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Call center: chi sono questi branchi di sciacalli che indisturbati sterminano lavoratori di mese in mese?

Post n°6766 pubblicato il 07 Agosto 2012 da cile54

Lavoratrice Inps, un destino da precari

Questa è la storia di uno dei tanti operatori di call center della commessa INPS passata da una società ad un’altra sempre con base a Roma.

Nell’agosto 2010 partecipammo alla selezione per numerosi candidati per la nuova commessa appena vinta dall’azienda, in cui, per stare al telefono, i requisiti indispensabili erano: laurea, esperienze di lavoro pregresse, buona dialettica.

Seppur non laureata ebbi il posto grazie forse alla numerose esperienze pregresse dovute al precariato. La commessa sarebbe durata 4 anni, ed in fase di colloquio ci furono date valide speranze, salvo ovviamente la nostra capacità lavorativa, di lunga permanenza in azienda.

Fummo quindi partecipi del corso di un mese e mezzo, suddiviso in 6 moduli, ciascuno presidiato da un funzionario INPS e della durata settimanale di 5 giorni dalle 9 alle 17, detto corso, finanziato dalla Forma Temp venne retribuito con 450 euro (che tra l’altro fu arduo percepire dall’agenzia interinale).

A metà ottobre iniziavamo il nostro percorso professionale affiancando gli altri neo colleghi dei due corsi precedenti il nostro. 100 Operatori interinali, quando invece l’azienda avrebbe potuto permettersene solo il 13% sul totale dei dipendenti. Vuole dire cioè che per quella enormità di precari, sarebbero dovuti essere stati attivi almeno 900 dipendenti aziendali. Noi ne avevamo solo 30, in sala. Tutti provenienti dalla vecchia gestione del contact center ed assunti a malincuore dall’azienda, su espressa richiesta dell’Istituto.

Malgrado il massacrante corso di fine estate, inizio autunno 2010, ottenemmo un primo contratto di solo un mese e mezzo. Un mese e mezzo di corso per un mese e mezzo di lavoro. La prima vergogna. “Dovevamo essere inquadrati”, fu la replica dell’azienda. Sin da subito, partirono le pseudo verifiche aziendali, con ascolti in doppia cuffia in cui veniva valutata la nostra capacità di risposta all’utente ma senza che questi venisse informato di terzi in linea.

Per alcuni di noi, la seconda umiliazione arrivò con la proroga: 1 mese. Un solo mese di lavoro dopo 45 giorni di corso. E qui mi ripeto. A tutt’oggi non si è riusciti a comprendere il motivo di questo scempio, visto che mai queste persone, tra cui la sottoscritta, erano state riprese o informate di carenza professionale, dialettica o quant’altro. In sostanza rischiavamo di aver lavorato appena due mesi e mezzo ma averne dedicati ben 4 all’azienda.

Fortunatamente altre proroghe si susseguirono, e ricordo che ad ogni scadenza delle stesse, e non appena il telefono squillava, a tutti saliva un groppo in gola per il timore di non sentirsi rinnovare l’impiego dalle rispettive agenzie.

Nel mese di Luglio 2011 ad alcuni, la proroga del contratto fu fatta sottoscrivere a tempo pieno piuttosto che part time. Solo successivamente scoprimmo che una proroga deve rispettare lo standard del contratto originale e non può essere quindi differente nel numero di ore previste in azienda, per tale motivo, molti lavoratori somministrati, furono passati da un’agenzia, che rifiutò questo tipo di richiesta da parte dell’azienda, ad un’altra, che l’accontentò facendo figurare le ore lavorate extra, anziché straordinarie, come ordinarie. In sostanza, percepimmo in busta paga non più di cento euro. La stessa cifra che avevo guadagnato il mese prima, fermandomi di tanto in tanto per qualche ora in più.

Per un anno e mezzo il contratto di somministrazione si è susseguito in una serie di proroghe, in tutto sei, mentre nel frattempo, tra di noi, giovani sotto i 30 anni, invalidi ed ex lavoratori in mobilità venivano assunti con contratti beneficiari di sgravi fiscali e contributivi. Un bel giorno, operatori ENEL già dipendenti aziendali, passarono in massa sul canale INPS, facendo un corso COMPLETAMENTE RETRIBUITO DELLO STIPENDIO e gestito da Team Leader piuttosto che da funzionari INPS.

Capimmo subito che il nostro destino era segnato, che eravamo stati usati per lanciare un servizio al cittadino che successivamente sarebbe passato di mano ai dipendenti aziendali, uscenti da una commessa non più florida. L’Azienda, a differenza di quanto detto in colloquio, non aveva mai avuto alcuna intenzione di tenerci per tutta la durata della campagna INPS. Gli unici (e neppure tutti) ad uscire salvi dal massacro sarebbero stati esclusivamente: categorie protette, lavoratori in mobilità, apprendisti. Fine.

