RACCONTI & OPINIONIPagine di Lavoro, Salute, Politica, Cultura, Relazioni sociali - a cura di franco cilenti |
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Messaggi del 10/03/2014
Post n°8688 pubblicato il 10 Marzo 2014 da cile54
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Post n°8687 pubblicato il 10 Marzo 2014 da cile54
«Depenalizzare la cannabis». Lo dice pure l'Onu Anche le Nazioni Unite a favore della depenalizzazione delle droghe leggere. È quanto riporta Avvenire, citando un rapporto di 22 pagine dell'Ufficio della Nazioni Unite sulle Droghe e il Crimine (Unodc), nel quale si prende atto che combattere contro la diffusione della marijuana considerandone il consumo un reato penale è inutile. Di qui la proposta di depenalizzazione, che sarà discussa la settimana prossima a Vienna. «La depenalizzazione del consumo della droga può essere una forma efficace per 'decongestionare' le carceri, redistribuire le risorse in modo da assegnarle alle cure e facilitare la riabilitazione», si legge nel rapporto. Secondo fonti diplomatiche citate da Avvenire, si tratta della prima volta che l'organismo fa esplicito riferimento alla depenalizzazione, già per altro in vigore in diversi paesi. Il che non significa (ancora) liberalizzare o legalizzare il consumo di cannabis (come hanno fatto per esempio in Uruguay), ma stabilire che non è un reato e individuando pene alternative al carcere, come multe o terapie. L'Onu continua a considerare legale l'uso di queste sostanze solo a fini terapeutici e scientifici e non per "piacere" personale; ma nel rapporto si fa notare che i consumatori di stupefacenti devono essere considerati come «pazienti in cura» e non come «delinquenti», ricordando come diversi «trattati consiglino il ricorso ad alternative alla prigione». E in ogni caso, non si trova traccia nel documento dell'agenzia Onu di critica alla creazione di mercati regolamentati, come appunto è il caso dell'Uruguay, di alcuni stati di Washington e Colorado e della Nuova Zelanda (per alcune sostanze psicoattive), a patto che vi sia uno sforzo condiviso (anche da parte degli organismi internazionali) di inserire le nuove norme in un quadro di diritto internazionale. Insomma, un altro, piccolo, passo avanti verso l'antiproibizionismo. 09/03/2014 |
Post n°8686 pubblicato il 10 Marzo 2014 da cile54
Ai medici obiettori: «Vi staneremo» Cinquemila persone a Roma, in un corteo lungo e colorato composto da movimenti femministi, collettivi transgender e queer insieme a molte altre realtà e associazioni miste, hanno attraversato le strade del quartiere Pigneto. Partite dal consultorio di piazza dei Condottieri la manifestazione ha raggiunto il reparto di ostetricia e ginecologia del Policlinico universitario della Sapienza. Obiettivo della manifestazione: rivendicare la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, messa a rischio dal numero elevatissimo di medici obiettori di coscienza nel servizio sanitario pubblico. Questa battaglia vede il movimento delle donne italiane al fianco delle vicine spagnole. Ieri, tutte le iniziative di occupazione, e i cortei italiani, sono stati organizzati a sostegno della campagna spagnola «YoDecido» contro il governo Rajoy. Una campagna che in Italia ha generato la rete delle attiviste «IoDecido». Tra le città italiane dove il movimento ha manifestato – Torino, Firenze, Napoli, Lecce, Roma, Palermo e Catania – si è creata una connessione che ha portato in piazza collettivi, associazioni e movimenti che quotidianamente si battono contro la violenza di genere e per l’autodeterminazione delle donne. L’obiezione di coscienza dei medici contro il diritto alla libera scelta delle donne sull’aborto è una realtà gravissima in Italia, a tal punto da essere stata sanzionata dal Comitato europeo dei Diritti sociali del Consiglio d’Europa. Sette medici su 10 sono obiettori di coscienza, cifra che sale a 8 per il Lazio dove le donne hanno lanciato una petizione su change.org per chiamare in causa il Presidente della Regione Nicola Zingaretti. Il 1 marzo è partita la campagna «Mai più clandestine» dove le donne chiedono di garantire l’accesso all’Interruzione volontaria di gravidanza in tutti i presidi ospedalieri pubblici e convenzionati. Questi ultimi devono disporre ì di un numero adeguato di ginecologi, anestesisti e personale non medico non obiettori. La legge 194 affida infatti alle Regioni la responsabilità della sua piena applicazione anche attraverso la mobilità del personale. Un’impostazione ribadita nel luglio 2012 anche dal Comitato nazionale per la bioetica che ha raccomandato «forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atte a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori» e controlli «a posteriori per accertare che l’obiettore non svolga attività incompatibili con quella a cui ha fatto obiezione». «La nostra Regione – hanno gridato sotto il policlinico i collettivi romani – è una di quelle con più medici obiettori in tutta Italia. Questo si traduce nell’impossibilità di applicare la 194, una legge che non smetteremo di difendere. È solo l’inizio: obiettori vi seguiremo, vi staneremo, vi tormenteremo!». Una dichiarazione di guerra del movimento femminista romano lanciata contro i medici, gli infermieri, i ginecologi, i farmacisti e tutto il personale sanitario che obietta. Le rivendicazioni sono nette: accesso libero e gratuito all’aborto, in qualsiasi struttura pubblica, per ogni donna, italiana