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Messaggi del 21/10/2010

La personalizzazione della politica, che ora ha successo anche in alcuni settori della sinistra variegata, il virus italiano

Post n°3934 pubblicato il 21 Ottobre 2010 da cile54

Ecco perchè in Francia succede quello che non succede da noi

 

Buongiorno a tutti, sono Mattia Morelli uno studente italiano di 23 anni residente a Parigi da circa un anno, e frequentante l'Istituto di Studi per il Sud America della Sorbonne Nouvelle. Da tanti anni sono un attivista politico, sia in Italia che in Francia con la mia adesione al PCF e al MJCF.

Ho avuto la fortuna di assistere a tutte le fasi di lotta che hanno portato la popolazione francese ad organizzarsi contro il governo di Sarkozy, sin dal primo giorno di proposizione del progetto di riforma delle pensioni ( rèforme des retraites) proposto dal governo Sarkozy per mano del ministro al lavoro Eric Woerth. Il 16 giugno 2010 è stato presentato il progetto di legge che prevede l'allungamento dell'età legale per la pensione da 60 a 65, poi attualmente rimodulato da 60 a 62 a partire dal 2010. Mentre il periodo contributivo per beneficiare della propria pensione aumenta da 40 anni a 41 nel 2012. Ma la cosa più contestata è il passaggio dalla corresponsione della pensione per ripartizione alla modalità contributiva. La metodologia ripartitiva, esistente in Italia fino alle riforme Amato (1992) e Dini (1995) in Francia è tutt'ora in vigore. Questa metodologia permette di far leva sulla solidarietà intergenerazionale, permettendo agli anziani di ricevere la propria pensione grazie al lavoro dei giovani. E' un sistema altamente solidaristico che oggi è messo in discussione non tanto dall'aumento dell'ètà media ma da l'aumento della disoccupazione giovanile. La destra francese (così come il centro-sinsitra italiano che adottò gli stessi argomenti politici) facendo leva sul controllo della spesa pubblica giudica questo sistema insostenibile, e per questo motivo propone il metodo contributivo. Attraverso questo sistema ognuno pensa per se, come ad esempio investire il proprio TFR nei fondi pensione privati in modo da ottenere degli interessi. Quindi le pensioni rientrano nel gioco del mercato.

Sin da subito i sindacati francesi si sono opposti fortmente, primo fra tutti la CGT, il più grande, rappresentativo, e in questo momento, il più combattivo dei sindacati francesi. Anche i partiti politici della "sinistra" si sono opposti più o meno fermamente, la posizione chiara e netta era del PCF e dei suoi partner del Front de Gauche, ma anche il partito trozkista del NPA. Il Partito Socialista ha da subito espresso un NO alla riforma di Sarkozy, ma solo dopo che si è visto un po' nell'angolo ha accettato anche lui lo slogan "Les retraites à 60 ans".

La prima manifestazione a seguito del primo sciopero generale si ebbe il 26 giugno 2010. Poi la successiva a Luglio. I mesi estivi hanno un po' intiepidito la costanza della lotta, infatti era frequente ascoltare lamentele di chi diceva che si sarebbe dovuto procede con la grève reconductible sin da subito. Ma non sempre quello che tace è fermo. In questo caso posso parlare della mia esperienza personale nel PCF. Il Partico Comunista francese ha sin da subito individuato questa lotta come fondamentale. Per questo motivo ha deciso di investire un quarto delle risorse del suo patrimonio in materiale di propaganda, formazione e di lotta contro questa riforma. Una mossa molto intelligente, da una parte i militanti erano formati e preparati attraverso le diverse università esitve del partito, le riunioni di sezione e i professori vicini alle nostre posizioni. Ogni cosa parlava solo in ottica della lotta contro la riforma. Questa preparazione da quanto ne sappia, è stata comune ad altri partiti, compreso il PS. Questo ha permesso di ripartire con grande vigore a settembre. Un primo sciopero generale la prima settimana di settembre, per poi continuare nella seconda, e con due scioperi generali a settimana verso la fine del mese. Ora è stata dichiarata la grève recondutible, ovvero, ogni giorno si decide di continuarla per quello successivo. Due grandi appuntamenti settimanali sono il martedì e il sabato per le strade della francia. Sono stati battuti tutti i record di presenza. La più grande mobilitazione degli ultimi 15 anni, secondo i dati ufficiali. L'opposizione politica propone dei punti comuni di discussione, ad esempio vi invito a leggere la contro riforma proposta dai parlamentari del PCF, molto interessante e concreta.

Penso che per fare lo stesso in Italia dovremmo iniziare a riorganizzarci prima di tutto, la sinistra istituzionale e sociale non sono due cose differenti. Solo con l'unità di classe potremo mettere fine al governo delle destre. La soluzione della personalizzazione della politica, che ora ha successo anche in alcuni settori della sinistra (anche extraparlamentare) non è la soluzione, ma solo una bella illusione.

