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L’unica risposta del governo è: costruire altri centri di detenzione per migranti, colpevoli solo di richiesta di umanità

Post n°3710 pubblicato il 19 Agosto 2010 da cile54

Cie. La protesta e la ribellione degli immigrati

Ancora disordini e tentativi di fuga dai Cie, i Centri di identificazione ed espulsione all’interno dei quali vengono rinchiusi gli “irregolari”. Più o meno nelle stesse ore, tre episodi analoghi nei centri di via Corelli a Milano, di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, e Restinco, alle porte di Brindisi, tanto da far pensare agli inquirenti ad una regia comune.

 

Nel centro di Via Corelli, nella notte tra il 15 e il 16 agosto, intorno all’1 e 30, 18 reclusi sono saliti sul tetto dopo aver fracassato qualche vetrata. Le forze dell’ordine sarebbero riuscite a riportare la situazione alla normalità in circa 45 minuti. Il bilancio è di 11 feriti, 6 migranti e 5 poliziotti. Secondo la questura, 3 dei migranti avrebbero riportato lesioni alle gambe gettandosi dal tetto. Soltanto un algerino è riuscito a scappare. Gli autori della tentata fuga sono stati denunciati per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Questa è la terza sommossa che scoppia nel centro milanese negli ultimi 30 giorni.

 

La sommossa di via Corelli è stata preceduto dai tentativi di fuga nel centro friulano e nel centro pugliese. A Gradisca, una quarantina di “ospiti” hanno provato a fuggire forzando il lucchetto di un campo di calcio. In 25 sono riusciti a raggiungere il muro di cinta e a scavalcarlo. Poco dopo ne sono stati rintracciati 14 mentre tutt’ora in 11 sono ricercati. A Restinco, invece, sono riusciti ad dileguarsi in 10, su 30 che hanno tentato l’evasione. Le ricerche non hanno avuto buon esito nonostante l’impiego di uomini della polizia, della guardia di finanza e addirittura del battaglione San Marco. L’ultima ribellione di massa al centro brindisino risale soltanto al 6 agosto.

 

La situazione nei Cie è sempre più esplosiva. Le proteste, gli scioperi della fame e gli atti di autolesionismo sono ormai all’ordine del giorno. Nel mese di luglio sono scoppiati disordini a Milano, Gradisca, ma anche a Trapani, Bari e Torino. Non potrebbe essere altrimenti, viste le condizioni in cui vivono i reclusi, uomini e donne che per la stragrande maggioranza non hanno commesso alcun reato. Rinchiusi, in alcuni casi, dopo aver vissuto e lavorato svariati anni in Italia. Come Ben Asri Sabri, 32 anni, tunisino, che a luglio inscenò una protesta eclatante rimanendo per 3 giorni sul tetto del centro di Corso Brunelleschi a Torino. La sua è una storia come tante. In Italia dal 2003 faceva il pescatore ad Ancona. Il suo errore è stato quello di tornare in Tunisia a trovare la sua famiglia: nel viaggio di ritorno verso l’Italia è stato fermato al largo di Lampedusa. Era stato rinchiuso prima nel centro di Crotone e tradotto poi a Torino. A pochi giorni dal suo rilascio con un foglio di via, e dunque con la possibilità concreta di poter rimanere in Italia seppur nella clandestinità, ha saputo dell’accordo stipulato tra l’Italia e la Tunisia per facilitare e accelerare i rimpatri di massa.

 

L’unica risposta del governo è: costruire altri centri. Secondo il ministro degli interni, Roberto Maroni, ne verranno realizzati altri quattro prima della fine dell’anno: in Veneto, Toscana, Marche e Campania. Al momento i 13 centri esistenti hanno una capienza di meno di 2.000 posti e molti sono già sovraffollati. Si stima che in Italia ci siano tra i 500 e i 750 mila “irregolari”. Quanti altri Cie ci vorranno per rinchiuderli tutti?

 

Francesco Sellari

17 Agosto 2010

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