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« La storia che la Gelmini...Similitudini tra i regim... »

La lotta di liberazione in Egitto raccontata da un testimone. Un racconto anche contro il negazionismo dei governi occidentali

Post n°4314 pubblicato il 05 Febbraio 2011 da cile54

Il profumo del gelsomino viene dal mare

 

Dopo una settimana di agitazioni, durante la quale il numero dei cittadini egiziani che chiedono la caduta del regime è cresciuto giorno dopo giorno, non ci sono più dubbi: stiamo vivendo la seconda caduta del Muro di Berlino, stiamo attraversando un passaggio storico tanto importante quanto quello che ha assistito alla liberazione dei popoli dell’Europa orientale dal giogo delle dittature comuniste. Le aspirazioni alla libertà, alla democrazia ed alla giustizia sociale del mondo arabo e musulmano hanno raggiunto quella massa critica che non ammette ritorno. Spetta a noi ora ascoltare ed accompagnare i nostri vicini. I governanti europei non possono più sostenere presidenti e sovrani, ignorando frustrazione e repressione interne in cambio della stabilità negli scambi commerciali, della fermezza nella gestione dei flussi migratori e della sicurezza delle rotte turistiche. Chi non comprende il grido sincero “Hurriya, Hurriya” (libertà, libertà) che si eleva dalle vie delle città egiziane volta le spalle ai principi ispiratori delle nostre moderne democrazie.

 

Sono stati questi giorni storici, in cui nessuno si immaginava che un popolo sottoposto ad un ordine autoritario potesse rompere le barriere del silenzio senza timore, né vergogna. Giovani, donne, bambini, anziani e non solo uomini hanno occupato i boulevards e sfidato il coprifuoco. Dai balconi cadevano sorrisi e bottiglie d’acqua per i dimostranti assetati, e talvolta biscotti, soldi e baci. La Corniche che si estende lungo il mare di Alessandria è stata teatro di espressione spontanea dei desideri civili più profondi. L’era della paura è finita. Ho pianto dall’emozione nel vedere un’ intera città in marcia, la polizia ritirarsi di fronte all’inefficacia del gas lacrimogeno e dei proiettili, e i giovani fare le veci delle forze dell’ordine, scomparse dalle città dal 28 gennaio.

 

Venerdì scorso, ”Youm ad-Dharb” (il Giorno della Rabbia), all’altezza della Bibliotheca Alexandrina, il profilo della città storica era avvolto da colonne di fumo nero, che segnalavano la fine di un’era. L’era dell’orientalismo e del colonialismo, l’era dei monarchi e dei suoi protettori occidentali. Un incendio quello di Alessandria paragonabile a quello dell’antica biblioteca per la sua valenza simbolica.

 

Le camionette della polizia si ritiravano sulla Corniche puntando a tutta velocità contro il fronte della marcia che avanzava: era terribile, ma terribile deve essere stato anche per quei poliziotti impotenti che cercavano scampo all’ira popolare sotto una pioggia di sassi e bottiglie, mentre sfrecciavano rischiando di schiacciare i manifestanti. È stato l’unico momento in cui ho avuto paura e mi sono gettato sotto il lungomare. L’unico di giornate pacifiche per coloro che non hanno affrontato a distanza ravvicinata i colpi e gli spari della polizia, prima che questa si dileguasse, incendiasse le caserme e lasciasse le carceri sguarnite. La fine di orientalismo e colonialismo perché questo popolo ha messo in ginocchio la credibilità delle sue istituzioni in poche ore; un popolo arabo, un popolo che molti europei considerano inferiore, arretrato, ottuso, e che ha invece dato a tutti una lezione laica di forza e mobilitazione civile.

 

A noi che cacciamo gli immigrati in mare, a noi che eleggiamo a rappresentanti del popolo presuntuosi, mafiosi e procacciatori di minorenni, a noi che pensiamo che l’Islam sia la religione dell’intolleranza. A noi che lasciamo la nostra democrazia morire dietro l’indecenza televisiva, l’impoverimento culturale e le gioie borghesi del calcio e del ben vestire. A noi che speravamo che i popoli arabi continuassero a marcire nel loro immobilismo purché le nostre imprese continuassero a fiorire, Sharm el Sheick a ospitare vacanzieri che magari disprezzano i minareti, e il mito della stabilità a paralizzare le aspirazioni ad una vita decente dei nostri cugini d’Oltremare. «’aiz a3ish», «Voglio vivere», diceva un cartello portato da un ragazzo di non più di dodici anni.

 

Ora, tutti questi anni in cui sono rimasto ad Alessandria, una città provinciale, isolata, paralizzata da quello che gli alessandrini chiamano il «an-Nizhām» («as-Sha’b yurīd Isqāt an-Nizhām», «il popolo vuole la caduta del sistema», gridano per strada), sono stati ripagati da una gioia immensa, dal profumo della libertà, dall’ebbrezza della speranza. E per la prima volta, sento di amare profondamente gli egiziani.

 

Non abbandonateli in questo delicato momento, sono loro che portano al di là del mare il profumo del gelsomino, che alimentano lo spirito civile che non possiede passaporti e non si arresta alle dogane, lo spirito dell’Alessandria la Gloriosa, Alessandria la Cosmopolita. Saranno loro i più convinti alleati dei democratici, donne e uomini, del nostro continente, che non vogliono cedere agli egoismi di frontiera e non temono lo spettro della retrocessione dei diritti fondamentali.

 

Gianluca Solera

autore di "Muri, lacrime e zatar"

 

Alessandria d’Egitto, 1 febbraio 2011

 

(Questo articolo è stato trascritto al telefono, poiché Internet è stato oscurato).

foto scattata nei giorni scorsi da Eleonora Trani

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