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Messaggi del 14/11/2010

Il 16 novembre 2010 dalle ore 10,30 noi, malati in carrozzina, anche con tracheostomia e PEG a Roma

Post n°4018 pubblicato il 14 Novembre 2010 da cile54

Malati Sla in piazza «Negata l'assistenza»

 

Egregi Ministri Fazio, Sacconi e Tremonti,

Vi scrivono due malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), a nome di numerosi altri malati e dalle loro famiglie, che da anni attendono l'approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per una assistenza domiciliare adeguata e che possa definirsi degna di un paese civile. I malati SLA e le loro famiglie sono stanchi di promesse: hanno seguito per anni i lavori delle Commissioni, ultima in ordine di tempo la Consulta delle Malattie Neuromuscolari che, nominata dal Ministro Fazio, ha prodotto documenti regolarmente accantonati.

 

I "nuovi" Livelli Essenziali di Assistenza, ritirati oltre due anni fa dall’attuale governo, “sono stati rivisti e su quello schema sono confluite elaborazioni e considerazioni provenienti dalla Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei LEA, organismo che è stato istituito appositamente, che nell’approvare i vari elaborati, ha tenuto presente non solo del rapporto positivo costo-efficacia, ma anche del criterio della coerenza col quadro delle disponibilità finanziarie del servizio nazionale” (per usare le parole del Sottosegretario Vegas). Due lunghi anni per arrivare ad nuova stesura e poi, dal febbraio di quest'anno, la pratica è ferma sul tavolo del Ministro dell’Economia per la quantificazione dei costi. Più che una scrivania, un binario morto.

Scesi in piazza, il 21 giugno, siamo stati frettolosamente congedati dal Sottosegretario Letta, ertosi allora a Presidio in favore dei disabili e garante di una pronta approvazione dei LEA.

 

In ultimo, un ordine del giorno approvato dal Governo impegnava il Governo stesso ad emanare, entro il 30 settembre 2010, il DPCM sui LEA, termine da considerarsi perentorio, salvo che il Ministro Tremonti non fosse intervenuto in Aula a riferire sulla mancata emanazione, chiarendone il motivo. E, infine, Vi chiediamo: che n'è stato dei 300 milioni stanziati dal Ministro Sacconi per la non autosufficienza?

Anche se indignati, stanchi, delusi e molti di noi addirittura alla disperazione, non abbiamo perso la voglia di lottare per vivere una vita degna, perciò abbiamo deciso che

 

Il giorno 16 novembre 2010 dalle ore 10,30 noi, malati in carrozzina, anche con tracheostomia e PEG, saremo davanti al Ministero dell'Economia per farci carico di un presidio permanente sino a che il Ministro Tremonti non ci darà risposte esaustive. Chiediamo il rispetto del diritto costituzionale ad una vita accettabile e dignitosa.

 

Vi rendiamo noto quanto è urgente e prioritario in questo senso:

1. Copertura finanziaria ed approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e relativo nomenclatore tariffario degli ausili.

2. Finanziamento di 100 milioni di euro per il percorso assistenziale proposto dalla Consulta Ministeriale delle malattie neuromuscolari, tale finanziamento dovrà essere riservato al sostegno alle famiglie per la formazione e l’assunzione di Assistenti Familiari. Le Regioni dovranno contribuire con una pari quota.

3. Finanziamento di 10 milioni di euro per ricerca di base e clinica da effettuarsi in 10 centri universitari italiani con metodologie ed obiettivi condivisi e sinergici.

Tutte le persone non autosufficienti e tutti coloro che sono affetti da gravi malattie altamente invalidanti attendono da Voi provvedimenti concreti. Speriamo vivamente che non appena riceverete questa lettera decidiate subito che la vita delle persone è più importante di tante spese che possono aspettare, come ad esempio i miliardi previsti per gli aerei da combattimento F35, che sono uno schiaffo all'intelligenza umana ed alla vita stessa.

