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Intervista a don Fredo Olivero, coordinatore dei centri di ascolto e accoglienza della Caritas-Migrantes di Torino

Post n°3657 pubblicato il 03 Agosto 2010 da cile54

Promozione della salute – sanità intercultura

 

Don Fredo Olivero è stato per molti anni responsabile dell’Ufficio “Stranieri e Nomadi” del Comune di Torino, ed è Direttore dell’Ufficio Pastorale Migranti dell’Arcidiocesi di Torino e Direttore di Migrantes Piemonte/Valle d’Aosta. Con pacata energia coordina stabilmente i centri di ascolto e accoglienza della Caritas-Migrantes con le attività della Pastorale. Le sedi torinesi di via Ceresole 42 e di via Riberi 2 registrano un flusso ininterrotto di persone provenienti dalle più disparate parti del mondo, che gli operatori e i volontari coinvolgono in una vasta gamma di iniziative di informazione, consulenza e formazione, di cui il sito www.migrantitorino.it fornisce un quadro aggiornato ed esauriente. “Quaderni” tematici di approfondimento su singoli problemi e un «Dossier” annuale di sintesi forniscono ulteriori occasioni di informazione/formazione e di analisi. Volumi e documenti specialistici sulle migrazioni sono disponibili in una piccola biblioteca aperta al pubblico. Da due anni è stata avviata la formazione di “leader di comunità” disponibili a fornire informazioni adeguate ai loro connazionali in materia di salvaguardia della salute, di utilizzo delle risorse sanitarie esistenti e di prevenzione di malattie e/odi situazioni di rischio come l’HIV e le infezioni sessualmente trasmesse.

D. Don Fredo, a che cosa si riconduce questa vostra iniziativa nel campo della tutela della salute dei migranti, a livello torinese e regionale?

R. Parto personalmente da due esperienze diverse vissute negli ultimi 32 anni con i migranti : come direttore di due uffici, cioè Comune di Torino e Chiesa, e per 11 anni in due ospedali torinesi. E accolgo come linea di intervento il 100 “Consensus Conference” della SIMM (Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, che si è svolto nel mese di febbraio del 2009 sul tema “Processi di promozione della salute nelle comunità multietniche: costruire ponti e/o cercare guadi”.

La tutela della salute degli immigrati (circa 4.900.000 in Italia, 50 milioni in Europa, compresi i nuovi cittadini) è sottoposta a diversi condizionamenti: fragilità sociale, accoglienza inadeguata, accessibilità ai servizi non diffusa. Se in Italia vi sono stati molti miglioramenti (es. cure sanitarie e riabilitative agli stranieri temporaneamente presenti (S.T.P., cioè i cosiddetti irregolari), c’è ancora molto da fare e ciò dipende molto dalle politiche nazionali e regionali. Tra le iniziative assunte a questi livelli ricordo, tra tutte, la Circolare Bindi del 2000 che ha salvato i servizi essenziali a tutti gli stranieri S.T.P. e la Circolare della Regione Piemonte (fine 2009) dell’Assessore Artesio sul divieto di denuncia dei malati irregolari curati nelle Aziende Ospedaliere e nelle Aziende Sanitarie.

D. Nei confronti di tutti i migranti, S.T.P. o non S.T.P. come continuare a promuovere la salute?

R. Si tratta di proporre in modo nuovo quanto abbiamo scoperto: la relazione, l’ascolto, l’organizzazione sono il vero percorso da compiere, “il guado da attraversare insieme” , come ha detto più volte il dott. Salvatore Geraci. past president della SIMM

Questo significa avere presenti gli effetti sulla salute delle persone quando si assumono provvedimenti legislativi nazionali o locali in tutti i settori. E quando una persona si ammala. Per la medicina e l’infermieristica significa abbattere barriere culturali, mettersi in gioco senza confini, attraversare il guado. Di solito si usa l’esempio del ponte (il contrario del muro), ma costruire ponti significa, anche, marcare una differenza, invece “il guado è il luogo mentale in cui cercare un legame, non una separazione, è un rapporto diverso con il limite che diventa risorsa.” (Gioacchino Lavanco). Diritto, dignità della persona, assistenza, cura, ricerca si coniugano insieme nell’attenzione al malato, a qualsiasi cultura appartenga.

