Blog
Un blog creato da cile54 il 09/01/2007

RACCONTI & OPINIONI

Pagine di Lavoro, Salute, Politica, Cultura, Relazioni sociali - a cura di franco cilenti

 
 

www.lavoroesalute.org

Chi è interessato a scrivere e distribuire la rivìsta nel suo posto di lavoro, o pubblicare una propria edizione territoriale di Lavoro e Salute, sriva a info@lavoroesalute.org

Distribuito gratuitamente da 37 anni. A cura di operatori e operatrici della sanità. Finanziato dai promotori con il contributo dei lettori.

Tutti i numeri in pdf

www.lavoroesalute.org

 

LA RIVISTA NAZIONALE

www.medicinademocratica.org

MEDICINA DEMOCRATICA

movimento di lotta per la salute

 TUTTO IL CONGRESSO SU

www.medicinademocratica.org

 

AREA PERSONALE

 
Citazioni nei Blog Amici: 180
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Novembre 2010 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

MAPPA LETTORI

 

ULTIME VISITE AL BLOG

bisou_fatalcile54Afroditemagicacielostellepianetinomadi50industriametallisbaglisignoramonellaccio19cardiavincenzocassetta2m12ps12maremontyAlfe0Sassar0liiltuocognatino2
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

Messaggi del 17/11/2010

E all'improvviso tutti, anche i politicanti istituzionali e i sindacati governativi, si interessano al problema

Post n°4030 pubblicato il 17 Novembre 2010 da cile54

I malati di sla incassano un successo, forse.   

 

I fatti: i malati di Sla hanno protestato oggi sotto il ministero dell'economia per chiedere l'approvazione dei lea sanitari e il relativo nomenclatore tariffario degli ausili e il finanziamento di 100 milioni di euro per il percorso assistenziale proposto dalla Consulta Ministeriale delle malattie neuromuscolari. Il ministero ha ricevuto alcuni rappresentanti dei malati e «al termine dell'incontro, il Governo si è impegnato a presentare un emendamento alla Legge di Stabilità, in discussione alla Camera, che preveda la finalizzazione di spesa destinata ai malati di Sla». Vedremo.

 

I partecipanti politici: la Federazione della Sinistra, che ha allestito i gazebo, provveduto a fare da mangiare, distribuito volantini con analisi e proposte, etc. Presente sin dall'inizio il segretario nazionale del Prc, Paolo Ferrero, che ha fatto anche da intermediario tra il ministero e i malati di sla ottenendo l'incontro di cui sopra. Presente una senatrice del Pd e apparizione flash di Fabio Mussi (Sel). Stop.

 

Ma come per magia tutti gli altri esponenti politici si sono riscoperti all'improvviso sensibili e interessati al problema. Addirittura anche qualcuno del centro destra. Tutto questo comodamente da casa o dagli uffici. Sicuramente da luoghi diversi da quello dove protestavano persone malate, tra cui anche alcuni tracheotomizzati, su sedie a rotelle, lettini e sotto la pioggia. E allora tanti comunicati stampa di solidarietà, di richieste al governo di intervenire, etc. Compresi addirittura i sindacati, dalla Uil alla Cisl. Era presente, per essere sinceri, solo la cgil, seppure con la famosa apparizione flash.

16/11/2010

 

leggi www.controlacrisi.org

 
 
 

il nuovo ‘collegato’ lavoro marchia la vita di milioni di persone. Mentre lorsignori ci infinocchiano con Ruby, Fini e tv

Post n°4029 pubblicato il 17 Novembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Collegato Lavoro: mutismo e rassegnazione? 

Il condono tombale per le imprese che utilizzano lavoratori precari è diventato legge di stato con la firma del Presidente Napolitano e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. E’ la legge 183/2010 che in 18 pagine modifica fortemente l’attuale disciplina del diritto del lavoro per i lavoratori precari e i neoassunti.