Inutile applicarsi, inutile essere precisi, puntuali, educati, laureati, con esperienze pregresse, veloci, dinamici, con voglia di migliorare e servire in ogni senso, l’ordine era uno ed uno solo: QUANTITA’ e non QUALITA’. Ricordo che venivo chiamata “la maestrina”: la mia telefonata media durava dai 10 ai 15 minuti dove, mentre cercavo di accontentare anche l’utente più indisponente, qualche team leader passava per controllare sulla barra telefonica da quanto tempo ero in conversazione.

Se poi i minuti erano 20 perché attendevi un’autorizzazione da qualcuno che in quel momento aveva da fare con altri o non era presente in sala, comunque eri stata troppo in linea, e l’azienda vive di numeri. L’unica conversazione lunga che veniva consentita era quella in “registrazione”. La chiamavano: “servizio qualità”, all’improvviso nella barra telefonica compariva una scritta su sfondo giallo fosforescente: “REC”, e sia il nostro operato che i fatti dell’utente venivano registrati per controllarne appunto “la nostra qualità”. Al nostro disappunto su questa presunta violazione di privacy, ci fu risposto che ogni e qualsiasi dato sensibile presente in conversazione, nonché dati anagrafici sarebbero apparsi in registrazione come un “bip” ed ovviamente le voci modificate. Ciò che invece non avveniva con l’ascolto in doppia cuffia, a cui, di tanto in tanto eravamo tutti sottoposti. I soli a rifiutarne l’imposizione erano ovviamente i dipendenti aziendali, specialmente gli ex cassaintegrati (come li chiamavamo noi). Ed ovviamente ne avevano tutte le ragioni: per anni a rispondere per conto INPS, oggi si vedevano messi alla lavagna da neo Team Leader ai quali magari avevano fatto affiancamento giusto qualche mese prima. Gli interinali ovviamente davano consenso e la loro scheda valutazione veniva regolarmente compilata.

 Le mansioni erano ampie: dalle compilazioni di domande per prestazioni a sostegno del reddito, nel frattempo passate esclusivamente in procedura telematica sul sito INPS, alle iscrizioni COLF, al controllo, per conto dell’utente del proprio cedolino pensione/disoccupazione/mobilità alla gestione dei fax (molti dei quali riportanti dati personali del cittadino) che pervenivano al numero verde. In sei ore quotidiane per cinque giorni la settimana, migliaia di dati sensibili ci passavano davanti gli occhi o nelle orecchie: un’insieme di indirizzi, dati anagrafici, dati sensibilissimi e responsabilità in appena “secondo livello di telecomunicazioni”.

Sempre per mantenere la quantità delle telefonate (perché su quello sembra che possa essere mantenuta la commessa) mi fu chiesto più di una volta di rispondere all’utente che i servizi al momento non funzionavano e quindi la possibilità di presentare la propria domanda di prestazione a sostegno del reddito sarebbe risultata impossibile col Contact Center, di richiamare in seguito. Il che poteva essere assolutamente credibile visto che ogni santo giorno i sistemi saltavano. Poco importa se l’utente riattacca inviperito, ciò che veramente conta è che tanto poi AVREBBE RICHIAMATO ed il numero delle telefonate ricevute quindi sarebbe salito e con esse la fattura da spedire a fine mese.

Tutto questo, ribadisco, gestito e sopportato, da somministrati con un 2° livello in telecomunicazioni, senza premio produzione in busta, in contemporanea con i dipendenti fissi di 3° livello, premio produzione in busta paga e molti dei quali passati da una commessa di elettricità ad una ben più complessa, appena tre mesi avanti o poco li. Senza contare la loro salute, ben più importante della nostra, dato che di tanto in tanto compariva in bacheca l’annuncio della prevista visita medica aziendale “Riservata ai Dipendenti”. Gli interinali schiattassero pure.

A luglio la chiusura del cerchio: i primi giorni del mese ci venivano confermate le ferie richieste (agosto ) ed i nostri nomi sarebbero apparsi a breve nel calendario dei turni di agosto con l’asterisco “se confermati dalle agenzie”. A fine mese, ancora non si sapeva nulla del nostro destino. Fiduciosi si chiamava in agenzia, e dopo un tergiversare, ci veniva risposto brutalmente: “nessuno è stato riconfermato”.

Dopo un anno e mezzo, solo queste quattro parole dall’agenzia interinale e nessun incontro con i dirigenti dell’azienda, che però si erano premuniti di passare in sala ad urlare ferie confermate per tutti ed il cambio della guardia del team leader. Specialmente quest’ultima notizia ci avrebbe di sicuro portato a casa lo stipendio di settembre.

