RACCONTI & OPINIONIPagine di Lavoro, Salute, Politica, Cultura, Relazioni sociali - a cura di franco cilenti |
Segui il nuovo blog "Lavoro e Salute" su wordpress www.blog-lavoroesalute.org
---------------------------------------
Chi è interessato a scrivere e distribuire la rivìsta nel suo posto di lavoro, o pubblicare una propria edizione territoriale di Lavoro e Salute, sriva a info@lavoroesalute.org
Distribuito gratuitamente da 37 anni. A cura di operatori e operatrici della sanità. Finanziato dai promotori con il contributo dei lettori.
Tutti i numeri in pdf
LA RIVISTA NAZIONALE
MEDICINA DEMOCRATICA
movimento di lotta per la salute
TUTTO IL CONGRESSO SU
AREA PERSONALE
MENU
CERCA IN QUESTO BLOG
MAPPA LETTORI
« La commissione d'indagi... | Mentre vengono prolungat... » |
Metti un pomeriggio in posta a litigare sul razzismo
2 Agosto 2010. Ore 16.30 circa, Savona, via Au Fossu, palazzo delle Poste. Parcheggio lo scooter e vado a fare un versamento su un conto corrente postale. Sfortunatamente quel pomeriggio la rete dei computer è fuori uso e così i servizi postali sono serviti dal piccolo ufficio delle “Poste business”, quelle che curano gli affari dei clienti non “ordinari”, ma eccellenti. Tanto meglio o tanto peggio che sia, compilo il bollettino e mi metto in fila. Fa caldo, molto. Il che non aiuta ad arrivare a nobili pensieri. Tre persone di nazionalità non italiana stanno parlando con un’impiegata per ritirare della posta. Gli viene spiegato che per il ritiro della medesima serve un documento di identità. Mostrano il permesso di soggiorno. “Non è un documento valido”, spiega l’impegata. Non capiscono. La signora ripete quali documenti sono validi per avere la posta e, dopo un terzo tentativo, riesce a farsi comprendere.
La fila è lunga, ma comunque ne ho viste di più lunghe e con meno impiegati agli sportelli. Un signore sta dietro me e, gratuitamente, commenta ad alta voce: “Questi… se ne tornassero al paese loro! Avremmo già finito tutta la fila.”.
Mi sale la rabbia e la freno per un attimo, ma poi mi dico: “Ma è proprio giusto far finta di nient e stare sempre ammutoliti, pensando che è meglio la filosofia del ‘vivi e lascia vivere’”? Non è forse così che siamo arrivati a vivere in una società che fa dell’individualismo esasperato il suo codice etico, la sua conformazione antisociale e il perimetro di giudizio delle azioni degli esseri umani (e non solo)?
Allora mi volto e, con una qual certa cortesia, rispondo: “Non pensa che abbiano diritto anche loro di vivere in questo nostro ‘bel Paese’?”. La sopresa del mio interlocutore è evidente, anche perché anche io mi sono messo a parlare a voce non bassa e ho attirato l’attenzione dei presenti. Ne nasce un dialogo dapprima e una specie di lite poi: “E chi li ha chiamati qui?” mi replica l’uomo dalla maglia rosa (ma non è un ciclista). Risposta: “Probabilmente la fame e la miseria, forse le guerre che noi come italiani ‘civili’ andiamo facendo per il mondo. E comunque questa Italia è sempre più un Paese razzista e fascista”. Seccamente: “Non è vero!”. “Oh sì che è vero, lo dimostra il suo comportamento, il suo spazientirsi che scivola non in una guardata dell’orologio e in uno sbuffare semplice semplice, ma in una considerazione per l’appunto razzista che giudica gli altri dall’alto dell’italianità, dell’autoctonia”.
Il signore tace per qualche istante, poi riparte alla carica: “Io spero che questo governo li mandi via tutti e che duri altri cinque anni”. Invito a nozze… “Intanto non ha ancora fatto cinque anni e non mi sembra che goda di buona salute; e poi, a dirla tutta, un governo della vergogna come questo non meriterebbe di stare a Palazzo Chigi nemmeno un minuto: un insieme di piduisti, fascisti, neonazisti e xenofobi della peggior specie.”. Comincia a sudorare il mio interlocutore, io mi rinfresco un poco facendomi vento con bollettino postale. Ripartenza: “Io spero che li mandino tutti via, rompono solo i coglioni”. Aumento dell’adrenalina del sottoscritto, abbandono del presunto stile anglossassone sino ad allora mantenuto: “Io spero che li facciano entrare tutti, così non ci sarà più posto per lei in questo Paese!”. Torsione veloce e ripresa della posizione frontale in fila come gesto di comunicazione che il dialogo è finito.
Qualcuno davanti a me nella fila mostra un po’ di comprensione per le mie parole ma non osa esprimerlo; ne nascerebbe un’altra discussione probabilmente. O forse è anche solo paura di intrecciare le parole con il signore in rosa. Chissà… Intanto gli “stranieri” hanno preso la loro posta e hanno capito poco del dialogo intercorso nella fila.
Quando esco ho la soddisfazione di aver fatto bene a rispondere a quella persona. Forse la politica si fa anche così e forse anche così si dimostra che una coscienza civile, sociale e democratica esiste ancora e che molti hanno paura di mostrarla in tempi in cui val di più la caccia al migrante che la Caritas, l’additamento del clandestino che la solidarietà singola e sociale. Salvo sfruttare questi poveracci nelle aziende del Nord est, nei campi agricoli del Sud e del Nord, nelle improvvisate officine ti tintura dei vestiti dove rischiano ogni giorno di cadere a terra per malattie polmonari, per insufficienze respiratorie, per una paga da miserevole miseria.
Sì sono soddisfatto. Meglio di quando vado a fare un volantinaggio. E chissà… magari quel signore dalla maglia rosa un giorno potrà ripensare al nostro dialogo-scontro e, se verranno tempi migliori, ricordarsi che la solidarietà fa vivere chi la vive e la trasmette, mentre l’odio e il disprezzo abbruttiscono non solo i nostri sentimenti, ma anche il mondo che ci sta intorno fino a farlo sembrare peggiore di quello che realmente è.
Marco Sferini
03/08/2010
leggi www.lanternerosse.it
L'informazione dipendente, dai fatti
Nel Paese della bugia la verità è una malattia
(Gianni Rodari)
SI IUS SOLI
notizie, conflitti, lotte......in tempo reale
--------------------------
www.osservatoriorepressione.info
G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI
Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.
Più di 240 pagine e 250 vignette e illustrazioni/storie per raccontare (dal 2005 al 2012) com’è che siamo finiti così.
> andate in fondo alla pagina linkata e acquistatelo on line.
Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
DARE CORPO ALLE ICONE