 Ecco i punti salienti della riforma:

 

a) Per quanto riguarda le controversie di lavoro non vige obbligo di effettuare un tentativo di conciliazione, ma è possibile rivolgersi immediatamente all’autorità giudiziaria, a meno che non si decida di impugnare dinanzi al giudice un contratto di lavoro certificato. In questo caso, infatti, il tentativo di conciliazione presso la commissione che ha emesso l’atto di certificazione è obbligatorio.

 

b) Permane inoltre la possibilità di accedere immediatamente alle procedure arbitrali, nei casi e con le modalità previste dai contratti collettivi. L’arbitrato sarà disponibile in due forme alternative: durante il tentativo di conciliazione promosso presso la Direzione Provinciale del Lavoro, dove è la commissione di conciliazione a costituirsi in collegio arbitrale su richiesta delle parti; davanti al collegio costituito a iniziativa delle parti, con un rappresentante per ciascuna di esse e un presidente scelto di comune accordo. Infine, nei casi l’arbitrato davanti alle commissioni di certificazione dovranno essere queste stesse a istituire camere arbitrali proprie.

 

c) Viene introdotta la “certificazione” da parte dell’organo pubblico dei contratti di lavoro, con funzione di certificare la validità degli stessi nonché l’effettiva volontà del lavoratore a stipulare quel determinato contratto. Con la “certificazione” vi sarà la possibilità di inserire nel contratto una clausola c.d. compromissoria con la quale le parti devolveranno le eventuali e future controversie ad appositi collegi arbitrali sottraendole al giudizio alla magistratura ordinaria.

 

d) L’obbligo di impugnazione, entro i 60 giorni dalla ricezione della relativa lettera e/o comunicazione, dei provvedimenti di licenziamento (ora anche quelli verbali e quelli intimati nell’ambito delle tipologie contrattuali atipiche, oltre che per effetto di cessazione di rapporti di lavoro a termine, per disdetta oppure per interruzione in seguito alla scadenza temporale), con l’ulteriore obbligo di deposito dei relativi ricorsi giudiziali entro i successivi 270 giorni. Tali termini saranno vincolanti anche in tutti i casi cui il lavoratore voglia agire per ottenere l’imputazione di un determinato rapporto ad altro soggetto rispetto a quello che formalmente risulta il datore di lavoro (es. contratti di lavoro interinali). Mentre è fissato a 60 giorni il termine entro il quale rivolgersi al giudice in caso di rifiuto dell’arbitrato o di fallimento della conciliazione.

 

e) La previsione dì una indennità risarcitoria a carico del datore di lavoro in tutti i casi in cui il termine apposto al contratto dovesse essere ritenuto nullo da parte del giudice. L’indennità in questione va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 12 mensilità, da applicarsi anche ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore della legge. Tale indennità potrebbe secondo la volontà del legislatore addirittura escludere il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato (da valutare).

 

Futuro precario

 

Questo il quadro generale. Un panorama dai contorni foschi per i diritti di milioni di cittadini-lavoratori precari, che si vedranno praticamente azzerate le già residue di resistere alla forza d’urto del capitale.

 

Ci vogliono muti e rassegnati

 

a) Ci si chiede per quali ragioni un legislatore di centro-destra che fa del liberismo e della l il proprio capo-saldo etico-politico tenti di “far passare” la validità di un contratto di lavoro attraverso la suddetta “certificazione” di un organo pubblico ?

 

La risposta a noi sembra chiara.

 

Nel nostro ordinamento, vige (vigeva?) il principio per cui il prestatore di lavoro è da ritenersi parte debole del rapporto contrattuale in quanto ogni sua volontà può subire forti condizionamenti da parte del datore di lavoro; ritenendosi, invece, che quando la volontà del lavoratore venga espressa con l’intervento dell’organo pubblico e dinnanzi allo stesso, venga manifestata libera da condizionamenti.

