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Messaggi del 15/11/2010

Si è cominciato con la legge Biagi, quindi il "collegato lavoro", ora si passa alla demolizione subdola dell'art. 18

Post n°4023 pubblicato il 15 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Cosa c'è dietro lo "statuto dei lavori"

Dopo il "collegato lavoro" sulle cui brutture e pericoli ci siamo soffermati quindici giorni orsono sulle colonne di questo giornale, è uscita dal vaso di Pandora del ministro del Lavoro un'altra mefitica proposta normativa, che speriamo non divenga mai legge perché travolta dalla rovina del regime berlusconiano.

Adesso occorre, però, opporsi comunque con la massima fermezza e fin da ora perché, con riguardo ai temi del lavoro, l'unità di intenti nel centrodestra (e tra il centrodestra e la Confindustria) non è mai venuta meno. Il "collegato lavoro", ad esempio, è stato recentemente approvato, a gran velocità, anche da Futuro e libertà e dall'Udc, in polemica con il Pdl su tutto, ma non sulle leggi che riducono e potenzialmente annullano i diritti dei lavoratori. Esaminiamo, dunque, questa sorta di "colpo di coda del caimano", questo progetto di "statuto dei lavori" che, indecentemente, scimmiotta, nel nome, la grande legge che è stata ed è lo Statuto dei lavoratori.

Si tratta tecnicamente di un progetto di legge delega per la emanazione di uno o più decreti legislativi diretti alla redazione di un testo unico denominato appunto Statuto dei lavori, che dovrebbe sostituire lo Statuto dei lavoratori, o, piuttosto, sovrapporsi ad esso e ad altre leggi di tutela. Diciamo "sovrapporsi" perché il progetto si caratterizza per una innovazione metodologica davvero perfida essendo d'altro canto la perfidia il tratto caratteristico dell'agire dei transfughi, al cui novero sicuramente appartengono gli autori e proponenti di questo progetto. L'innovazione metodologica consiste nel fatto che il nuovo testo legislativo invece di disporre direttamente previsioni peggiorative rispetto agli attuali in tema, ad esempio, di licenziamenti, di mansioni e qualifiche, di trasferimenti, di sanzioni disciplinari, di contratti precari, di orario di lavoro, di salario ecc., consentirà ai contratti collettivi di derogare in lungo e in largo le norme esistenti in relazione, ad esempio, alla collocazione territoriale o alla dimensione dell'impresa o al settore produttivo e così via.

Tanto per intenderci, i contratti collettivi potrebbero prevedere che in Calabria l'articolo 18 sulla tutela contro i licenziamenti non si applichi o si applichi solo sopra i 70 dipendenti o che nelle imprese fino a 20 dipendenti nel centro-Sud sia legittimo, in deroga all'articolo 2103 cod. civ. dequalificare il dipendente adibendolo a mansioni inferiori e così via. Ma quali contratti collettivi avrebbero questo smisurato potere derogatorio? La proposta di statuto dei lavori del ministro Sacconi non lo specifica e quindi si può intendere che lo avrebbero tutti i contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali ma comunque un'indicazione nel progetto viene pur data: che quei contratti collettivi in deroga dovrebbero valorizzare il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali.

Ed allora tutto è chiaro, e d'altro canto coerente con quanto già si è cominciato a fare con la legge Biagi e con il "collegato lavoro": i contratti collettivi cui si pensa sono quelli che saranno firmati dai sindacati - Cisl e Uil anzitutto - che si sono già ridotti ed umiliati ad un ruolo subalterno e servente verso la controparte datoriale e che cercano di fare degli "organismi bilaterali" il luogo di una gestione corporativa, complice ed autoreferente degli interessi dei lavoratori.

In tal modo la Confindustria e le altre organizzazioni datoriali diverrebbero, con la complicità di questi sindacati serventi, i veri legislatori in tema di lavoro, espropriando lo stesso parlamento. E per di più - occorre sottolinearlo perché questo è il peggio del peggio - legislatori del caso per caso a seconda delle convenienze. L'anticipo di questa strategia lo abbiamo già visto con l'accordo separato di Pomigliano, e con quello che ha introdotto l'articolo 4-bis del Ccnl metalmeccanico, che, appunto, consente deroghe locali caso per caso alle norme contrattuali.

