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filo aperto con tutti coloro che s'interrogano sull'organizzazione politica della società e che sognano una democrazia sul modello della Grecia classica

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AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA E LIBERO MERCATO

Post n°1062 pubblicato il 18 Giugno 2022 da rteo1

AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA E LIBERO MERCATO

L'autosufficienza energetica che l'Italia e gli altri Stati europei stanno perseguendo a seguito del conflitto tra la Russia e l'Ucraìna è compatibile con le leggi del libero mercato imposte dal capitalismo occidentale ? E in che modo e limiti quest'ultimo può avere senso, se si ritenga di dover scegliere la "tendenza autarchica", sia per il presente che per il prossimo futuro ? Dai summit e conferenze varie sembra emergere che un po' tutti gli Stati, Italia inclusa, non abbiano affrontato alla radice tali problemi che invece sono di fondamentale rilevanza, visto che prima delle armi (e anche durante e dopo) si pone sempre la politica, e in particolare la "politica economica", le relazioni diplomatiche e gli scambi commerciali. Indubbiamente la "imprevista" guerra alle porte dell'Unione Europea ha scosso gli schemi classici consolidatisi (e l'ordine internazionale costituito nel dopoguerra, erroneamente ritenuto immutabile) e ha inciso anche su molti rapporti politico-istituzionali, a tutti i livelli. Sono stati posti in essere pure dei comportamenti indotti più dalla emotività e inadeguatezza di alcuni leader governativi anziché dalla "ragione" (come, ad es., molte dichiarazioni rese fuori dalle righe da parte della diplomazia, ben lontane dalle buone regole e tradizioni). È però già passato ormai abbastanza tempo dall'inizio delle ostilità e già ci sono state migliaia di vittime innocenti perciò bisogna urgentemente ritrovare a tutti i livelli istituzionali il giusto equilibrio, che solo la "razionalità" (la concretezza) può assicurare, se si vuole perseguire il benessere generale dei cittadini e l'interesse degli Stati, senza mettere a rischio le deboli democrazie europee sensibili agli autoritarismi. Non ha più senso, perciò, continuare all'infinito con la litania che "c'è un aggredito e un aggressore", ormai a tutti chiaro e condiviso, e che occorra "spezzare le reni" (frase infausta, pure pronunciata da qualche individuo infelice e nostalgico) alla Russia per ridimensionarla sul piano militare e politico-economico-finanziario, ma bisogna iniziare a "ragionare" per uscire dalla spirale della guerra. Indubbiamente non è facile, adesso, perché quando una terapia s'inizia con il paziente in fin di vita la guarigione risulta essere più difficile e l'esito incerto. Eppure basta un minimo sforzo delle meningi per rendersi conto - visti i risultati sinora ottenuti - che occorre abbandonare il "masochismo collettivo" di continuare a  "farsi male" per fare un ipotetico "bene" che, in concreto, si sta rivelando invece peggiore del male che si vorrebbe impedire. Così come infatti si sta manifestando anche il continuo invio di ulteriori armi all'Ucraìna, a cui forse già da tempo non servono più per la riduzione dei soldati morti in combattimento, sia perché le spese gravano su molti bilanci statali in rosso (che stanno trascurando varie categorie di lavoratori ormai alla "fame"); inoltre perché l'abbondanza di armi alimenta il mercato criminale e perché le sole armi senza una corale, convinta e incisiva azione diplomatica degli Stati "non belligeranti", finalizzata alla ricerca della "pace" (parola diventata oscena perché consente ai "bellicisti" di associarla arbitrariamente ad una tendenza "filorussa"), può soltanto aggravare la situazione attuale sia in termini di perdite di vite umane che di distruzione delle città, dei territori. A ciò aggiungasi, inoltre, che il perdurare del conflitto sta influendo anche sugli scambi di generi alimentari (già scarseggiano i cereali, i fertilizzanti, e  prodotti similari), per cui molti Stati rischiano di non avere le risorse essenziali per "sfamare" i propri cittadini, e non solo nell'immediato ma anche nel prossimo futuro perché nei territori in guerra non si sta seminando e poi occorrerà anche sminarli. Se poi si considera anche che il clima atmosferico mondiale sta desertificando vaste aree della terra, un tempo fertili, si può forse comprendere quanto la situazione globale stia trasformandosi in una scena apocalittica, con a breve inevitabili disordini popolari a livello mondiale. E tuttavia gli