 

Ed allora, la “certificazione” servirà al datore di lavoro per pre-costituirsi la prova della formazione di una volontà del lavoratore libera da indebiti condizionamenti, eliminando la possibilità per quest’ultimo di contestare successivamente la regolarità del contratto di lavoro sottoscritto

 

Il gioco è fatto: si “certifica” in modo inoppugnabile e come libera una volontà in realtà “estorta” (d’altronde, vii immaginate un lavoratore che dinnanzi all’organo pubblico confesserà il ricatto?) e si precostituisce l’impossibilità di poter essere convenuto dinnanzi al giudice del lavoro (normale destinatario, per costituzione, della “conoscenza” di ogni controversia di lavoro).

 

Il primo tentativo della riforma non sembra essere quello di ridurre il contenzioso, quanto, piuttosto, quello di eliminarlo.

 

b) Ancora, si pensi alla introduzione dell’obbligo di impugnazione da parte del lavoratore della cessazione di qualsivoglia tipo di rapporto per potere datoriale nel termine dei 60 giorni, con obbligo di introduzione della controversia nei successivi 180 giorni.

 

E’ davvero una riforma prevista solo per esigenze di certezza del diritto e dei rapporti tra le parti? Tiene nella dovuta e giusta considerazione gli interessi di entrambe le parti in gioco? Oppure, anche su questo punto, la riforma inserisce nell’attuale ordinamento elementi di tutela per una sola (la solita ?) delle parti contrattuali ?

 

Corsa contro il tempo

 

Perché, al riguardo, anche il secondo tentativo che sembra perseguire la riforma in discussione sembra chiaro.

 

Innanzitutto, con la previsione di tempi ristrettissimi per le impugnazioni dei provvedimenti del datore di lavoro si vogliono abbattere il più possibile i costi delle eventuali illegittimità dagli stessi commesse, essendo ovvio che tali tempi abbiano quale prima automatica conseguenza quella di diminuire, in ipotesi di illegittimo recesso e/o interruzione del rapporto di lavoro a c.d. chiamata (vedasi ipotesi di rinnovi di contratti di somministrazione di lavoro o di contratti a termine), i tempi in cui l’azienda può vedersi esposta al risarcimento dei danni conseguenti a tali illegittimità (meno tempo, meno retribuzioni e contributi sul groppo, meno rischi per le proprie malefatte).

 

Ma ciò non basta; con l’operazione in discussione si tenta addirittura di azzerare ed abbattere completamente gli eventuali costi in esame, e ciò attraverso il prodotto del mix esplosivo e perverso che scaturisce dal rapporto tra i tempi stretti previsti per l’impugnazione ed il contesto di completa sottoposizione del lavoratore ai tempi di “chiamata” del datore di lavoro.

 

Basterà, infatti, che il datore di lavoro interessato prospetti una ipotesi di rinnovo contrattuale e/o chiamata a contratto anche ulteriore a 60 giorni dalla cessazione del precedente rapporto ed il gioco è fatto. Il lavoratore a cui è stata fatta intravedere la possibilità di una nuova “chiamata” , baratterà la rinuncia ad impugnare nei termini con la speranza del mantenimento del posto di lavoro.

 

Si passa così da una situazione (ante-riforma) in cui il lavoratore avrebbe potuto continuare a lavorare riservandosi di agire, ad esempio, per la tutela dei suoi diritti solo alla fine della successione di tutti i rapporti somministrati a termine illegittimi, ad una condizione (post-riforma) in cui ogni rinuncia alla impugnazione nel termine richiesto comporterà completa abdicazione ad ogni suo interesse. E si garantisce al datore di lavoro la sanatoria ai comportamenti ed agli atti illegittimi che ponga in essere.

 

Poco cash al posto dei diritti

 

c) Ed ancora, perché prevedere quale sanzione per la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato una indennità risarcitoria da 2,5 a 12 mensilità (limitabili a 5 in particolari ipotesi) se non con l’unico scopo di evitare alle aziende l’obbligo di assumere a tempo indeterminato la forza lavoro illegittimamente assunta ed utilizzata “a scadenza”?