e straniera, con o senza permesso di soggiorno, e in qualsiasi momento. Il movimento intende impegnarsi per conquistare l’effettiva possibilità di scegliere tra l’aborto chirurgico e quello farmacologico. La pillola ru486, inoltre, deve essere disponibile in tutte le Regioni italiane e in regime di day hospital. «Vogliamo l’autonomia decisionale e la partecipazione attiva di ogni donna a tutto il percorso di nascita – hanno ribadito le attiviste — vogliamo la pillola del giorno dopo disponiobile senza ricetta e in tutte le farmacie». Con slogan del passato e del presente, le donne hanno attraversato le strade periferiche della capitale per riempire di contenuti una giornata, quella internazionale della donna, troppo spesso ridotta a festeggiamenti a base di mimosa. Il corteo, completamente auto-gestito e auto-finanziato, ha affermato la questione politica dell’autodeterminazione femminile e l’ha declinato come principio di una lotta che si sposa con «l’autodeterminazione dei popoli e dei territori». Teresa Di Martino 8.3.2014 www.ilmanifesto.it |
Post n°8685 pubblicato il 10 Marzo 2014 da cile54
Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa: l’Italia viola i diritti delle donne Pubblichiamo l’ampio comuncato con cui la Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione legge 194) diffonde la notizia che il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha ufficialmente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 - intendono interrompere la gravidanza. Milano, 8 marzo 2014 – Oggi, a seguito di un reclamo collettivo dell’associazione non governativaInternational Planned Parenthood Federation European Network (IPPF E N che dagli anni 50 si batte in 172 paesi per potenziare l’accesso ai programmi di salute delle fasce più vulnerabili ), il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha ufficialmente riconosciuto chel’Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 - intendono interrompere la gravidanza, ha ufficialmente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 - intendono interrompere la gravidanza, a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Il ricorso è stato presentato contro l’Italia al fine di accertare lo stato di disapplicazione della legge 194/1978 e il Comitato Europeo ha accolto tutti i profili di violazione prospettati. La legge 194/1978 prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale debba poter garantire sempre il diritto all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero, sempre crescente come dimostrano i dati forniti da IPPF EN nell’ambito del giudizio davanti al Comitato Europeo (documentazione reperibile in www.coe.int/socialcharter), di medici obiettori, alcune strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico medici che possono garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge. Questo riconoscimento di violazione può essere riconosciuto come una vittoria per le donne, e per l’Italia, e mira a garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, la 194, che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile. La battaglia iniziata quasi due anni fa (il Reclamo collettivo n. 87 del 2012 è stato depositato l’8 agosto 2012) ha visto la partecipazione di diverse associazioni tra cui LAIGA, da sempre impegnata per l’effettiva applicazione della 194 “Siamo felici di questo risultato” – dichiara Silvana Agatone, Presidente della LAIGA - “che è il frutto di anni di lavoro della LAIGA che ha fatto da catalizzatore mettendo in contatto l’organizzazione internazionale non governativa IPPF EN e l’Avv. Prof. Marilisa D’Amico e l’Avv. Benedetta Liberali, avviando il percorso che ha portato alla condanna dell’Italia, fornendo fondamentali dati sulla reale non applicazione della legge n. 194”. L’associazione non governativa International Planned Parenthood Federation EuropeanNetwork (IPPF EN,) è stata assistita e difesa dall’Avv. Prof. Marilisa D’Amico e dall’Avv. Benedetta Liberali.“Come donna, ancor prima che come avvocato, sono particolarmente felice che oggi sia stato ribadito un diritto fondamentale sancito dalla legge dello Stato italiano” -dichiara l’Avv. Prof. Marilisa D’Amico – “oggi è la giornata in cui si celebra la donna e suona quasi beffardo, che a trent’anni dall’approvazione della legge 194 ancora si debba combattere nelle istituzioni competenti per affermare un diritto per noi donne definito costituzionalmente irrinunciabile. Mi auguro che al più presto vengano presi tutti i provvedimenti necessari per applicare la legge in tutte le strutture nazionali”. “La vittoria di oggi e’ un successo importante perché l’obiezione di coscienza non é un problema solo in Italia ma in molti altri paesi europei. IPPF, che da piu’ di 60 anni lotta nel mondo per garantire a tutte le donne i loro diritti e l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva, vuol fare emergere la mancanza di misure adeguate da parte dello Stato italiano a garantire il diritto fondamentale alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Siamo molto felici che il Comitato Europeo abbia stabilito che l’Italia debba risolvere una volta per tutte questo problema”: così dichiara Vicky Claeys, Regional Director di IPPF EN. 09|03|14 www.womenews.net |
L'informazione dipendente, dai fatti
Nel Paese della bugia la verità è una malattia
(Gianni Rodari)
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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