Questo significa lavorare all'unità dei partiti della sinistra e dell'opposizione, l'unità dei lavoratori e dei cittadini in un programma comune, pochi punti, fra i quali il principale deve essere la centralità del lavoro, in cui lavorare è una necessità per vivere e non dove si vive e si crepa per lavorare. In poche parole, rimettere la questione di classe al centro del dibattito politico.

 

Mattia Morelli

20/10/2010

 
 
 

Giornata europea contro la tratta degli esseri umani. Il monitoraggio presentato da Gruppo Abele di Don Ciotti

Post n°3933 pubblicato il 21 Ottobre 2010 da cile54
Foto di cile54

Uomini soli tra 20 e 40 anni: l'identikit dei lavoratori sfruttati  

 

Giovani, tra i 20 e i 40 anni, in prevalenza uomini celibi o coniugati, ma senza famiglia al seguito, provenienti da Est Europa, Africa, Cina e America Latina. È l’identikit dei migranti vittime di tratta e sfruttamento a scopo lavorativo in Italia secondo il monitoraggio presentato oggi dall’associazione Gruppo Abele. “La vita delle persone non si vende e non si compra – ha affermato don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione in apertura al seminario su sfruttamento lavorativo e lavoro nero organizzato a Torino dallo sportello giuridico Inti dell’associazione Gruppo Abele in collaborazione con Asgi e Caritas Italiana – e non può chiamarsi civile una società in cui non si producono le condizioni perché la vita sia rispettata. Lo sfruttamento crea ingiustizia e insicurezza sociale e non può esservi vero benessere per nessuno finché questo poggia sulla riduzione dell’altro a strumento di vantaggio per fini economici”.

 

Nel gennaio 2010 la rivolta di Rosarno ha portato alla ribalta della cronaca le condizioni di degrado che da anni vivono nel sud Italia i braccianti agricoli immigrati. Arrivati in Italia per intermediazione di caporali, a cui devono una parte del loro futuro guadagno oltre a una cifra iniziale con cui “comprano” un contratto di lavoro che non verrà mai effettivamente stipulato. Si ritrovano a lavorare per 10-15 ore al giorno percependo un compenso in nero di 20-30 euro per la raccolta di frutta e verdura. Nessuna misura di sicurezza, nessuna copertura assicurativa, vitto e alloggio assicurato in condizioni igieniche spesso fatiscenti dallo stesso datore di lavoro, che in questo modo si guadagna la “riconoscenza” oltre che la totale dipendenza del lavoratore. Oltre che nel settore agricolo, più presente al Sud, lo sfruttamento lavorativo colpisce anche nei settori dell’edilizia e della cura delle persone: “Molte badanti o lavoratrici domestiche – ha spiegato Alessandra D’Angelo per lo Sportello Giuridico Inti - percepiscono compensi in linea con i parametri salariali previsti dai contratti italiani, ma vengono pagate in nero, restando così prive del permesso di soggiorno e spesso vivono nella casa presso cui prestano servizio. Anche per loro, come per molti braccianti, perdere il lavoro significa anche perdere la casa in cui vivere e questo compromette la capacità contrattuale del lavoratore”.

 

Invisibili, privi di legami sociali e sanitari, i migranti sfruttati lavorativamente finiscono spesso per essere intercettati dalle forze dell’ordine ed espulsi come “clandestini”, perché non vi sono strumenti e competenze sufficienti per riconoscere e assistere le vittime della tratta a livello lavorativo: “In Italia esiste un sistema normativo riconosciuto a livello internazionale a sostegno delle vittime di tratta che persegue gli sfruttatori – spiega Oliviero Forti per Caritas Immigrazione -. Ma le risposte in quest’ambito si sono indirizzate quasi esclusivamente verso la forma più evidente e raggiungibile dello sfruttamento, quello per fini sessuali. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, a fronte di un dilagare del fenomeno nel nostro Paese, non sono stati rivisti e attualizzati gli strumenti giuridici che avrebbero dovuto aiutare le vittime”. L’articolo 18 del Testo Unico per l’Immigrazione prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso si ravvisino condizioni di grave sfruttamento e il pericolo di subire violenza per la vittima o i suoi familiari. Una norma che consentirebbe ai lavoratori stranieri sfruttati di poter ricostruire un progetto migratorio, eppure, come ha sottolineato l’avvocato dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Lorenzo Trucco: “Sono ancora pochi i casi di applicazione dell’articolo 18 per persone vittime di sfruttamento lavorativo, perché a differenza dei casi di sfruttamento a fini sessuale, è più difficile dimostrare tramite indagine la presenza del reato di sfruttamento lavorativo”.

 

In pochi denunciano gli sfruttatori, per paura e perché non ravvisano l’utilità che potrebbe scaturire dall’avvio di una vertenza nei confronti dei datori di lavoro: “Nel fare vertenza la persona migrante, a cui pure lo Stato garantisce la tutela in caso di sfruttamento lavorativo – ha sottolineato l’avvocato Marco Paggi (Asgi) - teme di poter essere successivamente espulso e per questo rinuncia ai propri diritti e accetta le condizioni di lavoro dettate dallo sfruttatore. La paura è cresciuta con l’emanazione del cosiddetto pacchetto sicurezza – prosegue – che prevede l’espulsione obbligatoria degli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno”.

