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Strazianti pagine di una madre che ha perso la figlia morta per infortunio sul lavoro
1 marzo 2013
e urlo, urlo, urlo come una pazza ... perfino i morti, che mi guardano dalle loro gelide fotografie di ceramica sulle tombe, credo siano terrorizzati dal mio quotidiano appuntamento nella loro dimora e si domandino con quale diritto vengo a violare in quel modo il loro diritto alla quiete eterna.
e, forse, anche tu, amore mio, temi che possa disturbare le anime, sei un po' preoccupata della mia irruenza, del mio non essere capace di un comportamento silente e pacato, del mio metterci l'anima in tutto quello che dico e che faccio, rispondendo a un moto che non so controllare ... come quando assistevo alle tue partite di pallavolo e discutevo con veemenza con il pubblico avversario, o quando inveivo contro gli arbitri, e tu, dal campo di gioco, con lo sguardo e un dito sulla bocca, mi imploravi "mamma, stai zitta" ... questa mamma, così presente, così poco incline al quieto vivere, così insofferente... così uguale a te nei tratti fisici e nell'anima, ma così diversa da te nei suoi comportamenti.
Sono fatta così, lo sai, l'hai sempre detto tu che sono iperbolica, che ho reazioni sempre esagerate, nel bene e nel male. Non posso certo cambiare adesso, ora che ho una ragione più forte per gridare al mondo la mia disperazione, con la violenza di un corpo e di una mente che si ribellano a un sopruso del destino, che va ben oltre la loro possibilità di accettarlo.
E, intanto, continuo a chiedermi, a chiederti, come hai potuto farmi questo ... abbandonarmi così, all'improvviso, rispondendo a chissà quale ordine, di chissà quale padrone e svuotando la mia vita di ogni senso per riempirla di angoscia, di sgomento, di niente.
Sì che ce l'ho il diritto per fare tutto questo ...
ho il diritto di chi non ha perso una cosa qualunque, ma ha perso se stessa e non sa più ritrovarsi nello spazio vitale, ogni giorno più angusto, dentro il quale si muove ...
il diritto di chi è stato privato dei colori dell'arcobaleno e non può più dipingere sogni, speranze, futuro ...
il diritto di chi non potrà mai accarezzare biondi capelli di teneri Amori, con gli occhi più azzurri del più azzurro dei cieli ...
il diritto di un sangue che non scorre più nelle vene, un sangue buono e generoso, tante volte donato, che urla il suo sdegno nel più assordante silenzio, lasciato per terra sul grigio, desolante cemento di un capannone vestito di morte ... un sangue che esce dai muri bianchi di Puglia e lascia il colore su leggi violate, coscienze assopite e increduli cuori ...
era il tuo sangue, il mio sangue ...
Ho un diritto che non si trova tra le pagine di un Codice, è un diritto che vive, non scritto, tra le pieghe del cuore ...
sei tu il mio diritto, il mio diritto di Amore
28 marzo 2013
sai, amore,
c'è una signora che abita con noi da qualche tempo. Si muove per casa come fosse qui da sempre ... sa dove trovare ciò che le serve, cucina, lava e pulisce, entra ed esce di casa quando vuole, come fosse lei la padrona.
Senza chiedere il permesso, entra in tutte le stanze, compresa la tua, indossa i tuoi abiti e le tue scarpe, occupa il nostro bagno, quello coi pesciolini azzurri che usavi solo tu ... entra anche nei miei pensieri, senza poterli capire ...
E' una donna senza volto e senza contorni, ne sento solo i lamenti ... laceranti, disumani, come di chi ha un dolore che va oltre la comprensione umana. Cammina così velocemente che resta spesso impigliata nelle maniglie delle porte, si lacera i gomiti passando accanto agli stipiti, si ferisce con ogni cosa che tocca, anche la più innocua, non conosce più l'equilibrio, sbatte contro ogni cosa, picchia la testa ovunque, offre mani e caviglie a ogni spigolo vivo ..... anche il cuore non è indenne da queste ferite, ma è altro quello che le procura.
sai amore, questa donna assomiglia tanto alla tua mamma, ma non è vitale e divertente come lei, i suoi occhi sono persi nel vuoto o inondati di lacrime ...
a volte, vorrei che mi parlasse e mi dicesse chi, che cosa, perché le ha fatto tanto mal; perché non sorride mai; perché, a tratti, non vede più niente e comincia a salire un calvario che le toglie le forze; perché resta in piedi fino a tardi, la notte, come aspettasse qualcuno che non vuole arrivare ... la disperazione le ferma il respiro ed è costretta a soffocare i lamenti che, impietosi, si depositano sul cuore ...