Tutti comprendono che un diritto del lavoro ridotto ad una specie di "colabrodo" dal moltiplicarsi degli accordi in deroga cesserebbe di essere un diritto del lavoro, cioè un'insieme di garanzie certe per i lavoratori. Bisogna, però, chiedersi come si è potuti arrivare a questo punto non tanto in sede politica, perché questo è chiaro, ma in sede di teoria giuridica. Si può dire, veramente, a questo proposito, che "la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni": quando c'era l'unità sindacale il legislatore italiano concepì l'idea - in sé non peregrina - di una integrazione tra la fonte legale primaria e la fonte secondaria contrattual-collettiva, ritenendo che in tal modo i fenomeni sociali potessero esser meglio colti nella loro dinamica. Così, per intendersi, la legge invece di stabilire solo lei quando potessero essere stipulati i rapporti a termine aveva previsto che potessero essere conclusi anche nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Su un presupposto, però, tanto politico quanto giuridico, ossia che si trattasse di contratti stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi, e fin quando vi è stata l'unità sindacale, la rappresentatività di tali sindacati, che firmavano unitariamente era indiscutibile, ed era anche suplrfluo porsi il problema di misurarla. Ora è cambiato tutto, e non per nulla il progetto di "statuto dei lavori" conferisce un enorme potere derogatorio delle norme di legge alla contrattazione collettiva senza più accennare a questioni e misure di maggiore rappresentatività, proprio perché evidentemente si vuole che gli accordi derogatori della legge siano accordi separati, firmati dai sindacati collaborativi e serventi, ancorché comparativamente meno rappresentativi.

Si tratta di una strategia incostituzionale - sia chiaro - perché la stessa Corte costituzionale ha ritenuto legittima quella integrazione tra fonte legislativa e fonte contrattuale collettiva solo in quanto questa possa dirsi effettivamente rappresentativa dell'assoluta maggioranza dei lavoratori sindacalmente organizzati, ma questa considerazione non è sufficiente a rassicurarci: è ora, pensiamo, che la fonte legale e quella contrattuale riacquistino la loro distinta fisionomia e finalità, ma soprattutto che vengano fissati come condizione di legittimità della fonte contrattuale i suoi requisiti di maggiore rappresentatività e di rappresentanza, ossia di conformità verificata attraverso referendum, dei risultati negoziali alla volontà dei lavoratori interessati.

Piergiovanni Alleva

14/11/2010

leggi www.liberazione.it

 
 
 

Il classismo del governo: la retribuzione di risultato dei dirigenti non è soggetta a decurtazione

Post n°4022 pubblicato il 15 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

ANCHE SE MALATI, NON SIAMO TUTTI UGUALI!

 

Come tutti ricordiamo con la Legge 133/2008 il Ministro Brunetta ha introdotto la odiosa “tassa” sulla malattia, colpevolizzando e punendo i dipendenti pubblici accusati di eccessivo assenteismo. “In caso di assenza per malattia il lavoratore ha diritto al solo trattamento economico fondamentale, perdendo tutte le indennità e qualsiasi altro trattamento accessorio o emolumento avente carattere fisso e continuativo”. Con la scusa di colpire i fannulloni sono stati invece puniti tutti quei lavoratori che hanno dovuto pagare a caro prezzo anche una banale influenza.

Forse non tutti sanno però che a luglio di quest’anno lo stesso Ministro ha emanato una circolare, la n°8, che, dopo aver fornito chiarimenti in merito all’applicazione della disciplina relativa alle assenze per malattia, afferma che la retribuzione di risultato dei dirigenti non è soggetta a decurtazione. Questo perché tale retribuzione costituisce “emolumento volto a remunerare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi da parte del dirigente e viene corrisposta a consuntivo… solo se e nella misura in cui gli obiettivi assegnati risultino conseguiti e l’attività svolta risulti valutabile a tal fine”.