D. Dalla tutela della salute passiamo ora allo specifico della sanità. Vuoi fornirci qualche esempio?

R. La prima cura è l’accoglienza. Sentirsi accolto come persona (con tutti i diritti) è la prima cura. Questo vale per tutti, italiani o stranieri. Se tu vivi una fragilità e ti senti rinfacciare quando viene curato o ricoverato, il tuo rapporto sarà di contrasto: “questo è un luogo che mi respinge!’ Quindi tutto sarà più difficile e il rapporto con gli operatori della struttura sarà conflittuale e poco collaborativo.

Con chi parla una lingua diversa (che esprime una diversità anche sul piano della interpretazione della malattia, del dolore) devo riuscire a dialogare, a leggere quello che sente e quello di cui ha bisogno. C’è forse bisogno di un mediatore culturale in ambito sanitario, di un referente di comunità capace ad esprimere nella mia lingua quello che il malato sente, ma sono certo che questo diventa utile solo quando voglio capire, quando voglio trattare il malato con la dignità che merita ogni essere umano. Infine ritengo essenziali molte mediazioni. Servono per favorire l’accesso ai servizi e la loro fruizione. Serve materiale informativo multilingue per far capire i meccanismi necessari alla fruizione dell’assistenza, ma, sovente, vi sono letture diverse della malattia che condizionano le cure.

La percezione della malattia è molto diversa tra un cittadino europeo, africano sub sahariano o cinese. Quando una malattia è letta come “maledizione” posso fare qualsiasi cura, ma questa cultura va rielaborata o i risultati saranno diversi.

Porto un esempio che ho vissuto. Al gruppo di persone colpite da HIV/AIDS che seguiamo da anni con psicologhe transculturali e mediatrici culturali (anche loro in cura) una mediatrice ci segnala la sua assenza per 2 mesi, poi sarebbe ritornata. Lascia anche le cure in questo periodo, torna e presenta un “certificato” di guarigione pieno di firme e di timbri, rilasciato dal guaritore africano. Alle analisi risulta aggravata per la sospensione delle cure, ma lei è convinta di essere guarita, perché la maledizione, il voodu le è stato tolto. Per questo ha anche pagato. Dopo parecchi mesi sta male, si aggrava e si convince che era un imbroglio. Ma appena tornata (parlo di una mediatrice culturale) era raggiante. Questo ci è servito per capire quale è la lettura del male fisico come frutto di maledizione di qualcuno, come abbandono di Dio. Comunque, al di là delle difficoltà, è certamente utile la mediazione per riuscire a superare i muri culturali e trasformarli in “guadi” transitabili.

D. Le diverse fedi religiose possono incidere nei processi di malattia e di guarigione?

R. Nella vita di molti immigrati è importante capire come possano influire anche sulla cultura: ad esempio, intendere la malattia come maledizione. La religione di guarigione c’è anche in chi dichiara una fede cristiana, perché dietro ha tanti aspetti della cultura “tradizionale”, della religione naturale che non è stata toccata né assimilata. Vi sono letture e interpretazione della vita in tempo di malattia molto diverse.

La fede può aiutare a elaborare la malattia , ad accogliere la morte come parte della vita, a vivere fino in fondo questo tempo, ma sempre con razionalità e lucidità. Teniamo conto ancora di un aspetto: non basta una risposta adeguata dell’ospedale se fuori le risposte sono inadeguate e contrapposte sul piano dell’integrazione abitativa, lavorativa, culturale, sanitaria. Lo sfondo integratore è una società capace di accogliere e integrare le differenze rendendole una risorsa.

D. Quale “sfondo integratore” possiamo aspettarci, nel breve periodo ?

R. Temo che con il clima politico e sociale attuale dobbiamo temere situazioni estreme di emarginazione. L’azione dell’ operatore sanitario deve avere come riferimento la tutela di ogni individuo anche contro qualsiasi provvedimento che possa metterla in difficoltà. La clandestinità sanitaria non giova né agli individui né alla collettività intera: nessuno si deve prestare a denunciare un assistito perché non ha le carte in regola. Passiamo dunque dalla denuncia all’accoglienza del diverso, dai diritti di carta a quelli reali, concreti, rendendoci sempre conto che la persona che curiamo appartiene all’unica razza: quella umana.

 

Guido Piraccini

Promozione Salute - Notiziario del CIPES Piemonte

 
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