 

I migranti sfruttati svolgono un’attività lavorativa e vorrebbero essere messi in regola, invece “i loro diritti sono sempre più compromessi da una normativa in materia di immigrazione che li confina nella clandestinità – ha spiegato Ornella Obert per lo sportello Inti - e nell’impossibilità di far valere i diritti che sarebbero di tutti i lavoratori”.

 

Le associazioni e gli enti che operano per la tutela delle persone vittime di tratta e sfruttamento lavorativo guardano con fiducia al recepimento della direttiva europea che introduce sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e che apre delle possibilità di regolarizzazione per i lavoratori presenti in modo irregolare sul territorio (direttiva 2009/52/Ce): “Con questo ultimo strumento – spiega Paggi – pensato appositamente per lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero, assieme ad una corretta applicazione delle norme vigenti in Italia, la tutela dei diritti dei lavoratori stranieri potrebbe fare un considerevole passo in avanti”.

 

19/10/2010

redattoresociale.it

 
 
 

Questa à l'Italia delle destre al governo, la tangentopoli DC/PSI al confronto è paragonabile al furto della marmellata

Post n°3932 pubblicato il 21 Ottobre 2010 da cile54

Sprechi e corruzione dilagante l'allarme della Corte dei Conti

 

Due ex sottosegretari indagati l'uno per corruzione l'altro per camorra, sottratti al giudizio dei magistrati grazie allo scudo parlamentare votato dai loro colleghi di centrodestra. Un ministro travolto dallo scandalo di una casa di 180 mq con vista sul Colosseo pagata in buona parte - così si dice - da un membro della famigerata "cricca", il gruppo di imprenditori "ammanicato" con la protezione civile. Mettere un imprenditore a Palazzo Chigi non è servito a rendere l'Italia più pulita e onesta. Il lato oscuro del "governo del fare" berlusconiano è stato messo in evidenza dal nuovo presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, in occasione della cerimonia di insediamento: «Gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche, talvolta di provenienza comunitaria, persistono e preoccupano i cittadini ma anche le istituzioni il cui prestigio ed affidabilità sono messi a dura prova - accusa Giampaolino - da condotte individuali riprovevoli».

Nessun riferimento diretto a fatti e persone. Nemmeno alle ultime polemiche, sollevate dall'inchiesta di Report sulla residenza di Antigua del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. L'utilizzo di società "off shore" da parte di rappresentanti delle istituzioni «fuoriesce dalla competenze della Corte dei conti», puntualizza. Un atteggiamento comprensibile da parte di chi occupa un ruolo istituzionale, al di sopra delle parti. D'altro canto va ricordato che anche nel cesto del centrosinistra qualche mela mercia in questi mesi è saltata fuori, così come però va sottolineata la risposta ben diversa - anche di tipo politico - che è stata data quando sono emersi comportamenti illegali o immorali rispetto al garantismo ipocrita che il centrodestra pretestuosamente invoca a protezione dei suoi esponenti.

Giampaolino è invece voluto tornare sulla recente polemica per l'attribuzione alla Protezione Civile di grandi eventi. Un'attribuzione che elimina il controllo della magistratura contabile e che ha consentito l'emissione di ordinanze su «grandi eventi a volte molto discutibili», ha sottolineato. La Corte ha invece sostenuto più volte l'opportunità che «si torni alle normali ordinanze» che attengono alla Protezione Civile in senso stretto. Cioè i grandi disastri e le calamità.

Il presidente dei magistrati contabili ha messo quindi le mani avanti su ciò che potrebbe verificarsi con altre «impellenze, tipo l'Expo di Milano». In questo caso la Corte vuole capire se «le normali procedure già previste non siano valide». Con l'avvio del federalismo, inoltre, che «moltiplica i centri di potere politico su diversi livelli», il ruolo della Corte dei conti come «istituzione di garanzia del corretto uso delle risorse pubbliche» s'intensifica.

Dopo avere richiamato la politica a seguire i valori di «onestà degli intenti e dei comportamenti», Giampaolino si è soffermato sulla situazione economica del paese. Che non è affatto rosea. La crisi ha infatti portato ad una perdita permanente di circa 130 miliardi di Pil e 70 miliardi di entrate fiscali. «Dal punto di vista strutturale - osserva il presidente - se non aumenta il pil, è difficile che possa aversi un aumento delle entrate. Questo vuol dire che «al momento attuale solo attraverso la riqualificazione della spesa pubblica possono aversi dei risparmi» per intervenire sulla pressione fiscale. Nonostante la crisi renda «obbligata una linea di attenta gestione di finanza pubblica», occorre comunque sostenere i «redditi più bassi» garantendo al tempo stesso «le prestazioni essenziali alla collettività».

Roberto Farneti

20/10/2010

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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