Inutile dire che buona parte delle voci che costituiscono il salario accessorio dei dipendenti pubblici appartenenti alle aree ha le stesse caratteristiche della retribuzione di risultato della dirigenza e pertanto anche per queste voci non deve essere effettuata alcuna decurtazione. Del resto la stessa circolare prevede che “analogo ragionamento vale per le voci corrispondenti previste anche per le altre categorie di personale…aventi la medesima natura” .

La RdB-USB P. I. ritiene che, in mancanza di chiare indicazioni da parte del Ministero rispetto alle voci del salario accessorio del personale non soggette a decurtazione, le Amministrazioni debbano immediatamente aprire un tavolo di confronto sindacale su questo argomento: sono passati ormai quattro mesi dall’emanazione della circolare e ancora non è pervenuto alcun segnale da parte di quelle stesse Amministrazioni tanto solerti invece nell’applicare immediatamente tutti i provvedimenti restrittivi nei confronti del personale, a partire dai contenuti della riforma Brunetta.

Una diversa ed ingiustificata applicazione della norma, che divida dirigenti da un lato e personale delle aree dall’altro, non è ulteriormente tollerabile tanto più se si pensa che la retribuzione di risultato dei dirigenti è conseguenza diretta anche e soprattutto del lavoro svolto quotidianamente da tutti gli altri lavoratori.

Non siamo disposti ad accettare questo ulteriore sopruso: i lavoratori hanno le tasche vuote di salario ma piene di rabbia nei confronti dei continui attacchi alla loro dignità ed ai loro diritti!

 

RdB-Usb Pubblico Impiego

 
 
 

Studio realizzato sui più importanti social network e blog attraverso la raccolta di messaggi, post e commenti

Post n°4021 pubblicato il 15 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Altro che facebook, il vero social network è il bar

Il vero social network italiano è il bar. Altro che Facebook o Twitter: è ancora il classico bar il luogo d’incontro più amato e frequentato.

Non vi è dubbio che sia una buona notizia, forse inaspettata ma demolente molti dei luoghi comuni imperanti, riportando tutti nella realtà. Il vero social network italiano è il bar. Altro che Facebook o Twitter: è ancora il classico bar il luogo d’incontro più amato e frequentato dove ci si concede un caffé, una bibita o un panino, ma anche si chiacchiera di sport, di politica e del proprio capoufficio, intercala con gli ultimi piccanti gossip, maledice tempo e governo.

Secondo i dati Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi) del 2009 sono circa 15 milioni gli italiani che li frequentano. Un vero presidio della socialità in Italia. è la rivincita della corporeità, del rapporto fisico, delle relazioni in cui gli sguardi, il tono di voce, l’aspetto fisico, gli abiti, un ghigno, una lacrima, un sorriso, un viso tirato o disteso, hanno ancora dimora. Alla faccia dell’astrattezza e virtualità simil chat.

Chissà, forse dovremmo anche dedurre che i veri opinion makers sono camerieri, banconisti, esperti d’aperitivi, gestori di locali e che i social media non abbiano intaccato completamente la natura dei rapporti interpersonali, delle relazioni comunitarie e sociali. E’ quanto emerge da uno studio promosso da Sanbittèr e condotto su 480 barman, gestori, proprietari di bar ed esperti del settore, attraverso un monitoraggio di 1.200 soggetti (uomini e donne tra i 18 e i 55 anni)  e del loro rapporto con il bar.

 

Lo studio è stato realizzato sui più importanti social network e blog attraverso la raccolta di messaggi, post e commenti sull’argomento. Anche sui famosi “discussioni da bar” le sorprese non mancano. Apprendiamo, infatti, che tra un calice di vino, un cappuccino, un tramezzino ed un aperitivo, l’argomento più gettonato al bancone o sui tavolini dei ben 121mila locali pubblici del nostro paese – dato Fiepet Confesercenti (Federazione italiana esercenti pubblici e turistici) - è la vituperata politica (48%). Un risultato davvero inaspettato e stupefacente se consideriamo la disaffezione ed il disgusto generale più volte dimostrato dai nostri concittadini verso tale mondo (astensionismo elettorale docet). Segue a ruota la passione nazionale, il calcio (42%), mentre più distanziati appaiono il lavoro (in ogni modo un buon 37% che data la necessità di non tediare sempre gli interlocutori appare macroscopico ed indica una vera preoccupazione), il gossip (altro classico discorso da bar con il 35%), lo shopping (33%) ed il cinema(25%).

