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Un esauriente saggio di Omar calabrese per capire e capirci. Nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione

Post n°4434 pubblicato il 06 Marzo 2011 da cile54

Dieci parole che hanno confuso l’Italia

   

Molti hanno osservato, recentemente, che da circa quindici anni il linguaggio della politica italiana si è decisamente trasformato. Una volta esistevano una voluta oscurità e una ambiguità generalizzata, utile al puro effetto di presenza sulla scena pubblica da parte degli uomini politici, all’occultamento del significato per gli ascoltatori e i lettori, e alla possibilità di volgere il senso delle parole secondo le tattiche dell’occasione [1]. Italo Calvino, ad esempio, scriveva nel 1965: “Ogni giorno, soprattutto da cent’anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un’antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono pensano parlano nell’antilingua” [2].

 

Il fenomeno era, d’altra parte, conosciuto in tutto il mondo, e aveva dato luogo, fin dagli anni Trenta (soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra) a un movimento per un corretto uso del linguaggio nell’amministrazione della cosa pubblica, detto comunemente plain language, che ha ottenuto molti successi a partire da Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill, fino a Bill Clinton [3]. Esiste anche una vasta letteratura teorica sull’argomento, legata soprattutto alla “semantica generale” (da non confondersi con la “semantica” propriamente detta) di Alfred Korzybski, Samuel Ichiye Hayakawa e Stuart Chase [4]. Gli autori appena citati si applicavano, per l’appunto, all’analisi degli usi distorti del linguaggio politico, economico e amministrativo, nel quale rinvenivano degenerazioni tali da richiedere, come dirà poi Gregory Bateson, un’”ecologia della mente” [5]. Si veda, ad esempio, questo passo di Hayakawa sugli scopi delle sue ricerche: “The original version of this book, Language in Action, published in 1941, was in many respects a response to the dangers of propaganda, especially as exemplified in Adolf Hitler’s success in persuading millions to share his maniacal and destructive views. It was the writer’s conviction then, as it remains now, that everyone needs to have a habitually critical attitude towards language — his own as well as that of others — both for the sake of his personal well-being and for his adequate functioning as a citizen. Hitler is gone, but if the majority of our fellow-citizens are more susceptible to the slogans of fear and race hatred than to those of peaceful accommodation and mutual respect among human beings, our political liberties remain at the mercy of any eloquent and unscrupulous demagogue”. Non siamo troppo lontani dal concetto di “guerriglia semiologica” predicato da Umberto Eco negli anni Sessanta/Settanta, che doveva consistere nell’uso liberatorio e alternativo dell’analisi semiotica dei testi, capace di smascherare i trucchi persuasivi nascosti nelle parole del potere.

 

Il linguaggio politico italiano, si diceva, oggi è decisamente cambiato. All’oscurità di un tempo si è sostituita una apparente chiarezza e semplicità, e uno stile diretto e molto aggressivo. Ciò dipende dal fatto che la politica ha assunto come palcoscenico i media, e la televisione in testa a tutti. Ha assorbito, pertanto, le modalità essenziali della comunicazione attraverso il piccolo schermo, e soprattutto quelle che trasformano la discussione politica in discorso polemico, scontro, duello [6]. Tuttavia, negli ultimi tempi il mutamento ha fatto un ulteriore passo in avanti. Dopo la fase iniziale che andava alla ricerca di modi anti-convenzionali, e creava i suoi effetti a partire da atteggiamenti come la sfida, la denigrazione o la seduzione nei confronti dell’avversario, sembra oggi che sia in atto un vero e proprio lavoro di anestesia sul linguaggio, orientato a far smarrire il significato proprio delle parole e delle frasi ritenute più tipiche nella tradizione ideale dei competitori, disorientando così il sistema di valori che ne sta alla base. In questo testo, prenderò come esempi dieci parole o sintagmi sui quali l’operazione è particolarmente evidente, e cercherò di osservare come la narcotizzazione attuale abbia il chiaro scopo di erodere il contenuto del discorso politico (quello dizionariale, ma anche quello enciclopedico, cioè non soltanto ciò che pertiene alla semantica lessicale, ma anche alla stratificazione storico-culturale delle parole), in modo da farlo divenire solo e soltanto adesione immediata alle persone e non più alle idee. L’analisi che segue sarà suddivisa in due parti. La prima riguarda il vocabolario della politica, e vedremo come l’operazione appena accennata si svolga sui termini di vecchia e nuova tradizione ideologica, sostanzialmente neutralizzandoli, usandoli come antidoto alla loro eventuale capacità di simbolizzazione, oppure deviandoli ed espropriandoli dai sistemi di valori di loro appartenenza. La seconda, invece, mostra come il medesimo risultato sia raggiungibile anche manipolando la lingua standard, per ottenere risultati di anestesia o eccitazione polemica del discorso politico nel quale sono utilizzati.

 

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