 

Salvatore Usala

malato di Sla

membro Commissione Regionale Sla Sardegna

Segretario Viva la Vita Sardegna ONLUS

Alberto Damilano

medico e malato di Sla

Cinzano Torinese (To)

13/11/2010

 
 
 

"Il bambino con le braccia larghe". Un libro/testimonianza di Carlo Gnetti, Scrittore e giornalista

Post n°4017 pubblicato il 14 Novembre 2010 da cile54

Psichiatria, liberare la 180 dai "normali"

"Il bambino con le braccia larghe" (Ediesse, pp 204, 10 euro) non è solo il racconto di un caso di malattia mentale. Non è solo una "biografia doppia", dell'autore e di suo fratello Paolo. E non è solo l'ennesima testimonianza sul difficile cammino di una legge, la "180", che tutto il mondo invidia all'Italia e che gli italiani non sanno nemmeno che esiste. Gli italiani sanno soltanto che prima c'era il manicomio, e che adesso non c'è più. Gli italiani si lamentano quando un "pazzerello" disturba loro la passeggiata. Gli italiani confondono continuamente il tema della sicurezza con quello della terapia psichiatrica. Gli italiani nemmeno sospettano che in realtà il reinserimento della marginalità è, in qualche modo, il loro reinserimento, il reinserimento di una comunità nel mondo di un accettabile buon senso. E' di questo che parla in fondo il libro. Parla di percorso di vita individuale caratterizzato dalla patologia e quindi necessariamente "allargato". Carlo si assume la responsabilità, tutta sperimentata sul campo, di essere la navicella spaziale che collega mondi tra loro lontani cercando una rappresentazione se non proprio coerente almeno dialogante. Contraddizioni, battaglie, muri di gomma, piccole vittorie e immediati rovesci, questa è più o meno la sintesi della cronaca di questi viaggi. Liberazione ha intervistato Carlo Gnetti, giornalista di "Rassegna Sindacale" ed esploratore della "Legge 180".  

La storia tua e di tuo fratello, la vostra storia, insomma, illustra benissimo come la famiglia non è soltanto l'oggetto della cura ma anche il soggetto di un intervento complesso e articolato.

All'inizio della vicenda gli aspetti psicanalitici sono stati sicuramente prevalenti. Poi però si sono rivelati fallimentari perché non hanno avuto effetto su Paolo ma soprattutto sulla sua famiglia. Poi c'è stato un secondo elemento sempre legato alla psicanalisi, quello della rottura del cordone ombelicale. Questa pure è stata una tappa fondamentale nella sua malattia. A quel punto sono rimasto l'unico punto di riferimento. Paolo è stato isolato dal resto della famiglia. Il coinvolgimento dei famigliari andava quindi ricollocato in una diversa prospettiva.

Che tipo di problemi ha posto questo passaggio?

Dalla comunità è stato espulso perché il criterio era il reinserimento. Non essendo riuscita in questa mission è stato espulso per naturale turnover. Ci sono tipi di malati che si cronicizzano che non sono reinseribili. E' questo il punto. La comunità, comunque, di quel gruppo di quindici ne ha reinseriti dieci.

A quel punto sei dovuto reintervenire ancora tu...

A quel punto ho dovuto fare da interlocutore in questa fase di espulsione e di inserimento nella casa famiglia (ritorno nel possibile alveo della famiglia). Non è stata una cosa semplice. Mi sono trovato a decidere da solo anche per lui. Questo ti pone una serie innumerevole di problemi, di punti di vista, di valutazione completa delle motivazioni. Sono stato l'interlocutore unico nel momento della dimissione di Paolo dalla comunità. Mi sono trovato a decidere su cose che riguardano la vita di una persona. Il periodo della casa famiglia è stato anche interessante per certi aspetti perché in qualche modo Paolo ha anche acquisito alcuni diritti civili, come il voto. In una casa famiglia non sei più in una istituzione chiusa. Ma Paolo non poteva reggere la spinta alla responsabilizzazione. E così è stato escluso.

Dicevamo del ruolo mancante tra l'istituzione e il malato...

Tutta questa vicenda dimostra che pur essendo sotto la responsabilità pubblica manca quell'interlocutore unico che non ti costringa ogni volta a ricominciare tutto da capo. Alla fine ci si occupa del caso ma non della persona. Ho dovuto proprio fare da tramite tra Paolo e l'istituzione, non intesa come soggetto unico. Lui in realtà ha fatto quasi una sua evoluzione chiudendo con la sua storia il cerchio della legge 180. Una delle sue ultime esperienze è stata a Colle Romano che è la riproposizione del maniconio pura e semplice, forse a misura d'uomo ma sempre istituzione totale.

La chiusura dei manicomi a cosa ha portato?

Alla riproposizione di tanti piccoli manicomi sparsi nel territorio. Poi ci sono le Rsa che sono dei posti riservati ai malati cronici all'interno di altre strutture come cliniche e case di riposo. La differenziazione adottata in questo tipo di strutture, in sé, a seconda del tipo di malattia, può essere una cosa positiva, ma alla fine vedi che nella gestione quotidiana non ci sono troppe sottigliezze.

