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Perchè destinare miliardi a un programma la cui unica vera utilità è per la lobby dell’industria bellica? Domanda ingenua?

Post n°6727 pubblicato il 29 Luglio 2012 da cile54

F-35, ora fermatevi

La prima rata dell’Imu pagata nell’intera provincia di Palermo, 110 milioni e rotti di euro, non basterebbe per acquistare un solo F-35, cacciabombardiere ad alta tecnologia prodotto dalla Lockheed. Bene, anzi male, perché l’Italia di F-35 a suo tempo ne ordinò 131, per una spesa complessiva superiore ai 15 miliardi di euro. Finora questo mega-investimento è passato pressoché indenne attraverso tutti i decreti Tremonti e Monti di tagli più o meno lineari alla spesa pubblica, attraverso l’indignazione di una bella fetta di opinione pubblica e di decine di associazioni dalla Tavola della pace a Sbilanciamoci, ora attraverso la spending review.

Unico risultato, l’ordine è stato ridimensionato a 90 aerei, con una spesa prevista che a oggi è attestata attorno ai 12 miliardi di euro. In realtà, la scelta rischia di costarci ancora più caro. È ormai prassi costante e anche un po’ abusata agitare lo spauracchio della Grecia e della sua crisi profonda, ma se si parla di spese militari l’esempio greco è veramente paradigmatico. Negli anni della spesa pubblica a briglia sciolta della Grecia appena entrata nell’eurozona, Atene acquistò carri armati, sommergibili e caccia dalla Germania per circa tre miliardi di euro, e dalla Francia navi e elicotteri per più di 4 miliardi. Così, mentre salari e pensioni ellenici vengono tagliati del 25 per cento e secondo l’Unicef torna nel paese lo spettro della malnutrizione infantile, per effetto di quegli impegni la Grecia quest’anno ha visto la sua spesa militare crescere del 18 per cento rispetto al 2011.

Allora, pretendere qui da noi una revisione drastica del programma di acquisto degli F-35 non è, almeno non è soltanto, una richiesta di stampo pacifista. È soprattutto un’esigenza elementare di responsabilità verso l’Italia e verso gli italiani. La conferma dell’acquisto di 90 F-35, infatti, più che servire alla modernizzazione dei nostri sistemi di difesa, attiene alla storica commistione di interessi tra l’industria bellica (un bel pezzo della quale è nelle mani, oggettivamente pubbliche, di Finmeccanica) e le scelte della politica.

L’Italia non ha nessun bisogno di 90 o 50 o 30 super-caccia bombardieri F-35, e se rinunciasse ad acquistarli non è vero che dovrebbe pagare, come sostengono taluni osservatori “interessati”, penali salatissime. L’uscita del nostro paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo del progetto: così prevede l’accordo fra i paesi compartecipanti sottoscritto anche dall’Italia con la firma del 7 febbraio 2007. Al momento la nostra flotta di aerei militari conta una cinquantina di nuovissimi Eurofighter, che nel giro di pochi anni saliranno a 96, una sessantina di Amx, una settantina di Tornado aggiornati, quindici F-16 americani in affitto e sedici Harrier a decollo verticale sulle due portaerei della Marina, anch’essi aggiornati. “Aggiornati” significa che la loro vita operativa è stata prolungata almeno fino al 2025.

Allora perché mai lo stato italiano, nel pieno della crisi economica e nella scarsità sempre più acuta di risorse pubbliche, dovrebbe destinare svariati miliardi a un programma la cui unica, vera utilità è per la lobby dell’industria bellica? Del resto, l’F-35 della Lockeed è in crisi in tutto il mondo: la recessione economica da una parte, i numerosi e crescenti problemi tecnici del “prodotto” dall’altra, hanno spinto diversi paesi, tra questi anche grandi paesi come il Canada, a cancellare i loro ordini. Nel marzo 2012 un documento della Corte dei conti americana ha definito l’F-35 il più costoso fallimento della storia militare degli Stati Uniti. L’Italia faccia presto ad accorgersene, altrimenti il fallimento potrebbe contagiarci.

 

R. Della Seta e F. Ferrante

www.sbilanciamoci.org/

 
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