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Messaggi del 23/04/2014
Post n°8803 pubblicato il 23 Aprile 2014 da cile54
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Post n°8802 pubblicato il 23 Aprile 2014 da cile54
Strage alla ThyssenKrupp. A Roma giovedi 24 aprile presidio a Piazza Cavour
Giovedi 24 aprile dalle ore 10, a Roma presidio a piazza Cavour (davanti alla corte di cassazione) in concomitanza con la sentenza sul caso Thyssenkrupp, promosso da rete nazionale salute e sicurezza sul lavoro e sui territori, dal comitato 5 aprile di roma e da ex lavoratori thyssenkrupp. Appello a delegati-e di posto di lavoro, rls, associazioni di giuristi, associazioni e organizzazioni sindacali, forze politiche e movimenti di lotta a partecipare al presidio - assemblea e a sostenere le mobilitazioni su salute e sicurezza. Noi non dimentichiamo nulla, giustizia per le vittime della strage operaia della Thyssenkrupp di Torino e le loro famiglie. Il Comitato 5 Aprile di Roma, nodo locale della Rete nazionale per la salute e la sicurezza sui posti di lavoro e sui territori, fa propria la necessità di un momento di presenza con un presidio pubblico, con riunione e “microfono aperto” per interventi e testimonianze, in occasione della sentenza della Corte di Cassazione sul caso della strage operaia con 7 morti della Thyssen di Torino, soprattutto per segnalare il forte rischio di un “colpo di spugna” degli effetti della sentenza di primo grado, già ridotta in appello, che potrebbe portare a conclusioni di parziale impunità per i reali responsabili di questa ennesima e grave strage sul lavoro e del lavoro Il Comitato 5 aprile e la stessa Rete nazionale sostengono e fanno proprio gli appelli alla MOBILITAZIONE IL 24 APRILE A ROMA, lanciato dal comitato ex lavoratori della Thyssenkrupp, che in molte occasioni assieme all’Associazione “Legami d’Acciaio” dei familiari della strage di Torino, hanno fermamente denunciato che in caso di ulteriore riduzione dei capi di imputazione nei gradi di merito di giudizio e di sentenza favorevole in Cassazione agli imputati, si creerebbe un pessimo precedente non solo giudiziario, ma un rischio per altre sentenze rilevanti, come quella sempre in Cassazione sul caso ETERNIT di Casale Monferrato o come nei processi in corso per la strage ferroviaria di VIAREGGIO o dell’ILVA di TARANTO… PRETENDIAMO VERITA’ E GIUSTIZIA ANCHE NEI PROCESSI, NESSUNA IMPUNITA’ PER I PADRONI ASSASSINI e chi protegge il profitto, sulla pelle di chi lavora e sulle loro famiglie. La Rete nazionale e il Comitato 5 Aprile di Roma, continuano a battersi per ottenere la piena applicazione di tutte le disposizioni di tutela della salute e della sicurezza sui posti di lavoro e sui territori “inquinati”, per la corretta applicazione delle disposizioni comunitarie di miglior favore rispetto alle tante e troppe deroghe e modifiche in materia, con lo svuotamento progressivo del decreto legislativo 81 del 2008 nei suoi effetti sostanziali di tutela e di deterrente da condotte e atti di inadempienza dei datori di lavoro pubblici e privati, per potenziare le agibilità, funzioni e ruolo dei rappresentanti dei lavoratori (e delle lavoratrici) per la sicurezza RLS, la cui attività è sempre più limitata e circoscritta rispetto alla sua funzione originaria. Il comitato 5 Aprile, esprime la sua piena solidarietà ai ferrovieri oggetto di continue contestazioni e sanzioni disciplinari, ai licenziamenti effettuati dalle Ferrovie, la Rete nazionale prosegue la sua attività di informazione e segnalazione sulla IN-SICUREZZA NELLE SCUOLE e nei posti di lavoro, anche a seguito delle altre 2 morti sul lavoro a Molfetta e a Ravenna dei giorni scorsi. 23/4/2014 |
Post n°8801 pubblicato il 23 Aprile 2014 da cile54
Il limbo dei mediatori interculturali