La crisi della 180, quindi…

La sanità è stata oggetto solo di tagli e non di investimento qualitativo. La psichiatria nell'ambito della sanità è stata sempre considerata una cenerentola. La psichiatria avrebbe bisogno invece di un approccio articolato e problematico. C'è stata qualche speranza di cambiamento solo quando c'è stata la volontà dei singoli e delle piccole istituzioni.

Però così i tempi si moltiplicano e le situazioni diventano più complesse. Così siamo costretti a rincorrere una materia sociale che si fa sempre più complicata e impenetrabile. E il mondo accademico che dice?

Appunto, è un nodo da sciogliere. C'è uno scontro in atto che è vecchio quanto la legge 180 tra gli organicisti, quelli che considerano la malattia mentale di origine organica e spingono verso una cura che si basa sugli psicofarmaci, e c'è invece una corrente della psichiatria che non è che neghi gli aspetti organici ma è più attenta agli aspetti sociali, ai servizi, all'impatto ambientale della malattia psichiatrica. Finché non si va alla ricomposizione di queste due tendenze e lo Stato non fa un investimento sugli interventi sostanzialmente avremo sempre una ombra pesante. L'ombra pesante è che la società e l'istituzione medica sembrano incapaci di capire che cosa è la malattia mentale e come trattarla in un modo sostanzialmente umano. Il punto è che, al di là della possibilità o meno di guarire dalla malattia mentale, i malati siano trattati come persone umane che hanno diritto di vivere, anche.

E poi c'è una impostazione culturale e politica che sembra regredire…

Il modo in cui il novecento ha trattato la malattia mentale è molto legato al fatto che il malato mentale non rientrava nelle logiche della produzione. Una persona improduttiva, in quanto tale, andava isolata e reclusa. Però piano piano si è preso coscienza. C'è una fondamentale differenza per esempio sul modo in cui viene considerato l'handicap oggi rispetto a quarant'anni fa. Si sta prendendo coscienza che le persone diverse non per forza vanno escluse dalla comunità umana ma vanno incluse e il percorso che porta alla loro inclusione è un percorso molto difficile che prevede anche dei passi indietro. Da questo punto di vista la legge 180 con il suo carico di valori positivi rimane un importante punto di riferimento

Nel tuo libro c'è un bellissimo capitolo, l'ultimo, dedicato alla "Art therapy".

Credo molto alla forza espressiva di questa pratica. Per me addirittura riscoprire a distanza di anni quei disegni è stato riscoprire un aspetto artistico di mio fratello che avevo dimenticato. Ero un po' scettico all'inizio ma rileggendo la relazione certo non si può parlare di un effetto terapeutico però è sicuramente un altro tassello nella umanizzazione della malattia mentale. L'espressione artistica dà la misura di come le persone valgono per quello che hanno dentro e non per quello che sanno fare.

Fabio Sebastiani

12/11/2010

 

leggi www.liberazione.it

 
 
 

Veltroni perde il pelo ma non il vizo.....di inficiare anche la più piccola speranza che l'Italia possa uscire dal berlusconismo

Post n°4016 pubblicato il 14 Novembre 2010 da cile54

L'AMICO DI BANCHE E PADRONI ED I NEMICI DELL'ITALIA

Così per Veltroni noi, che vogliamo andare al voto subito per cacciare Berlusconi, saremmo i nemici dell'Italia. Mentre lui, che oggi propone un governo di transizione che affronti i nodi della legge elettorale e si occupi dell'emergenza finanziaria e della situazione sociale del paese ne sarebbe il salvatore.

