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Diritti, welfare e maternità: il manifesto del lavoro autonomo di seconda generazione

Post n°4250 pubblicato il 18 Gennaio 2011 da cile54

La marcia del Quinto Stato. Lavori in corso

 

Sono formatori, ricercatori, informatici, creativi e traduttori. Pagano le tasse e non sono «imprenditori di se stessi» come vorrebbe la destra. Ora chiedono diritti, assistenza e continuità di reddito nei periodi di inattività. Mentre a Rho si svolgono gli «stati generali della precarietà». E San Precario si riscopre «tuta blu»

 

Non sono evasori fiscali, come crede ancora la sinistra, e non sono gli «imprenditori di se stessi» che il berlusconismo dice di portare nel cuore. La «seconda generazione» del lavoro autonomo, composta da formatori, ricercatori, informatici, creativi e traduttori ha preso carta e penna e ha scritto il suo manifesto. Vuole creare una «coalizione sociale del lavoro indipendente» basata sul riconoscimento dei diritti di assistenza, continuità di reddito e ammortizzatori sociali nei periodi di inattività; chiede una «maternità universale» corrispondente ad un importo da versare per 5 mesi a tutte le madri che lavorano da stabili o precarie oltre che 5 mesi di contributi figurativi; pretende la garanzia del diritto alla formazione permanente visto che lavora con la conoscenza e deve aggiornare costantemente il suo profilo professionale.

Alla scrittura delle 22 pagine del manifesto di Acta, l'associazione dei consulenti del terziario avanzato fondata a Milano nel 2004 e presieduta dalla ricercatrice Anna Soru, ha contribuito Sergio Bologna, storico del movimento operaio e consulente da 25 anni. In questo testo denso e impegnato, scaricabile dal sito actainrete.it, non mancano i toni aspri della polemica. Acta giudica «scandalosa» la gestione del fondo separato dell'Inps dove sono iscritti 1 milione di lavoratori parasubordinati - i collaboratori a progetto e tutte le altre 33 forme di lavoro intermittente - e 350 mila lavoratori autonomi. Queste persone contribuiscono alla gestione separata senza alcuna speranza di ricevere una pensione decente. In compenso finanziano una parte sostanziosa della cassa integrazione dei lavoratori privati il cui importo è esploso con la crisi. L'ingiustizia è clamorosa. Per 100 mila euro versati in una vita si ha al massimo una pensione di 5620 euro lordi annui. Questo solo per dare l'idea di cosa accadrà ai precari alla fine della loro «carriera». Negli ultimi 14 anni, cioè dalla riforma contributiva delle pensioni, nessuno ha voluto mettere limite al peggio. Tutti i governi di destra e di sinistra hanno continuato ad alzare la percentuale di contribuzione sul reddito dal 10 al 26 per cento. Chi lavora in un campo non regolamentato da un ordine professionale deve versare all'Inps 1 euro sui 4 guadagnati, mentre chi è iscritto ad un ordine ne versa 1 su 5 ad una delle 19 casse previdenziali autonome.

In un simile quadro sociale, il manifesto registra un nuovo, diffusissimo, fenomeno. Il passaggio dei lavoratori a progetto alla partita Iva. La principale responsabile è la pubblica amministrazione che, dinanzi al blocco delle assunzioni dalla fine degli anni Novanta e all'annunciato taglio di 300 mila posti, impone ai parasubordinati, come agli stessi professionisti, la partita Iva per risparmiare sugli oneri contributivi. Sono tutti elementi che portano a pensare che, per necessità o per libera scelta, gli iscritti alla gestione separata che esercitano le professioni non regolamentate legate al lavoro della conoscenza nel pubblico o nel privato aumenteranno nei prossimi anni. Acta si rivolge a chi lavora nei «servizi alle imprese», cioè nel «terziario avanzato» dei media, della consulenza alle imprese, nella formazione, nei beni culturali e nella sanità. L'area di intervento è stata perimetrata con cura analitica alla classe dei lavoratori della conoscenza da sempre esclusa dalle forme di welfare, ma centrale per lo sviluppo postfordista della produzione che negli Stati Uniti, come in Europa, è stato travolto dalla crisi. La proposta della coalizione, e della solidarietà intergenerazionale, contenuta nella terza parte del manifesto non esclude gli altri lavoratori della conoscenza, dello spettacolo o della cultura. E, in potenza, tutte le forme del lavoro intermittente.

L'interesse che Acta ha suscitato tra i movimenti sociali si spiega per avere spostato l'attenzione dalle competenze professionali - il centro di interesse ad esempio del Colap, un coordinamento costituito da 218 associazioni professionali- alla condizione umana ed economica che interroga tanto il «ceto medio» che sta sul mercato da 20 anni, quanto i giovani che lavorano dal 1996 e oggi non hanno alcun futuro. Solo a Milano sono oltre mille gli aderenti al progetto di auto-organizzazione sindacale a cui Acta si ispira, quello della Freelancers Union americana, il più grande sindacato del lavoro indipendente al mondo con 120 mila iscritti. Fatte le debite proporzioni, in Francia e in Inghilterra, meno in Germania, si assiste da tempo ad un processo di auto-organizzazione che nel nostro paese ha iniziato ad interessare i sindacati confederali. Prima si è mossa la Cisl, impegnata nel lavoro autonomo di prima generazione, quello del commercio, che ha fondato la Felsa. Poi è venuta la Cgil con la «Consulta del lavoro professionale». Sono piccoli segnali che giungono dopo un silenzio trentennale, anche se non scalfiscono l'enormità della questione sociale del Quinto Stato. I dati Cnel risalgono al 2004, ma rendono l'idea. Sommando il lavoro atipico, autonomo e informale, il Quinto Stato raccoglie 3,7 milioni di persone. I numeri sono raddoppiati. È quello che si prepara alla fine della crisi. L'occupazione resterà a zero e sarà necessaria una radicale riforma del Welfare. 37 MILIONI di persone lavorano come intermittenti, precari o autonomi. I dati del Cnel risalgono al 2004, ad oggi dunque è facilmente immaginabile che il loro numero sia aumentato. Acta, un network per il lavoro indipendente

Tra gli obiettivi dell'associazione dei consulenti del terziario avanzato (Acta, nella foto Anna Soru, il suo presidente) c'è una revisione del trattamento previdenziale per i lavoratori autonomi, l'estensione delle tutele sociali per la malattia, la disoccupazione e la maternità per le lavoratrici sotto i trent'anni che non hanno diritto al congedo parentale nè all'allattamento.

 

Roberto Ciccarelli

16/01/2011

www.ilmanifesto.it

 
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