Stati, soprattutto quelli europei, sembrano ormai entrati in una sorta di "trance" e "isteria" collettiva, lontane dal principio e valore del "bene umano" (convenzionalmente inteso)", che non coincide nè con quello dell'Ucraìna né con quello della Russia (e neppure degli USA e dell'Inghilterra, sempre inclini, per loro natura, più alla guerra che alla pace). È il "bene umano", infatti, nel senso "generale", universale, che gli Stati non direttamente belligeranti avrebbero dovuto perseguire diventando sin da subito una "forza d'interposizione" per mediare anziché coalizzarsi contro l'aggressore (e formalmente in favore dell'aggredito) senza allargare e approfondire la riflessione, anche acquisendo il contributo di cittadini "amanti della conoscenza" e non dell'improvvisazione. Serva, comunque, da esperienza, visto che con la logica degli "avvoltoi" le guerre non finiranno mai, nè si valorizza il ruolo dell'ONU che dev'essere la sede "naturale" per spegnere le pulsioni distruttive dei capi di Stato e di governo mondiali. Comunque, per ora il conflitto tra la Russia e l'Ucraina non accenna ad arrestarsi e prima che i danni risultino irreparabili è necessario sforzarsi per trovare il migliore rimedio possibile. È noto che finora, a livello europeo, nell'ambito delle diverse e molteplici sanzioni deliberate, è stata concordata la strategia di andare verso "l'autosufficienza energetica" per sottrarsi alla "dipendenza" del gas, del petrolio e del carbone importati dalla Russia. Certamente una soluzione che, a primo acchito, può sembrare positiva. Essa, tuttavia, deve essere inquadrata anche in un ambito più generale, che tenga conto del quadro politico-economico globale e delle relazioni tra Stati finora instaurate. È con quest'ottica, perciò, che dovrebbe essere vagliata la decisione europea di perseguire "l'autosufficienza energetica", per valutare se essa sia la migliore scelta possibile. Al riguardo, e più in generale, va ricordato che la soluzione politica dell'autosufficienza economica degli Stati era già ben nota nei tempi antichi. Socrate, rivolgendosi ai suoi concittadini ateniesi, li invitava a scegliere se costituire uno "Stato sano" oppure uno "Stato coi vizi", ossia del lusso. Nel primo caso, gli ateniesi si sarebbero dovuti "accontentare" di distribuire tutti e solo i prodotti del proprio territorio; nel secondo caso, invece, avrebbero dovuto mettere in conto di dover fare la guerra alle altre polis sia per estendere i propri confini territoriali sia per appropriarsi dei loro prodotti. Come ben si comprende, trattasi di due scelte "politiche" antitetiche. Il "commercio" però, per quanto limitato, ha sempre avuto un ruolo di collegamento tra i due modelli economici. Lo stesso è avvenuto nei secoli successivi, fino ai tempi più recenti, allorquando la "civiltà occidentale" è riuscita a sconfiggere l'economia statale pianificata dell'URSS (autarchia economica) e a imporre a livello globale le leggi del libero mercato del capitalismo americano, che hanno consentito ai popoli di ampliare la propria rete di relazioni, anche culturali, e di avere molte più risorse pro capite disponibili (ed è stato infatti proprio il "mercato" -M.E.C., Mercato Europeo Comune - l'embrione della odierna U.E.). I vantaggi (anche se con molti problemi tuttora irrisolti, come le diseguaglianze sociali e distributive) sono stati a tutti evidenti (soprattutto in occidente), tanto che anche molti Stati "comunisti", come la Cina e la Russia, abituati alla predetta economia pianificata (rivelatasi, nei fatti e nel tempo, fallimentare) si erano aperti al mercato occidentale, globalizzandolo, seppur facendo ricorso a una sorta di "capitalismo di Stato". La guerra tra la Russia e l'Ucraìna, però, sembra aver messo in discussione il progetto del libero mercato e la globalizzazione per effetto della esclusione, seppur con le sanzioni economico-politiche, della Russia. E così è stato avviato il processo di "autosufficienza energetica", sia a livello di ogni singolo Stato che  della U.E., la quale ha deciso di spendere oltre 300 miliardi di euro per raggiungere tale risultato entro alcuni anni. Inoltre, la stessa U.E., per fare fronte alle ingenti spese per gli armamenti da inviare all'Ucraina, al fine di farla difendere e respingere dal proprio territorio i russi, ha messo in conto di costituire un apposito Fondo (in aggiunta a quelli già esistenti) da alimentare con la emissione di nuove obbligazioni (bond), e così i cittadini, come ad es. gli italiani, si dovranno far carico anche degli ulteriori debiti della U.E., oltre, ovviamente, ai