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Forum sociale europeo, le donne invadono Istanbul con le loro lotte.
La piazza Taksim, il salotto buono della Istanbul che guarda a occidente, sembrava popolata della solita calca affaccendata.
Giovani in camicia e valigetta di ritorno dal lavoro, ragazze in chiacchiere, i bar affacciati lungo la strada raccolti intorno al te del tardo pomeriggio. Sono scivolate con la forza del vento che dal Bosforo risale i vicoli e taglia la città. Prima un migliaio, le delegate della Marcia Mondiale delle donne che da oltre 30 Paesi di tutto il mondo si sono date appuntamento nella città turca per unire le forze e le lotte, dalla Palestina al Kurdistan, dall’Iran alla nostra civile Europa certificata, perché le morti si moltiplicano in famiglia, sul lavoro, come la spinta a tornare in casa, segregate, nell’ombra. Nel giro di un’ora sono diventate più di cinquemila, conquistando con canti e slogan gli applausi di altre donne, sorprese tra le strade dello shopping più elegante.
Si è aperta così la sesta edizione del Forum sociale europeo che dalla Turchia guarda a oriente, dove le frustrazioni delle lotte storiche in Kurdistan come in Palestina, si intrecciano alle nuove vertenze che seguono le filiere industriali, in prima fila quelle italiane dell’auto e della moda, attraverso le fughe verso i paradisi del lavoro “Pomigliano style”. “Un’altra Europa è necessaria”, è la risposta che le diverse migliaia di attivisti dei movimenti ma anche di sindacati storici come IG Metal, CGT, Solidaire, la Via Campesina, e i nostri Cgil, Fiom e Cobas, danno all’inconsistenza delle politiche del G8 e del G20 appena conclusi. Questo percorso nato nel 2002 a Firenze dopo la mobilitazione genovese del G8 e che ha toccato Parigi, Londra e Malmoe accompagnando l’elaborazione politica dei movimenti sociali europei, si articolerà fino a sabato in oltre duecento seminari dove costruire non soltanto un’agenda comune, ma anche pezzi di processo sul “che fare insieme” a livello europeo.
Seguendo il filo degli “abiti sporchi” che dai grandi marchi di casa nostra ci porta in Turchia, qui a Istanbul un caso esemplare l’hanno presentato ieri le attiviste della Clean Clotes Campaign insieme a operaie e operai della Deri-is, il sindacato che si è formato all’interno del gruppo turco Desa che fa pelletteria d’alta gamma per marchi importanti come Prada e Sansonite. I lavoratori della Desa, infatti, dopo anni di contratti capestro, orari impossibili, zero misure di sicurezza e licenziamenti immotivati, sono riusciti ad organizzarsi in sindacato e a lottare in fabbrica, con il sostegno dei sindacati e dei movimenti europei, per un lavoro migliore. “Nel 2008 Desa desa ha licenziato ben 38 membri del sindacato, in gran parte donne – ricorda Bilge Seckin di Clean Clothes Campaign - e lì è cominciato il calvario. Altri licenziamenti, pressioni, minacce e mazzette, che solo la grande pressione internazionale è riuscita a interrompere”. Prada, ad esempio,sotto la spinta dei consumatori e dei lavoratori italiani che hanno conosciuto le operaie turche grazie a incontri e iniziative e hanno unito le forze con la Clean Clothes perché le cose cambiassero, ha formalmente chiesto alla Desa di sottoscrivere un accordo di reintegro dei lavoratori licenziati e di riconoscimento dei diritti fondamentali. “Desa sotto pressione ha accettato, ma ora, a riflettori spenti e senza più il fiato sul collo, non rispetta il patto. Noi, come sindacati tessili europei – ha reso noto la presidente e rappresentante Cgil Valeria Fedeli – abbiamo appena chiesto formalmente all’Organizzazione internazionale del lavoro di intervenire presso l’azienda e il Governo turco perché l’accordo entri in vigore, i lavoratori rintegrati, compensati e sottoposti ad un trattamento più dignitoso”. Ma c’è un altro “ma” in questa brutta storia: “in alcuni stabilimenti i lavoratori turchi dicono di aver visto gli ispettori della responsabilità sociale delle “grandi firme” italiane passare davanti ai loro picchetti in sciopero senza chiedergli nemmeno chi fossero – racconta Bilge -. E che nessuno degli iscritti di Deri is fosse stato coinvolto negli audit in fabbrica”. Informazioni tutte da verificare, sottolinea, con date e dettagli. Chissà se il diavolo veste ancora Prada, quel che è certo è che tra G8, G20 e l’Europa politica che non c’è, fa ancora la bella vita, in Turchia come in Italia, e il conto – amarissimo – lo fa pagare come sempre a tutti noi.
Monica Di Sisto
vicepresidente di Fair da Instambul
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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