A prima battuta uno dei tanti italiani che non aspetta altro che la cacciata di Berlusconi potrebbe anche annuire a queste frasi. Chi conosce però la storia di questo paese invece sa che dietro queste parole c'è ben altro e sicuramente nulla di buono nè per le classi popolari nè per l'Italia. La proposta di Veltroni infatti è ben più pesante di un semplice governo di transizione, ed è più a destra di quello che fino ad oggi ha detto Bersani. Dire infatti che questo governo "tecnico" si debba occupare dell'emergenza finanziaria apre uno scenario nuovo anche all'interno del PD, uno scenario in cui Veltroni si mette al "centro" del rapporto con Api ed UDC per costruire le basi di un nuovo possibile spazio che utilizza la transizione per ricostruirsi e posizionarsi al centro del sistema politico post berlusconiano. Trattando con Fini e con il PD, questo centro d'interessi alzerebbe il prezzo ogni volta, giocando di concerto con Confindustria, banche, Vaticano... ed ambasciata americana. Sia chiaro però che questo schieramento non avrà le caratteristiche storiche della mediazione sociale interclassista stile DC, il capitalismo ed i poteri forti; la stessa composizione di classe italiana infatti è mutata. Mutato inoltre è anche l'architettura istituzionale dei poteri, dato che il governo economico dell'unione non è più una retorica, ma da qui a breve sarà il vero luogo in cui si concretizzeranno le scelte economiche e le "riforme strutturali". Banche, fondazioni bancarie, capitalismo finanziario, sono i veri poteri che oggi tengono il pallino, ed è su loro mandato che la casta politica si muoverà. Per fare un esempio comprensibile a tutti basta solo pensare quanto calore trovano le frasi di Mario Draghi nell'intero arco istituzionale. Ma quale sarebbe il mandato vero di questo nuovo blocco politico? Rassicurare i mercati, far chinare la testa al paese alla logica rigorista europea imposta dalla Merkel su mandato della Bundesbank con il nuovo patto di stabilità, intortare il conflitto sociale nel paese con il nuovo patto sociale cgil cisl uil. Sacconi insomma fa il lavoro sporco sull'art 18, Casini complice quanto lui, guida adesso il nuovo che avanza cominciando a dire che è arrivato il momento di scelte impopolari.

Se questi sono i nostri amici è meglio che cambiamo paese... o che lo facciamo cambiare a loro.

 

13/11/2010 

 
 
 

Stefano Corradino direttore di Articolo 21, a sostegno del quotidiano Liberazione

Post n°4015 pubblicato il 14 Novembre 2010 da cile54

«Informazione italiana in coma. "Liberazione" ti vogliamo bene»

«L'informazione è come il pane, perché è nutrimento delle coscienze e delle intelligenze. E in un mondo in cui dominano le grandi concentrazioni, da quelle industriali a quelle editoriali, le "piccole voci" come Liberazione rappresentano un insopprimibile spazio vitale di libertà e di democrazia». Inizia così la nostra chiacchierata "per Liberazione" con Stefano Corradino, direttore di Articolo 21. In fondo, come affermava il romanziere-filosofo francese Albert Camus, «la stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva, ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva».

La prima domanda al direttore di Articolo21 non può che essere la seguente: com'è lo stato di salute dell'informazione in Italia?

È in prognosi riservata. Prende botte da anni anche quando ha le spalle forti e la schiena dritta. È in coma farmacologico, specie quella che non ha padrini né padroni. Nutrita quel tanto che basta per sopravvivere, ma tra poco le scorte finiranno.

Quali sono i "sintomi"?

Censure, tagli, bavagli, autocensure, genuflessioni al potente di turno. L'informazione nel nostro paese non se la passa affatto bene. A dirlo non siamo noi ma le organizzazioni internazionali non governative, a partire da Freedom House che, nel rapporto 2010 sulla libertà di stampa, relega l'Italia al 72esimo posto nella classifica. Siamo sotto Capo Verde, il Ghana, la Corea del Sud…

Vuol dire che il nostro Paese non è libero?

Voglio dire che, proprio per usare la definizione di Freedom House, è partly free, cioè parzialmente libero. E questa mancanza di libertà ha una causa ben precisa che si chiama conflitto di interessi. Una grave anomalia o, per restare in ambito clinico, potremmo definirla una vera e propria metastasi.

Come giudica la politica del governo che ha deciso di tagliare i fondi per l'editoria cooperativa e di partito, tra cui "Liberazione"?

È una politica grave che viene fatta passare come misura inevitabile per fronteggiare la crisi economica quando in realtà non produce risparmi, ma solo stati di crisi. Industriale ed occupazionale. E rischia di mettere in ginocchio un intero settore e il suo indotto.

"Liberazione", "il manifesto", "Carta", solo per citare alcuni dei più importanti organi di stampa "di sinistra" tra quelli che rischiano di chiudere con i tagli del ministro Tremonti, potrebbero tra qualche mese sparire dalle edicole (purtroppo "Carta" ha già sospeso la diffusione nelle edicole) e, di conseguenza, dal dibattito politico italiano. Quali ripercussioni per il mondo dell'informazione e quali per i lettori?

