggio 1977
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