La ricerca si è anche lodevolmente assunta l’onere di dividere in categorie gli opinionisti da bar. Abbiamo allora la tribù degli aperitivologhi (71%) e quella di chi sa vita, morte e miracoli degli abitanti del quartiere (i dietrologhi, al 24%); non potevano poi mancare - similmente ai talk show televisivi - i tuttologhi, depositari dell’intero scibile umano e sempre con un’opinione certa su tutto e tutti (35%), i vippologhi, gli affarologhi, ed, infine, gli scommettologhi. Non c’è che dire: un simpatico caravanserraglio, incasinatissimo ma almeno in carne ed ossa, non virtuale. Immettendoci nel gossip può essere interessante sapere – attenendoci alla ricerca Sanbittèr - quali sono i personaggi nella top ten dei più chiacchierati tra un bicchiere e l’altro.

Al primo posto svetta il toto nuovo Presidente del Consiglio, il che dimostra che anche la vulgata popolare da per finita la stagione berlusconiana. Seguono il toto-allenatore, il toto-formazione vincente, il toto-squadra da battere, e poi dirompente arriva con il 36% la figura del capoufficio, quasi fantozziana, più gettonata e discussa dei divi di Holliwood (27%) e persino - da non credere! - dei personaggi della televisione (21%). Il bar è frequentato tutti i giorni dell’anno: c’è chi ci va due-tre volte a settimana (15%), chi una volta il giorno (31%) e chi anche tre/quattro volte nella giornata (43%). Questo perchè è un luogo in cui si può chiacchierare di tutto e ci si sente liberi di esprimere le proprie opinioni (67%); per la necessità di staccare dal ritmo frenetico del lavoro (51%) o semplicemente chiacchierare con gli amici (45%).

A sorpresa solamente il 33% va al bar solo per mangiare o prendere qualcosa da bere. Insomma, è il ruolo d’incontro sociale il suo vero fascino (anche ora che è impossibile fumare): il luogo in cui si confrontano e si costruiscono le opinioni, mentre la televisione si limita a diffondere le notizie (73%). Ecco perchè tutti noi, in fondo, come ricordava Gino Paoli in una indimenticabile canzone, abbiamo «quattro amici al bar» e siamo affezionati avventori.

 

Gianpaolo Silvestri

13/11/2010

www.terra.it

 
 
 

Questo saccente porporato in realtà non ha studiato nulla al di là della sua polverosa Bibbia

Post n°4020 pubblicato il 15 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Il cardinal Bertone la smetta di prendere in giro gli italiani

 

Non è la solita battuta su Berlusconi. E' una invettiva, forse un po' indiretta contro il cardinal Bertone che ieri ha avuto il coraggio di dire che le scuole cattoliche non sono scuole private ma scuole pubbliche non statali, ovvero paritarie. Siamo all'assurdo. Si gioca sui termini, ovviamente. Un gioco sporco, sulla pelle di quei milioni di genitori che se non ci fosse la scuola pubblica non saprebbero come provvedere ad un bene primario come quello della cultura per i loro figli. Un gioco che venendo da una autorità così “alta" è veramente di bassa lega. Ma come si permette il segretario di Stato del Vaticano di tirar fuori un argomento del genere? Quali affari deve difendere? Ma lo sa l'illustre cardinale che cosa è una scuola pubblica? Una scuola pubblica è un luogo in cui l'insegnamento c'è a prescindere dal colore della pelle, dalla credenza religiosa e dalla differenza di censo. Ed è un insegnamento che non ha barriere di contenuto. E' un insegnamento universale. Questo saccente porporato, "occorre utilizzare la dizione corretta", dice, in realtà non ha studiato nulla al di là della sua polverosa Bibbia. Non conosce la storia e, soprattutto, non conosce il diritto pubblico e la lotta che i popoli hanno fatto per avere un bene così prezioso come l'insegnamento aconfessionale. Con le rette che si pagano nelle scuole cattoliche, dove non si insegna certo che cosa è la religione islamica, per esempio, molti non potrebbero nemmeno consultare l'orario di ricevimento dei professori. Si vergogni monsignor Bertone di esibire queste prese in giro. Dire che le scuole cattoliche sono scuole pubbliche non statali è lo stesso esercizio retorico, del tutto immaginifico, che si può fare sulla differenza tra l'islam e il cristianesimo: il cristianesimo è la religione islamica con un diverso profeta.

