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Da Fini a Marchionne: "meno Stato più società”, la solita teoria del potere quando deve cambiare il cavallo stremato

Post n°3774 pubblicato il 06 Settembre 2010 da cile54

'Si scrive “meno Stato”, si legge soldi pubblici '

 

“Meno Stato più società”. Così titola l’editoriale del Corsera del 3 settembre rifacendosi, dice, alla via americana e inglese intrapresa rispettivamente da Obama negli Usa e da Cameron in Gran Bretagna.

Ma lo slogan non viene da lì, nel nostro paese, viene da più lontano. Uno slogan evocato fin dal Piano di rinascita di gelliana memoria, e ripreso dalle politiche di governo della seconda Repubblica. Nelle politiche della scuola, che con il ministro Berlinguer e la sua legge di parità hanno affidato ingenti finanziamenti pubblici alle scuole private, e nelle politiche per la casa, per i trasporti, per le pensioni, per la salute, per la cooperazione sociale. Ovunque si guardi, la musica è la stessa. E si può scoprire che è ricomposta in bella copia nel “Libro bianco” di Sacconi, citato en passant dal Corriere come se fosse l’ultimo ad avere scoperto la formula magica.

Un documento dal titolo “scuola libera!” del 2001, a firma di ventuno personaggi per lo più di matrice confindustriale come Romiti, Tronchetti Provera o Lorenzo Strick Lievers, ma anche centro destra e Pdl, da Ferdinando Adornato a Letizia Moratti, o professori come Carlo Bo, giornalisti come Dino boffo, fa da pilastro a questa impostazione, che guarda un po’ si apre con l’esplicita dichiarazione che lo Stato debba finanziare la scuola, pubblica e privata, ma stare fuori dalla gestione, che spetta ai protagonisti della competizione globale.

La classe padronale ha questo di bello, che non si perita di nascondere tra le pieghe di un discorso più diplomatico le sue mire. Una differenza sostanziale con i politici, primo il ministro di lavoro e welfare Maurizio Sacconi, e accanto a loro, i giornali embedded. Il ministro Sacconi, che di “meno Stato più società” ha recentemente parlato al meeting di Rimini, e poi nelle interviste che sono seguite al “Corriere della Sera” e al “Sole 24 ore”, lo ha fatto per disegnare un immaginifico futuro all’insegna della cooperazione di una rinnovata comunità, che operosamente lavora per sostenere servizi e lavoro, finalmente liberata dai tentacoli con i quali uno Stato burocrate tiene impigliate le migliori forze impedendo loro slancio e competizione sul terreno internazionale.

“Promuovere questa “big society” – scrive Maurizio Ferrera - significa dar respiro alle comunità locali, alle associazioni e ai movimenti di varia natura, alla filantropia, alle imprese senza fini di lucro”. Esattamente quel modello solidaristico che questa politica sta demolendo pezzo a pezzo con l’aiuto della classe imprenditoriale, a cominciare dalla presidente della Confindustria Marcegaglia che nemmeno un anno fa dalle colonne del suo giornale tuonava un “basta al socialismo dei Municipi”. Un esempio per tutti sono i 3000 posti della scuola che si stanno perdendo in Lombardia, mentre la stessa Regione dal 2001 riceve soldi pubblici per 30 milioni di euro per le scuole private, fino agli attuali 50 milioni, secondo ”l’8° rapporto sul buono scuola” per il 2009 realizzato dal gruppo consiliare regionale di Rifondazione comunista, sotto forma di “dote scuola”, un modo per eludere l’art. 33 della Costituzione e sostenere la sussidiarietà. Citiamo la Lombardia non perché il dramma della scuola sia più grave che ovunque, è sotto i nostri occhi la protesta di questi giorni che da nord a sud coinvolge tutto il paese. Ma il punto è che il modello Formigoni ricalca passo passo il documento confindustrial-pdiellino, e mostra la distanza che c’è tra la realtà e la sua rappresentazione, mettendo in pratica quel “più società e meno Stato”, che tradotto significa “meno servizio pubblico, ma più erogatore pubblico”, alla faccia di quel “lo Stato non è un bancomat” che è lo slogan preferito del ministro dell’economia Tremonti. Ovviamente, quando si tratta di sostenere il welfare.

Un punto che va tenuto in conto più seriamente, e in base al quale sarebbe ora di smettere di dire che questo governo non fa niente. Questo governo ha perseguito con tenacia la pratica dell’obiettivo di demolizione della cultura pubblica, a favore della cultura competitiva del privato. Ed è esattamente questa la società, quella “big society” che immagina mentre surclassa lo Stato, ovvero il pubblico, ansiosa di sparare il colpo d’inizio della corsa al massacro, dove rimane indietro chi semplicemente non impiega tutte le sue energie nel competere. Altro che qualità, ricerca, innovazione, diritti. La vicenda Fiat da questo punto di vista è esemplare, ed è ora di rendersi conto che queste sono le due facce della stessa medaglia, ed è ora di leggerle assieme. Le scuole pubbliche possono già scrivere venti anni di storia al riguardo.

Anna Maria Bruni

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