 

Anche sul punto, il terzo tentativo della riforma è chiaro ed incontrovertibile: al di là delle molteplici questioni interpretative, appare di tutta evidenza – ancora una volta – che l’obiettivo non è quello di predisporre valide ed efficaci tutele per il lavoratore assunto ed utilizzato con illegittimi contratti a termine, bensì quello di garantire al datore di lavoro la possibilità di apporre illegittimamente un termine al rapporto di lavoro senza far ricadere su di questo l’obbligo dell’assunzione a tempo indeterminato ed i relativi costi.

 

Gli esempi valgono a far capire al lettore che la riforma in questione, ben lontana dal voler effettivamente perseguire gli obiettivi simulati e dichiarati (deflazione del contenzioso e riduzione dell’incertezza dei tempi dello stesso) ha quale intento quello di iniziare a chiudere un cerchio che si è iniziato a disegnare 15 anni fà.

 

Treu-Biagi-Sacconi: si chiude il cerchio

 

Allora, con la legge Treu, si cominciavano a prevedere ipotesi di lavoro c.d. flessibile attraverso il quale consentire alle aziende di utilizzare e sfruttare manodopera assunta da soggetti terzi, senza assunzione dei rischi di impresa che un qualsiasi rapporto di lavoro deve comportare.

 

Ed è attraverso tale sdoganamento che si è potuti arrivare al secondo passo del diabolico percorso, ovvero alla legge 30/03, attraverso cui si è compiuto un notevole salto in là nella codificazione del precariato prevedendo – a sovvertimento del principio generale per cui ogni posto di lavoro nasce a tempo indeterminato salvo eccezioni – che dette eccezioni venissero trasformate in regola, consentendo all’impresa di potere disciplinare rapporti di lavoro di fatto pienamente subordinati con contratti che di tale tipologia nulla hanno a che vedere.

 

Con la riforma in questione il passo è definitivo ed il piano si sposta verso l’unico contesto i cui si fanno i giochi, ovvero quello processuale e della tutela effettiva dei diritti del lavoratore.

 

La precarietà ormai imposta e codificata sul piano dei rapporti sostanziali, viene ora introdotta sul piano delle conseguenze delle illegittimità del datore di lavoro, vuoi creando ogni artificio per rendere più difficile al lavoratore l’esercizio dei diritti connessi all’art. 24 della Costituzione, vuoi tentando di abbattere completamente i costi e le sanzioni che le illegittimità del datore di lavoro dovrebbero ancora prevedere.

16/11/2010

www.precaria.org

 
 
 

La vicenda vissuta in prima persona dalla collega richiama quella vissuta da migliaia di giornalisti italiani

Post n°4028 pubblicato il 17 Novembre 2010 da cile54

Precaria e umiliata: giornalista da tre giorni in sciopero della fame

La bilancia marca 42,2 chilogrammi, al terzo giorno di sciopero della fame. E’ il marchio brutale che definisce l’estrema forma di protesta di Paola Caruso, giornalista precaria presso il principale quotidiano del Paese: “So che non varcherò mai più la soglia del ‘Corriere’ – ha tagliato corto – e che non troverò posto in altri giornali (chi si prende una piantagrane?). Nel mondo della comunicazione sono bruciata. Se nessuno ha mai fatto un gesto come il mio è perché nessuno è disposto a pagare un prezzo troppo alto”.

