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"Karl Marx (in pillole)", un saggio a pił voci curato da Mario Boyer. Lavoro e Salute ne consiglia la lettura!

Post n°4055 pubblicato il 24 Novembre 2010 da cile54

L'incantesimo della merce Come la realtà allucinata di "Matrix"

 

«E' la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia, domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanta è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, niente di più». E' il testo di una delle scene più celebri di Matrix, film dei fratelli Wachowski del 1999. Morpheus, un leader della resistenza a un potere di macchine intelligenti, offre all'adepto Neo la possibilità di destarsi dal mondo illusorio creato da un potentissimo software, Matrix per l'appunto. Gli porge due pillole. Una, quella blu, gli permetterebbe di continuare a vivere nelle illusioni abituali, senza averne alcuna consapevolezza. L'altra, la pillola rossa, equivale alla rinuncia della tranquillità in nome della conoscenza della verità - la profondità della tana del bianconiglio, evidente allusione al personaggio di Lewis Carroll nelle Avventure di Alice nel paese delle meraviglie.

Suggestioni e mode da buddismo zen a parte, viene da pensare a qualcosa del genere a proposito di un volumetto a firma di più autori, appena pubblicato da Ediesse, la casa editrice della Cgil: Karl Marx (in pillole), a cura di Mario Boyer, presidente dell'Ires Abruzzo (pp. 168, euro 10). Lasciamo pure da parte il titolo, forse ingeneroso per i saggi contenuti nel libro, tutt'altro che in "formato pillola". Però, come nella dimensione vagamente allucinata di Matrix, anche nella nostra contemporaneità gli individui vivono immersi in un capitalismo che si è fatto mondo e ha assorbito tutto - uomini, cose e natura - nel proprio sistema. Tutta la realtà è divenuta quella che già Marx, nell'incipit del Capitale, chiamava un'immane raccolta di merci. Sennonché, proprio perché il capitalismo è il mondo, è difficilissimo vederlo, non esistono punti di osservazione dall'esterno. Un mondo di merci così scontato da apparire ovvio e naturale. La merce, invece, manco farlo a caso, ha un carattere mistico, è una «cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici», dice sempre Marx. Come la pillola rossa del ribelle Morpheus, il marxismo sortisce l'effetto di spezzare l'incantesimo, di squarciare il velo dell'apparenze, soprattutto di demistificare quel mondo di merci che ci sembra ormai un fatto di natura.

Nella prima parte del volume - presentato la scorsa settimana a Roma con Carla Ravaioli e Paolo Ferrero assieme agli autori - Mario Boyer ricostruisce in forma divulgativa il pensiero marxiano, traccia una mappa di quei principi indispensabili per criticare l'apparenza di mondo del capitale contemporaneo. La legge tendenziale della caduta del saggio di profitto, ad esempio, oppure la teoria del valore-lavoro che «da sola basterebbe a sfatare il mito della centralità dell'impresa» e a spezzare l'incantesimo della merce, all'interno della quale, nascosto alla vista, è immagazzinato il lavoro che l'ha prodotta. Allo stesso modo, il capitalismo non fa vedere la storia che l'ha prodotto e spaccia il suo mondo per un sistema naturale. «Per tutta la sua vita - così Ferrero - Marx ha cercato di dimostrare che il capitalismo è un modo di produzione storicamente determinato e non un fenomeno naturale, esattamente il contrario della rappresentazione oggi dominante». Non a caso, Marx presta molta attenzione ai miti fondativi del capitalismo, cercando di confutare l'immagine progressista che la borghesia capitalista dà di se stessa e della propria storia. La teoria dell'accumulazione primitiva - trattata nel libro da Gianni Di Cesare - è una contro-narrazione della storia, opposta a quella dei capitalisti. L'origine del capitalismo non è nel lavoro e nel risparmio degli imprenditori, come ritenevano gli economisti precedenti, ma della separazione tra i produttori (i contadini strappati alla terra e trasformati in operai salariati) e i mezzi di produzione, che nelle mani degli imprenditori si trasformano in capitale. La nascita del capitalismo è una storia di violenza e dominio, di espropriazioni e di terre, fino a quel momento di proprietà comune, trasformate con la forza in proprietà individuali.