La scomparsa di Liberazione e degli altri organi di stampa "di sinistra" è un presagio che va scongiurato, combattuto. I tagli del ministro Tremonti non sono affatto casuali dal momento che il suo capo, il presidente del Consiglio, ha recentemente affermato in pubblico che bisogna smettere di leggere i giornali, specie quelli di sinistra. È l'ennesimo editto. Una volta tocca all'informazione televisiva, un'altra alla carta stampata ma la logica è sempre la stessa: le voci scomode devono essere cancellate. Salvare Liberazione e gli altri giornali, difendere trasmissioni tv non omologate, non è solo salvare delle "voci libere" ma rispettare i principi della libertà d'informazione sanciti dalla nostra Carta Costituzionale e permettere che esistano anche programmi televisivi e radiofonici e organi di stampa al di fuori del campo gravitazionale delle grandi concentrazioni editoriali e dei grandi interessi.

Articolo 21 ha deciso di aprire le urne online ai cittadini sul voto di sfiducia al direttore generale della Rai, Masi. A prescindere dall'esito del voto, ci spiega il senso dell'iniziativa?

Quella di Articolo21 e Valigia Blu non è un'iniziativa ad personam ma una campagna di libertà. Crediamo in una Rai che sia realmente servizio pubblico, che non offenda l'intelligenza dei telespettatori scambiando le prescrizioni per assoluzioni. Che informi sui fatti, che premi gli autori e i conduttori di talento e non li "mobbizzi" e che non "dealfabetizzi" a colpi di plastici sui delitti da Cogne a Garlasco ad Avetrana.

Torniamo alla stampa. Oggi versa in uno stato di crisi che prescinde, però, dai tagli del governo (che saranno il colpo di grazia). L'emorragia di lettori in questi anni è stata inarrestabile. Quali, secondo lei, i motivi di questa crisi e quale la possibile via d'uscita per riportare questi giornali nelle tasche dei lettori?

Un sociologo americano dei media indica nel 2043 l'anno in cui uscirà l'ultima copia cartacea del New York Times. L'emorragia di lettori dei quotidiani è data anche dall'avvento di internet e delle nuove tecnologie. È un processo inarrestabile ma non necessariamente la pietra tombale della carta stampata. Il web e i vari supporti multimediali soddisfano i bisogni, reali o indotti, di informazione connettendoti in tempo reale per conoscere i fatti. Ma un bombardamento di informazioni non è necessariamente sinonimo di qualità. La funzione dei giornali dovrà essere pertanto di dare strumenti di comprensione e di approfondimento. Certo che se si procederà a tagli indiscriminati dei fondi all'editoria, ad eliminare le agevolazioni postali e a impedire ai giornali di poter esercitare il diritto di cronaca attraverso le leggi sulle intercettazioni la strada sarà breve, altro che 2043.

Per chiudere, veniamo al "principio" di questa intervista. "Liberazione" sta portando avanti una campagna straordinaria di sottoscrizione e sta chiedendo il sostegno di realtà e personalità della società civile, del giornalismo, della politica. Perché ha deciso di prendere la parola "per Liberazione"?

Per quattro ragioni: una giornalistica, una politica, e due… personali. La prima: abbiamo promosso sul sito di Articolo21 la vostra asta di quadri d'arte per salvare Liberazione perché riteniamo inaccettabile che un quotidiano che sei giorni su sette produce informazioni, fa seria analisi politica e dà grande spazio ad originali approfondimenti internazionali debba cessare di andare in edicola. La seconda: l'informazione è il cane da guardia del potere, politico ed economico. Non corteggia il potere di turno ma lo inchioda alle proprie responsabilità, lo incalza, lo sfida anche quando al governo sale chi è ideologicamente più affine. Liberazione non è mai stata tenera neanche con i governi di centro sinistra e ha maturato dibattiti difficili e laceranti sull'evoluzione del suo editore di riferimento. Altri giornali si guardano bene dal criticare il padrone… La terza: prima di intraprendere la carriera giornalistica sono stato militante politico e, poco più che diciottenne, segretario del Partito della Rifondazione Comunista ad Orvieto. È proprio attraverso questo giornale, allora settimanale, sotto le direzioni di Luciano Doddoli prima e Luciana Castellina poi, che ho cominciato a scrivere. Ha quindi per me un valore affettivo. La quarta ragione è "sentimentale": Ylenia, la mia compagna, è una fedelissima lettrice del vostro (nostro) quotidiano, è il suo primo giornale e mi segnala ogni giorno, puntualmente, tutto ciò che Liberazione, tra mille difficoltà, segnala, alimenta e dibatte.

Daniele Nalbone

12/11/2010

 
 
 
 

L'informazione dipendente, dai fatti

Nel Paese della bugia la verità è una malattia

(Gianni Rodari)

 

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Roma, 12 maggio 1977

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