 

Fabio Sebastiani

 
 
 

A guidare le scelte della politica rimangono gli interessi di tutte quelle aziende che realizzano grossi profitti con l'energia

Post n°4019 pubblicato il 15 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

L’insostenibile Puglia dell’energia

 

Mentre il mondo si prepara alle giornate di Cancun denunciando l’insostenibilità ambientale dell’attuale modello di sviluppo economico, anche in Italia i territori non stanno a guardare. Domani sarà la volta della Puglia in cui comitati e realtà ambientaliste da ogni provincia raggiungeranno Bari per una grande mobilitazione regionale che mostrerà, a livello locale, le conseguenze disastrose di un sistema energetico che non considera il territorio e l’energia stessa come ben comuni. Promotore della manifestazione, che si inserisce in un percorso più ampio fatto di assemblee nei territori e di condivisione di conoscenze e istanze, il Forum Energia e Territorio Beni Comuni nato alla fine del mese di settembre proprio con l’intento di avviare una piattaforma che avesse come comune denominatore i bisogni delle popolazioni. Concentrazione alle ore 15 in piazza Umberto Primo da cui, alle ore 16.30, il corteo proseguirà alla volta di Piazza della Libertà dove verrà lasciato spazio agli interventi finali dei presenti. Al centro della protesta verso le politiche dell’amministrazione pugliese in materia di rifiuti ed energia c’è la richiesta di aprire una discussione partecipata del Piano Energetico Ambientale Regionale. Rivendicazione che pone, in primo piano, la necessità di riflettere su un diverso modello di sviluppo. Inceneritori, centrali a carbone e a gas, biomasse, rigassificatori, fotovoltaico ed eolico selvaggio, petrolio.

A guidare le scelte della politica, anche là dove questa presta attenzione alle energie rinnovabili, rimangono gli interessi di tutte quelle aziende che realizzano grossi profitti attraverso la produzione di energia «che in questo momento» denunciano dal Forum «la Regione Puglia produce in quantità doppia rispetto al proprio consumo». Oltre alla proliferazione di centrali a biomasse, in particolare nella provincia della Bat (Barletta, Andria, Trani), di inceneritori, in Puglia business privilegiato delle aziende del gruppo Marcegaglia, di cementifici che, come a Barletta, con la richiesta di bruciare sempre più rifiuti si stanno trasformando in veri e propri inceneritori le denuncie di alcuni comitati cadono addirittura sulle fonti rinnovabili come il fotovoltaico e l’eolico «selvaggio». Così, per ettari di terreno dove un tempo si coltivavano olivi, vigneti e ortaggi stanno proliferando le richieste per installare centinaia di pannelli fotovoltaici, molti dei quali già in funzione. Un’energia pulita che, applicata alla logica del profitto e della mega produzione e non a quella dell’autoproduzione e del risparmio energetico, solo per fare un esempio, con piccole installazioni, mostra i sui lati più devastanti. Per questo domani cittadini da ogni angolo della Puglia scenderanno in strada per chiedere alla propria amministrazione la realizzazione di un altro modello di sviluppo e contrapporranno, con la propria presenza, un dimostrazione di democrazia partecipata, e dal basso, contro profitti calati dall’alto.

 

Ylenia Sina

12/11/2010

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