Oggi Klodiana è una cittadina italiana, orgogliosa della sua doppia appartenenza a due terre che in fondo sono separate solo da una breve striscia di mare. Nel 2003 ha fondato Integra Onlus, associazione non profit che si occupa di integrazione, solidarietà e politiche sociali. Tra le sue principali battaglie, quella del riconoscimento professionale del mediatore interculturale: una figura indispensabile, ma ignorata e sottovalutata dalla legislazione italiana. “Siamo un esercito di centinaia, forse migliaia di cittadini stranieri impegnati nel campo della mediazione interculturale – dice Klodiana – Ma non sappiamo bene né chi siamo, né come dobbiamo essere formati, né con quali criteri dobbiamo essere retribuiti. Sono già state avanzate tre proposte di legge su questo tema, ma son tutte state archiviate. E fino a quando la figura del mediatore non sarà inserita nel contratto collettivo nazionale del lavoro, non avremo la dignità professionale che ci spetta.” Come Klodiana, moltissimi cittadini stranieri sono riusciti a valorizzare il proprio percorso migratorio e sono diventati mediatori interculturali. Lavorano negli ospedali, nelle scuole, nei centri d’accoglienza, nelle carceri, negli uffici pubblici e negli sportelli di supporto agli immigrati. Ma è difficile calcolare quanti siano in tutto, poiché manca una chiara definizione del loro ruolo e un Albo che permetta di analizzare il fenomeno a livello nazionale. “Nell’ambito della mediazione interculturale regna il caos”, dice Imad Dalil, vice-presidente di Karibuni, associazione pugliese di volontariato. Nato in Marocco ma cresciuto in Italia, Dalil ha un master in mediazione interculturale e ha lavorato in contesti che vanno dal CSPA di Lampedusa a strutture per minori e centri SPRAR per richiedenti asilo. “Sono 28 anni che lavoriamo sulle emergenze: prima quella albanese, poi quella nordafricana e ora quella siriana. Ma l’emergenza è qualcosa che non puoi prevedere, mentre per l’immigrazione si dovrebbe lavorare sulla formazione e la pianificazione”, continua Dalil. Il vuoto normativo determina anche una grande incertezza per quanto riguarda la retribuzione. Nelle gare d’appalto al ribasso, i tagli si fanno anche sul costo del personale: i mediatori interculturali lavorano senza un contratto continuativo e vengono spesso pagati meno del minimo salariale. La tematica della precarietà vissuta dai mediatori interculturali è stata al centro della giornata conclusiva del programma In Media Res, INtegrazione MEDIAzione REte Sud, tenutasi l’11 aprile nella sede dell’associazione Arcoiris Onlus (Quartu Sant’Elena, CA). Finanziato dalla Fondazione Con il Sud, il programma è dedicato alla valorizzazione e alla formazione professionale dei mediatori interculturali. Hanno partecipato otto associazioni operanti nell’ambito dell’immigrazione – cinque in Sardegna (Barvinok, Arcoiris Onlus, Labint, FouduDia, Africa e Mediterrano), due in Puglia (Integra Solidale e Karibuni) e una in Basilicata (Associazione Mediterraneo). La formazione professionale è un altro dei temi caldi per chi opera nel settore. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le tipologie di formazione, che vanno dai corsi brevi di 100 ore ai master di secondo livello, ma mancano standard e requisiti certi. “Le competenze acquisite direttamente sul campo oggi non vengono riconosciute”, denuncia con preoccupazione la venezuelana Arlen Haideé Aquino, presidente dell’associazione Arcoiris Onlus e mediatrice interculturale presso la provincia di Cagliari. Nonostante la sua decennale esperienza professionale e la partecipazione a numerosi corsi di specializzazione, la mancanza di un titolo universitario la porta a ritrovarsi in una posizione precaria. “L’università di Cagliari ogni anno sforna dei neo-laureati qualificati in mediazione linguistico-culturale, ma in realtà sono solo interpreti. Senza esperienza sul campo non si è mediatori, eppure il loro titolo è più riconosciuto rispetto al mio percorso”, aggiunge Arlen. L’appuntamento finale del progetto In Media Res è stato anche l’occasione di un confronto con alcuni rappresentanti istituzionali, tra cui Romina Mura, parlamentare e sindaco del comune sardo di Sadali. “Alcune regioni hanno già riconosciuto la figura del mediatore ed è importante tenere conto dei contesti locali, ma serve un quadro nazionale certo – dice l’on. Mura – Si parla di pari opportunità per le donne, ma le opportunità devono essere pari per tutti, immigrati inclusi”. Ricollegandosi a questo discorso, Klodiana ricorda che i mediatori per anni sono stati considerati delle “figure ponte”, ma oggi sono dei veri e propri “agenti di sviluppo territoriale”: “Quello del mediatore interculturale non è solo un lavoro, è una missione. E abbiamo bisogno di una legge che ci riconosca”, conclude Klodiana. (Lorena Cotza) Questo articolo fa parte del progetto Our Elections Our Europe (Oeoe), che, attraverso il monitoraggio della stampa prima delle elezioni europee 2014, identifica dichiarazioni incitanti alla discriminazione da parte di politici e risponde in modo creativo attraverso articoli, vignette satiriche, radio storie, flash mob e una campagna internazionale sui social media. Oeoe è realizzato dal Media Diversity Institute in Gran Bretagna, Symbiosisin Grecia, il Center for Investigative Journalism e CivilMedia in Ungheria e dall’associazione Il Razzismo è una brutta storia in Italia, grazie al sostegno di Open Society Foundations. 20/4/2014 www.migranti.it |