Le cose si complicano nella seconda parte del volume, con il passaggio dalla teoria alla politica. Michele Citoni e Catia Papa ricostruiscono in un saggio il rapporto tra marxismo ed ecologia nella tradizione italiana, una relazione fatta di conflitti, incomprensioni, diffidenze, ma anche di incontri. A partire dagli anni Sessanta comincia a svilupparsi in Italia un filone ambientalista - basterebbe citare il percorso di Giorgio Nebbia, L'energia solare e le sue applicazioni, scritto assieme all'astronomo Guglielmo Righini, è del 1966. Contemporaneamente nella sinistra marxista nascono riviste, gruppi, partiti che prestano attenzione all'ecologia. Certo, non è una storia lineare, esistono convergenze e fratture. Se ne potrebbe dare una versione pessimistica, a tinte fosche, come quella di Carla Ravaioli che nella faccenda dei rapporti tra sinistre e ambientalismo vede soprattutto la diffidenza delle prime nei riguardi del secondo. Un'ostilità che deriverebbe dal persistente paradigma del produttivismo imperante a sinistra - a detta di Ravaioli, con qualche rarissima eccezione, fra cui il Berlinguer autore del discorso sull'austerità (poi variamente travisato). Anziché scorgere nella crisi ecologica del pianeta un'ulteriore, formidabile critica al capitalismo e a un'economica che distrugge risorse ambientali in nome del profitto, la tradizione politica del marxismo italiano avrebbe invece intrapreso la strada dell'industrialismo, lasciandosi sedurre dal mito dello sviluppo a ogni costo. «Non si capisce perché le sinistre italiane abbiano così sottovalutato - dice Carla Ravaioli - il tema dell'ambiente. Eppure sono soprattutto i poveracci che pagano le conseguenze della crisi ecologica, sono loro che muoiono di cancro nelle fabbriche, i contadini costretti a usare pesticidi e sostanze tossiche, i profughi che scappano dalle alluvioni. La sinistra non ha prestato attenzione neppure al problema dei cambiamenti climatici. Ancora oggi, con tono riduttivo, si continua a parlare di "ideologia ecologista"».

Vicenda non lineare, quella dei rapporti politici tra sinistre e ambientalismo, vero. Ma c'è da chiedersi se l'economicismo che pure ha condizionato parte della storia del movimento operaio abbia davvero qualcosa a che fare col pensiero di Marx. Se lo chiede Ferrero, dal momento che «Marx è stato un critico tenace dell'economicismo e non può essere confuso con la vulgata della Seconda Internazionale. Quello per cui lo sviluppo all'infinito delle forze produttive, a un certo punto, determini automaticamente anche il cambiamento del modo di produzione e il passaggio alla società socialista, è un ragionamento che non va confuso con le teorie di Marx. L'alternativa, insomma, non è tra un marxismo industrialista e un ambientalismo cosciente dei limiti». A maggior ragione di fronte alla crisi contemporanea c'è da porsi il problema del rapporto tra natura e società. «Non è pensabile che si possa uscire oggi dalla crisi attraverso lo sviluppo. Se si continua con il modello attuale rischiamo di infilarci in un'epoca di guerre per l'appropriazione delle risorse in estinzione, dal petrolio all'acqua, dal litio alla terra coltivabile». Ma l'alternativa alla sviluppo capitalistico si chiama decrescita? L'impressione è che questo sarà uno dei dibattiti principali a sinistra nei prossimi anni. «Io non sono d'accordo sulla decrescita - dice Ferrero - innanzitutto perché la scelta di questo termine mi pare di subalternità, come se invece di andare avanti si dovesse andare indietro e come se l'andare avanti fosse una prerogativa soltanto del capitalismo. Tra l'altro, in questi anni di crisi la decrescita c'è già stata in piccola parte e non mi pare si possa rivendicare come modello. Anziché di decrescita io preferisco parlare di desertificazione». Il capitalismo, per potersi riprodurre, deve allargare sempre più la sfera del valore di scambio, trasformare ogni bisogno sociale in merce. «Noi dovremmo fare il contrario, sottrarre un numero sempre maggiore di beni sociali alla sfera delle merci. La sanità, l'acqua, la conoscenza e via dicendo devono essere valori d'uso. Forse si dovrà anche produrre un po' di meno, ma il punto non è questo. La discriminante è se si producono merci oppure beni comuni. Questa è l'attualità del comunismo».

 

Tonino Bucci 

23/11/2010

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