La vicenda vissuta in prima persona dalla collega richiama quella vissuta da migliaia di giornalisti italiani, espulsi dal microcosmo dell’informazione o mai entrati a farne parte nonostante l’abilitazione attraverso l’esame di Stato. Anche l’aggravante denunciata dalla cronista, a ben guardare, non rappresenta una novità nel ‘sistema’ ma per Paola Caruso ha evidentemente rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso: “Da 7 anni – ha raccontato qualche giorno fa sul suo blog, contestualmente all’inizio della clamorosa forma di protesta – lavoro per il ‘Corriere’ e dal 2007 sono una co.co.co. annuale con una busta paga e Cud. Aspetto da tempo un contratto migliore, tipo un art. 2. Per raggiungerlo l’iter è la collaborazione. Tutti sono entrati così. E se ti dicono che sei brava, prima o poi arriva il tuo turno. Io stavo in attesa. La scorsa settimana si è liberato un posto, un giornalista ha dato le dimissioni (Jacopo Tondelli, ndr), lasciando una poltrona (a tempo determinato) libera. Ho pensato: ‘Ecco la mia occasione’. Neanche per sogno. Il posto è andato a un pivello della scuola di giornalismo. Uno che forse non è neanche giornalista, ma passa i miei pezzi. Ho chiesto spiegazioni: ‘Perché non avete preso me o uno degli altri precari?’. Nessuna risposta. L’unica frase udita dalle mie orecchie: ‘Non sarai mai assunta’. Non posso pensare di aver buttato 7 anni della mia vita. A questo gioco non ci sto. Le regole sono sbagliate e vanno riscritte. Probabilmente farò un buco nell’acqua, ma devo almeno tentare. Perché se accetto in silenzio di essere trattata da giornalista di serie B, nessuno farà mai niente per considerarmi in modo diverso”.

Il caso-Caruso si è immediatamente riversato sulla Rete: alla collega sono giunti numerosissimi attestati di solidarietà accanto ad alcune critiche, in particolare in merito alla definizione di ‘pivello’ appioppata al giovane neocontrattualizzato nonché a proposito della modalità della protesta.

A distanza di tre giorni dall’inizio della vicenda, l’interessata ha commentato con emozione l’ondata di reazioni sul web: “Sono commossa, credetemi. Ho le lacrime agli occhi oltre a una disperazione infinita nel mio cuore. Ho scelto lo sciopero della fame e della sete proprio perché è devastante. Altrimenti non ci crede nessuno. Qui non stiamo parlando di un contratto a tempo indeterminato, ma di un ‘contrattino di desk’. Jacopo Tondelli ha lasciato un posto vacante e noi poveracci abbiamo pensato che era arrivato il nostro momento. Almeno io, in lista d’attesa da 7 anni, l’ho pensato. Non accetto di essere trattata da reietta dopo aver dato 7 anni di duro lavoro all’azienda. Non esiste, perché io faccio casino e questo è l’unico modo che ho per fare casino”.

Giornalista professionista, Paola Caruso ha lavorato dal 2003 come freelance e dal 2007 con contratto co.co.co. annuale. “Tutti contenti i capi – ha raccontato ancora sul suo blog – tutti a farmi i complimenti. Che bel pezzo, brava. Mi fanno scrivere di tutto: dalle acconciature per capelli, alle creme viso. Dalla scienza all’economia. Tanto Paola si presta. Fa tutto. Non fiata. E soprattutto non ha sponsor. Perché diciamolo chiaramente: non sono raccomandata. Il mio problema è questo: non sono raccomandata. Voglio proprio vedere se una NON RACCOMANDATA riesce a far tremare via Solferino”.

A tale riguardo, molti lettori e commentatori hanno consigliato a Paola Caruso di intentare una vertenza al ‘Corriere della Sera’, citando i numerosissimi casi di lavoratori nelle sue condizioni che hanno seguito con successo questa strada. Va aggiunto che i contratti di collaborazione non prevedono ferie né malattia, tredicesima, aspettativa o periodi di maternità, così come tutti gli altri diritti previsti dai normali contratti di lavoro dipendente. E comunque non è un segreto, per qualunque operatore del settore, che i quotidiani italiani si reggano molto spesso sulla figura dei ‘collaboratori’, contrattualizzati a progetto o addirittura retribuiti ad articolo.

Ad ingarbugliare la questione si segnala l’attuale condizione vissuta dal ‘Corriere’, dallo scorso gennaio in stato di crisi: dunque, a norma di legge, non potrebbe assumere alcun dipendente, salvo sostituire in via temporanea giornalisti momentaneamente assenti (per maternità o malattia, per esempio) o dimostrare che la professionalità del giornalista da assumere non è in alcun modo già presente nella redazione ed è fondamentale per il rilancio della testata.