Post n°8800 pubblicato il 23 Aprile 2014 da cile54
Un milione e 130 mila famiglie sono senza alcun reddito La realtà è più disperata, o furba, delle statistiche. Prendiamo la povertà assoluta. Secondo l’Istat, nel 2010, una famiglia formata da una coppia di anziani residenti a Milano era “assolutamente povera” se sosteneva una spesa mensile per consumi pari o inferiore a 964 euro. Avercene! Perché oggi, dopo quattro anni di crisi, sempre l’Istat ci racconta che in Italia ci sono — almeno, aggiungiamo noi — 1 milione e 130 mila nuclei familiari senza alcun reddito, cioè milioni di persone che sopravvivono senza guadagnare nemmeno un euro al mese. Zero soldi sudati. Come chiamarle, visto che le famiglie assolutamente povere dovrebbero raggranellarne circa 1000 al mese? Forse reiette, come si diceva nei secoli dove la povertà era normale e dunque meno fastidiosa da sopportare per i benestanti. Il nuovo dato statistico dell’Istat, se ripulito dagli ereditieri o dai rampolli disoccupati della borghesia proprietaria che almeno affittano case per stipendiarsi l’esistenza, dice di una fetta sempre più consistente di italiani senza lavoro che è impossibilitata a mettere insieme il pranzo con la cena, e suggerisce che è sempre la famiglia l’unico sostegno per chi sopravvive giorno per giorno (un fratello o una sorella, una madre pensionata, uno zio a posto, o una piccola eredità di sessanta metri quadrati da far fruttare). Di questi 1 milione e 300 mila nuclei familiari, quasi mezzo milione (491 mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213 mila sono madri sole. I nuovi poveri sono moltissimi, perché il numero di famiglie dove tutti i componenti sono disoccupati è cresciuto del 18,3% in un solo anno (+175 mila rispetto al 2012). Il confronto è drammatico considerando l’anno precedente: dal 2011 al 2013 si è verificata una crescita del 56,5%, le famiglie dove non circolano soldi sono cresciute più del doppio. In numeri assoluti le famiglie senza un reddito erano 955 mila nel 2012 e 722 mila nel 2011. Andando indietro negli anni si scopre che l’aumento della povertà assoluta è una costante: nel 2007, l’anno che ha preceduto la crisi a livello mondiale, le famiglie che rientravano nella categoria dei “senza reddito” erano 466 mila. Dopo sette anni la cifra è più che raddoppiata. Sono storie comuni. Anziani fuori da mercato del lavoro, pensionati con figli studenti o disoccupati, madri che devono mantenere i figli, giovani coppie senza un lavoro. Come sempre, nella classifica della sofferenza primeggia il sud Italia: sono 598 mila le famiglie dove tutti risultano disoccupati, più del 50% del totale. Nel nord invece sono 343 mila, nel centro 189 mila. Il fenomeno, comunque, è in aumento dappertutto. L’Istat, se vogliamo cambiare prospettiva puntando lo sguardo su quelli che bene o male ce la fanno, fornisce un altro dato del 2013 che dovrebbe far riflettere il governo che pensa di uscire dalla crisi regalando 80 euro in busta paga — a chi ce l’ha — un mese prima delle elezioni: il numero dei nuclei familiari con tutti i componenti che avevano un lavoro nel 2013 (13 milioni e 691 mila) è calato di 281 mila unità in un anno. Significa che il 2% si è pericolosamente avvicinato a quella soglia che fino a qualche anno fa molti non avevano nemmeno la fantasia di evocare. La povertà. Stando così le cose, ognuno fa e spende quel che può. E sono nuovi dati, questa volta sui consumi. La recessione, constata questa volta uno studio di Unimpresa, ha cambiato radicalmente le abitudini al supermercato: il 71,5% degli italiani risparmia sul cibo e rispetto al primo trimestre dell’anno scorso sono più che raddoppiati gli acquisti di offerte speciali (e 5 persone su 7 hanno fatto la spesa almeno una volta in un discount). Luca Fazio 20/4/2014 www.ilmanifesto.it |
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Nel Paese della bugia la verità è una malattia
(Gianni Rodari)
SI IUS SOLI
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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