Questa donna, forse, ha perso l'anima, è questa che va cercando, annaspando a tentoni e lasciando dietro di sé una spirale di angoscia che contagia ogni cosa.
E' forte e fragile, disperata e senza speranza, oppressa da una solitudine che le si è incollata addosso e sta permeando ogni attimo del tempo che non sa più vivere.
Questa donna è una specie di viaggio interrotto, bloccata in una landa deserta tra una stazione e l'altra; sa da dove è partita, ma dubita di poter raggiungere una meta; è un'attesa infinita di un miracolo che possa di nuovo farla vibrare.
E' una passeggiata lenta sulla linea monotona e incolore di un encefalogramma piatto e una corsa frenetica e segmentata sul tracciato di un cuore in tumulto.
Io la osservo, questa donna, e quando avverto che sta per deragliare, le tendo la mano ... ma lei non la vede, forse non la vuole, persa com'è nell'inseguire il ricordo di un dialogo di sguardi incantati tra una una bambina e la sua mamma che, perdendo ciascuna la propria identità, hanno costruito un legame d'amore, che la vita ha spezzato, ma che l'amore tiene ben saldo.
In questo cammino, attraversa le cose senza vederle, calpesta il suo dolore per sentirlo presente, perché sa che il dolore è la traccia indelebile di quello che ha perso e va inutilmente cercando.
Questa donna abita in me ... io sono la sua ragione ... lei è il mo cuore.
e tu, bimba mia, sei tutto il mio amore.
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Non serve a niente ...
non serve a niente aprire gli occhi la mattina ... non ti potrò vedere né abbracciare
non serve a niente cercare in me la voglia di fare una qualsiasi cosa ... è solo per te che farei qualsiasi cosa
non serve a niente parlarti come se tu fossi attorno a me o nella famosa stanza accanto ... non sento mai la tua voce che mi risponde
non serve a niente immaginare che sei partita per un lungo viaggio ... mi avresti mandato una fotografia al giorno
non serve a niente sperare che presto, prestissimo torni ... la tua ultima meta non ha ritorno
non serve a niente asciugare le lacrime ... solo tu le potresti fermare
non serve a niente ascoltare il mio cuore, se tu non puoi accarezzarlo con il tuo amore.
Non serve a niente vivere una vita che, senza di te, non serve a niente!
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Sono un cane perduto senza collare e senza occhiali da sole, e, per chi vive di buio e nel buio, gli occhiali sono più importanti di un collare che possa riportarlo a un incosciente o sbadato padrone.
Brancolo su strade assolate, mentre un bagliore accecante mi fa perdere l'orientamento e mi impedisce di vedere contro chi e contro cosa sto per andare a sbattere, certa che qualunque cosa sia mi farà male.
Ho bisogno di acqua, non perché ho sete, bensì per cercare di sciogliere quella patina di desolazione che mi si è incollata addosso, mi blocca il respiro e mi offusca la vista.
Credo che si senta così un animale abbandonato da un padrone crudele sul bordo di un'autostrada, frastornato, incredulo, inerme.
Ma capita spesso che qualcuno di buon cuore, trovandosi di fronte due occhi smarriti e imploranti, accompagnati da flebili guaiti, si prenda cura di quell'animale, sempre che sia riuscito a scansare i pericoli dei motori in agguato.
E anch'io là, al bordo della strada, con lo sguardo smarrito sul mio corpo ferito, scossa dai gemiti del mio insistente dolore, potrei avere chi si prenda cura di me, ma non è questo che mi serve ... ho bisogno di un viso che potrei, come un cieco, riconoscere al tatto; sono in cerca di un cuore, che era mio per diritto di sangue e conferme di amore; mi manca una voce che ripeta il mio nome; ho perso quel filo di premurosa, costante attenzione, perché niente e nessuno potesse farmi del male.
Ho solo bisogno di quello che avevo ... per questo sto là, in mezzo a una strada, senza occhiali da sole e senza collare, in attesa di quello che non potrò mai riavere.
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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