Passando dalla Rete al “reale”, il ventaglio dei commenti sulla vicenda è ampio e dovrebbe far riflettere sullo stato di una categoria in drammatica crisi, anche sul versante della credibilità. Se l’Ordine nazionale dei giornalisti, per bocca del presidente Enzo Iacopino, ha definito la denuncia di Paola Caruso “solo la punta dell’iceberg in un mondo fatto di quotidiani tagli economici e di piccoli e grandi soprusi che colpiscono i collaboratori di giornali e agenzie, di radio e televisioni, di testate on line”, e auspica che venga finalmente “alla luce una situazione che ormai non può più essere tollerata, quella di colleghi professionisti e pubblicisti con anni e anni di esperienza, che restano ‘invisibili’ per comitati di redazione, capi servizio e direttori”, al contrario appare addirittura sprezzante la presa di posizione del Comitato di redazione (il sindacato interno) del ‘Corriere’: “Abbiamo appreso da fonti esterne al giornale, che non abbiamo avuto modo di verificare, che Paola Caruso, collaboratrice dell’inserto ‘Corriere Economia’, ha divulgato su Facebook l’avvio di uno sciopero della fame per protesta contro l’assunzione al ‘Corriere’ di un altro collaboratore proveniente da una scuola di giornalismo. Poiché non c’è stata alcuna richiesta di ‘deroga’ dalle regole sullo Stato di crisi da parte vostra, immaginiamo che si tratti di un contratto di collaborazione, ma anche su questo sarebbe comunque necessario fare chiarezza, perché l’uso smodato di collaboratori crea illusioni nei colleghi e distorsioni nel lavoro”.

Ancora più duro il direttore del giornale interessato alla vicenda: “La collega Paola Caruso – ha scritto in una lettera Ferruccio De Bortoli – è titolare di un contratto di collaborazione che scade nel prossimo aprile. In questo periodo, perdurando lo stato di crisi, non è stata fatta alcuna assunzione e la sua protesta non ha alcun fondamento. La situazione alla quale si riferisce riguarda sempre un contratto di collaborazione accordato, alcuni giorni fa, a un giovane giornalista (che nessuno ha raccomandato) in sostituzione di un altro collaboratore passato a fondare un sito on line. Non ho mai ricevuto dalla collega la richiesta di un colloquio. Se lo farà, la riceverò volentieri, come faccio con tutti. Apprendo dalla valanga di proteste e insulti on line di essere diventato un persecutore di precari. Prego la collega Caruso di smettere lo sciopero della fame e di ritrovare serenità e misura”.

Dall’opinione di De Bortoli traspare un aplomb che contrasta fortemente con la realtà, ben oltre il caso della collega Caruso. Vien da chiedersi: è tollerabile, per un qualunque professionista, la condizione di precariato prolungata per sette anni? E’ possibile immaginare che la postazione riservata al ‘collaboratore’ sia realmente secondaria al punto da giustificare, al fine di ricoprirla, il ricorso a figure non inquadrate a tempo indeterminato?

Ricorrere a forme di precarietà strutturale sembra piuttosto l’escamotage più ‘naturale’, in un Paese che svilisce le professionalità in tanti settori, per risparmiare semplicemente sul costo del lavoro. Lo stesso Jacopino sembra confermare, quando spiega che ci troviamo di fronte ad “un far west di assunzioni ‘mascherate’ con contratti inappropriati e abusivati che non vengono mai sanati; giovani che invecchiano con una certezza: resteranno nella casta che occupa il gradino più basso della gerarchia giornalistica. Una vergogna inaccettabile sulla quale il governo che, indirettamente, dispensa provvidenze milionarie agli editori non ha il diritto di tacere. E non può tacere neanche il Parlamento che dovrebbe approvare in via d’urgenza la proposta di legge sui compensi ai giornalisti, da troppo tempo addormentata in commissione, una proposta che ebbe l’esplicita approvazione del ministro Giorgia Meloni, a nome dell’esecutivo”.

Ci sarebbe, insomma, di che riflettere.

