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Fermiamo i jeans "assassini"
I capricci estetici della moda sanno diventare spesso una scure feroce per gli umani e l'ambiente. I lavoratori sono quasi sempre l'anello più debole di questa catena agganciata a doppia maglia con il profitto spinto, che non di rado ignora le norme per tutelare incolumità e salute, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
L'ultima pesante denuncia arriva dalle organizzazioni aderenti alla Clean Clothes Campaign, che si scagliano contro i jeans prodotti con l'effetto scolorito, un must di molti grandi marchi dell'industria della moda, ottenuto con il "sandblasting", la sabbiatura, tecnica che provoca una forma acuta di silicosi in chi la pratica. I lavoratori coinvolti, spiegano gli attivisti, possono contrarre la patologia, a lungo termine letale, in soli 6-24 mesi. La Clean Clothes Campaign da tempo sta dicendo basta all'uso di questa tecnica che da oggi dilaga al livello internazionale, e chiede la totale abolizione dei jeans sabbiati.
La sensibilizzazione sul tema passerà su tutti i canali in grado di fare da cassa di risonanza alla denuncia, e con il diretto coinvolgimento dei cittadini. Il primo invito è quello di inviare una lettera di pressione ai più importanti marchi di moda e firmare l'appello internazionale rivolto a imprese e governi. Non mancherà Facebook, attraverso il quale verrà chiesto agli utenti di cambiare l'immagine del proprio profilo con il logo della campagna e a inviare foto e video con lo slogan della campagna. Infine i consumatori critici potranno trasformarsi in veri e propri attivisti scaricando dal sito una "tasca virale" da ritagliare e infilare nei jeans sabbiati in vendita nei negozi alla moda. Tra i marchi incriminati, in particolare Dolce& Gabbana, Armani, Diesel, Replay e Cavalli.
Malattia professionale legata all'esposizione alla polvere di silice, la silicosi è stata diagnosticata in associazione con la sabbiatura del denim per la prima volta in Turchia nel 2005, da parte di un medico che ne aveva constatato l'incidenza i determinati contesti lavorativi. In Turchia, dove la tecnica è stata proibita nel 2009, gli attivisti hanno già intentato cause legali contro i marchi affinché vengano accertate le responsabilità per i danni provocati e vengano assicurate cure mediche e risarcimenti adeguati alle vittime del sandblasting.
Per questo "migliaia fra attivisti, medici, sindacalisti e organizzazioni per i diritti umani - spiegano i promotori dell'iniziativa - chiedono l'immediata eliminazione di questa tecnica". Ma i produttori sembrano impermeabili alla denuncia: le aziende che utilizzano il denim hanno, secondo le organizzazioni, volontariamente ignorato i continui appelli di sindacati, organizzazioni per i diritti dei lavoratori e associazioni mediche. Le grandi griffes internazionali come "Diesel, Dolce & Gabbana e Armani hanno rifiutato di instaurare un dialogo che portasse all'eliminazione definitiva del sandblasting dalle loro filiere di produzione, dimostrando molta più attenzione verso i loro interessi che verso i diritti dei loro lavoratori".
Tra gli aspetti più critici secondo le organizzazioni aderenti alla protesta, il fatto che i pantaloni vengano lavorati in paesi in cui mancano le basilari condizioni di igiene e sicurezza sul lavoro (Bangladesh, Cina, Messico, Pakistan ed Egitto) rendendo impossibile per i produttori garantire le procedure di sicurezza. Uno spiraglio arriva tuttavia da aziende come Levi-Strauss, Hennes & Mauritz (H&M) e Gucci che hanno già annunciato di voler cessare la vendita di questo prodotto.
Paola Simonetti
14/02/2011 www.rassegna.it
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Roma, 12 maggio 1977
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