Infine l’incontro sospirato con le risorse umane: ci veniva detto che le proroghe erano finite e quindi eravamo i primi a togliere le tende (gli altri con scadenza settembre ed ottobre ovviamente restavano sottointesi come prossimi a lasciare il posto). Al nostro disappunto di averci lasciato a casa ad estate inoltrata, praticamente in un periodo morto per la ricerca di qualsiasi lavoro, ci veniva risposto che l’Azienda aveva iniziato le selezioni per quella commessa proprio ad agosto, quindi mai perdere la speranza. Ritenta, e vedrai che la ruota girerà. Non solo, ci veniva anche sottolineato che l’azienda era stata generosa nell’informarci con 4 giorni di anticipo la non riconferma. Peccato che quella telefonata in agenzia fu fatta da noi.

Alla mia protesta che avere 40 anni ed essere precari da 20 logora non solo la vita ma anche la testa, mi veniva replicato che in fondo anche il contratto a tempo indeterminato può cessare. Più che lecita come affermazione, ma almeno non si vive con la spada di Damocle sul collo chiedendosi ogni tre mesi, cosa ne sarà del domani. E poi, francamente, sentirselo dire da chi ogni mattina ha la propria poltrona in ufficio, ed uno stipendio sicuro a fine mese, è davvero poco credibile e soprattutto sconcertante.

Oggi eccomi qui, disoccupata INPS, dopo aver lavorato per conto INPS precariamente per quasi due anni. Ci viene dato il benservito, come se questi mesi in azienda a far crescere il servizio (per cui ovviamente ci ringraziano) non fossero mai esistiti, come se fossimo stati solo numero di operatore ed un foglietto dove segnare le telefonate prese. Come si fa con la schedina del totocalcio, probabilmente più facile da indovinare rispetto alla possibilità di essere assunti se non si è né invalidi, né sotto i 30 anni e tantomeno in mobilità . I lavoratori con la salute di ferro, che hanno superato la 30ma magari perché da poco laureati, e soprattutto privi di iscrizione alla lista di mobilità perché un contratto a tempo indeterminato cessato per crisi aziendale non l’hanno mai avuto, questi di lavoratori chi li tutela?? Sono destinati alla somministrazione per sempre?

Oggi a rispondervi non ci siamo più noi, anche perché un altro servizio di contact center INPS affidato ovviamente a lavoratori interinali, è partito in Calabria già da qualche tempo, sfruttando sgravi aziendali, questa volta concessi per la creazione di nuovi posti di lavoro in zone disagiate.

Precaria INPS, credo che mi ricorderò per sempre così. Quando vi capiterà di telefonare, pensate bene a chi avete dall’altro capo del filo. Probabilmente un povero cristo che, mentre controlla il vostro cedolino pensione, si chiede se lui, grazie all’INPS, che ha permesso questo massacro di precari ci arriverà mai un giorno alla pensione.

Nessun rimorso e nessun rimpianto. Solo tanta ma tanta amarezza per questo povero mondo che lascerete ai vostri figli. Dico vostri, perché io un figlio non me lo posso permettere, almeno non più.

Stanotte sono rimasta sveglia. Come quando finisce una storia d’amore e ci si sente sempre un po’ vuoti, quasi non si riesce a credere che quella quotidianità fino a quel giorno presente nella vita, da li a breve sarebbe venuta a mancare. Che di nuovo, mi sarei ritrovata a casa, senza dovermi alzare per andare a lavoro, senza poter tornare a casa orgogliosa di essermi guadagnata la giornata e soprattutto senza prospettive oltre quell’alba. Ero talmente stanca che non riuscivo nemmeno a pensare sul come far quadrare ormai il bilancio familiare, come pagare il mutuo, quando potersi permettere ancora una pizza o addirittura una vacanza. E più ci pensavo più mi chiedevo, chi sono questi branchi di sciacalli che indisturbati occupano i vertici delle loro aziende sterminando lavoratori di mese in mese. Gli stessi che probabilmente in quel preciso istante dormivano sonni tranquilli, sospirando l’agognata partenza estiva.

Loro che non conosco noi, i nostri nomi, le nostre vite, i nostri conti a fine mese. E non mi solleva nemmeno l’eventualità lontana che quello che lo Stato gli permette di distruggere è lo stesso mondo del lavoro che si troveranno davanti i propri figli. No, non mi solleva, perché questa gente non permetterà mai che ciò che io ho appena raccontato possa un giorno essere il vissuto dei propri figli, per loro, ci sono già pronti dei posti fissi, senza sgravi contributivi, da qualche parte, magari proprio ora lo stanno già occupando dei precari, laureati, con esperienza, ma senza nessun santo in paradiso. 

06/08/2012 Fonte: rassegna.it

 
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