Paolo Repetto

16/11/2010

 

fonte www.inviatospeciale.com

 
 
 

La stampa e il dopo-terremoto, intervista collettiva con il comitato "3e32" dell'Aquila. A sostegno di Liberazione

Post n°4027 pubblicato il 17 Novembre 2010 da cile54

«Abbiamo bisogno di complici...»

Non un centro sociale. Non un comitato. Il 3e32 è più una "roccaforte" indipendente all'interno di una città distrutta: L'Aquila. Il nome è composto dall'ora in cui il capoluogo abruzzese ha iniziato a tremare nella tragica notte del 6 aprile 2009. Le persone che lo hanno "fondato" sono giovani e giovanissimi abruzzesi: qualcuno di loro viveva a L'Aquila, altri vi hanno fatto ritorno dai luoghi in cui studiavano e lavoravano per occuparsi delle rinascita del loro territorio. Da quel 6 aprile sono una spina nel fianco di chi ha gestito, governato e comandato la "ricostruzione". Il motore di decine di mobilitazioni, assemblee, iniziative. Nonché coloro che, per primi, si sono mobilitati per impedire che la Protezione civile modello "comando e controllo" diventasse una Società per azioni. Oggi, mentre si preparano alla grande manifestazione "Sos L'Aquila chiama Italia" in programma sabato prossimo, prendono parola collettivamente in difesa di un "loro" giornale: Liberazione.

«E' importante - dicono - che la stampa che Liberazione rappresenta continui ad esistere e venga sostenuta. Nel primissimo periodo dopo il sisma erano veramente pochi i giornali e i giornalisti a non credere a tutto ciò che il governo diceva. Liberazione ha tenuto invece bene il polso della situazione locale. Ha dato voce ai più deboli interessandosi per esempio della situazione dei lavoratori migranti alcuni dei quali morti sotto le macerie».

Dietro la motivazione di taglio alla spesa pubblica il governo nasconde il chiaro intento di eliminare il pluralismo. Come giudicate questa situazione?

Con i tagli all'informazione, alla cultura, alla formazione l'obiettivo di questo governo è sterilizzare la dimensione del sapere e l'ambiente culturale, andando anche in controtendenza con l' Europa. Una strategia iper tattica che ha ripercussioni quasi esclusivamente sul presente. Non investire sulla ricerca, per esempio, è dovuto alla disperata necessità di tattiche per continuare a governare e avere un consenso nell'immediato, sacrificando tutto. Così si è arrivati al paradosso per cui chi fa cultura e informazione è visto come una sorta di parassita sociale. «Il sapere non è fatto per comprendere ma per prendere posizione» scriveva Focault. E ciò diventa tanto più vero quando i rapporti tra sapere e potere sono estremamente frammentati e frastagliati come nella società "liquida" odierna.

Come aquilani, in questi 19 mesi post sisma, avete dovuto "fare i conti" in prima persona con la stampa. Un bilancio?

La prima cosa che ha colpito la popolazione aquilana tutta, non abituata fino al 6 aprile 2009 a stare sotto i riflettori, è stato l'aspetto puramente sensazionalista. Foto e video dappertutto ad inseguire l'ultimo cadavere, l'ultima lacrima. Gli aquilani - increduli - hanno avuto la sensazione di trovarsi in un reality show costante. I campi tenda nelle prime settimane erano dei veri e propri set televisivi. E a prendere saldamente in mano le redini del reality, è stato sicuramente il capo del governo Silvio Berlusconi che in tal modo ha potuto costruire il set televisivo del miracolo aquilano. Peccato che la stampa (anche quella di centro-sinistra) si sia completamente asservita al suo scopo. Rimanevamo increduli anche di fronte all'atteggiamento dei giornali locali. Guido Bertolaso era l'eroe assoluto. Cinque colonne per ogni stupidaggine che faceva o diceva. Sempre da parte della stampa locale - che è quella che più fa opinione tra chi vive il territorio quotidianamente - abbiamo assistito all'oscuramento quando non alla stigmatizzazione di ogni forma di protesta e dissenso. Qualcosa che non scorderemo.

Relativamente, invece, alla stampa "di sinistra" o "indipendente"?

Chi si informava tramite questa stampa iniziava a conoscere da subito un'altra realtà. D'altronde, di fronte alla complessità della situazione non poteva essere realistica la versione semplicista e salvifica veicolata dai media e dalle testate mainstream. Roba da favole per bambini. Il problema è stata la differenza nella "potenza di fuoco". Assolutamente superiore quello della televisione su tutte. La verità ufficiale veniva messa in discussione da così poche parti che anche chi normalmente è abituato ad avere un certo senso critico tendeva a credere e veicolare l'informazione di regime. L'ufficio stampa della protezione civile in questo senso è stato assolutamente eccezionale. Una vera e propria macchina da guerra con molti soldi a disposizione. Anche gli aquilani hanno iniziato a credere più alla propaganda che ai loro occhi. Su L'Aquila - anche prima dello scandalo delle telefonate tra gli sciacalli - è stato scritto quasi tutto. Ma non importava a nessuno. Ragion di Stato. Lungo e tiranno stato d'eccezione.

Si avvicina la data del 20 novembre. Come vi state preparando?

Rispetto alle altre manifestazioni la novità è che stiamo tentando di comunicare anche a livello nazionale. Questo ci sta permettendo di affrontare una nuova e difficile maturità nel raccontare le nostre lotte e trovare i punti in comune con le altre in tutta Italia. A L'Aquila la crisi è amplificata, il livello di qualità della vita è davvero sotto lo standard nazionale. Noi non abbiamo una città. Abbiamo delle rotatorie nuove di zecca intorno alle quali nascono dei nuovi pezzi assurdi di micro-stanziamenti come bar, farmacie, venditori ambulanti in baracche o container. Le persone girano in macchina e nel traffico trovano l'unico momento di "aggregazione". Abbiamo un tasso spaventoso di disoccupazione e cassaintegrazione. Come risposta a tutto questo viene sgomberato lo spazio autogestito di CaseMatte a ColleMaggio, forse l'unico posto di socialità in una città distrutta.

Molte mobilitazioni sono state fatte a L'Aquila. Alcune di queste hanno portato a risultati importanti. Una su tutte, quella contro la Protezione civile Spa. La battaglia è stata vinta e con voi c'era una piccola fetta dell'informazione indipendente. Quanto è stato importante questo binomio: attivisti più giornalisti indipendenti?

In questa battaglia davvero la stampa indipendente ha avuto un ruolo fondamentale. Articoli e libri che denunciavano a chiare lettere cosa stava diventando la protezione civile, sono usciti anche su Liberazione ben prima dello scandalo dell'inchiesta sul G8 della Maddalena nei primi di febbraio 2010. In questo senso la cooperazione tra movimenti come il nostro e i giornalisti indipendenti è stata essenziale. Uno scambio di informazioni continuo nella cornice di una cooperazione costante. Il rammarico, anche qui, è che si è dovuto aspettare che la magistratura si pronunciasse per far vedere a tutti il Re Nudo. Da quel giorno molti giornalisti molto poco indipendenti fanno a gara per trovare le illegalità nel processo di ricostruzione che interessa L'Aquila. Lo avessero fatto prima... A volte scrivere denunciando non è sufficiente. Bisogna lottare. Abbiamo bisogno di complici!

Daniele Nalbone 

16/11/2010

 
 
 
 

L'informazione dipendente, dai fatti

Nel Paese della bugia la verità è una malattia

(Gianni Rodari)

 

SI IUS SOLI

 

 

www.controlacrisi.org

notizie, conflitti, lotte......in tempo reale

--------------------------

www.osservatoriorepressione.info

 

 

G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI

Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

Più di 240 pagine e 250 vignette e illustrazioni/storie per raccontare (dal 2005 al 2012) com’è che siamo finiti così.

> andate in fondo alla pagina linkata e acquistatelo on line.

 

Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

omicidio di Stato

DARE CORPO ALLE ICONE

 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963