debiti nazionali (quello italiano ha raggiunto, a marzo, la notevole cifra di 2755 Mld di €.). Il governo italiano, da parte sua, per liberarsi dal vincolo contrattuale con i russi ha cercato altri fornitori soprattutto in alcuni Stati africani, come l'Angola, il Congo, che allo stato, però, non sarebbero in grado di soddisfare le richieste italiane. Sono state anche prese in considerazione le energie rinnovabili, da potenziare per fare fronte ai fabbisogni degli Stati. Ormai la nuova linea politico-economica dei governi europei sembra essere stata tracciata, anche in ordine alla difesa comune e alla costituzione di un esercito europeo. Sembra, però, che, come detto, a spingere le scelte degli Stati europei sia stata più la reazione emotiva, condizionata dalle iniziative ed esigenze americane e inglesi, e la incomprensibile ideologia di voler affermare la forza della democrazia contro gli Stati autocratici, quando invece era, ed è, di tutta evidenza che non è stata dichiarata alcuna guerra alla democrazia (ossia all'idea di partecipazione diretta del popolo ad alcune cariche dello Stato) ma sono in gioco solo interessi "materiali" e geostrategici. E così gli Stati dell'U.E. non hanno debitamente considerato che da tempo, ormai, il mondo era diventato "più piccolo" a causa dell'interconnessione geografica tra i popoli, gli Stati e, soprattutto, delle economie, che sono diventate interdipendenti, proprio a causa delle esigenze del capitalismo occidentale. Fermo restando, perciò, che occorreva certamente intervenire "Politicamente" nel conflitto tra la Russia e l'Ucraina, bisognava anche considerare però le conseguenze economico-finanziarie, soprattutto per l'Europa, dei suoi cittadini, oltre che sul piano globale. Ed era altresì necessario porsi anche la domanda se fosse o meno utile e opportuno limitare (o abbandonare) il libero mercato per scegliere l'autosufficienza economica (anche se, al momento, soprattutto energetica). A complicare, poi, ulteriormente, i rapporti internazionali è stata anche la richiesta della Ucraina di entrare a far parte della U.E., oltre che della NATO, nella quale hanno, altresì, deliberato di volerne far parte anche la Svezia e la Finlandia, ingenerando una serie di ulteriori frizioni geopolitiche (aggravate, inoltre, dalla crisi USA-Cina a causa dell'isola di Taiwan). Comunque, a rassicurare gli europei, sono intervenuti gli USA che hanno garantito la vendita delle risorse energetiche occorrenti (ma il costo sarà inevitabilmente superiore a circa il 30 percento, che per l'economia italiana non sarà certamente irrilevante). A quanto pare, però, le soluzioni che si stanno adottando, sia a livello nazionale che europeo (trascuro gli USA perché questi fanno bene i propri interessi, anche con la forza, quando non basta la diplomazia), non considerano adeguatamente che la scelta dell'autosufficienza energetica (una sorta di limitata, per ora, autarchia economica, che l'Italia ha già conosciuto ai tempi del fascismo, sebbene oggi avverrebbe non a causa del "boicottaggio", come allora, bensì per "libera" scelta) è, in linea di principio, inconciliabile col "libero mercato" che, invece, tende, secondo la "natura umana", ad espandersi, a globalizzarsi (fermo restando il limite dell'ecosostenibilità). L'energia è certamente il "motore" fondamentale dell'economia di tutti gli Stati, per cui bisogna porsi il problema del suo approvvigionamento, purtuttavia essa è comunque un "bene economico" che entra nel gioco complessivo del mercato di scambi di beni e servizi (così se la Russia fornisce il gas, il petrolio, il carbone, i fertilizzanti, i cereali, essa acquista, in cambio, altri prodotti). Perciò non va dimenticato che la "dipendenza energetica", era, ed è, opportuna e coerente con la logica capitalistica del libero mercato che esalta lo scambio di beni e servizi tra i diversi Popoli, mentre l'autosufficienza, invece, ne è l'antitesi perché "costringe" gli Stati a perseguire una "economia di sussistenza" (lo Stato socratico "sano" anziché di "lusso"). Ma meno beni disponibili sul mercato significa anche più cittadini (soprattutto gli emarginati) privati delle risorse necessarie. È perciò fondamentale che gli Stati scelgano con maggiore consapevolezza se continuare o meno ad avere relazioni diplomatiche e scambi commerciali "globali" oppure se limitarli (e a quale livello: occidentale, europeo, escludendo alcuni Stati, ecc.). Scegliere, cioè, se "chiudersi in casa", o in un recinto, oppure uscire nel giardino, all'aria aperta; di conoscere solo il vicino oppure tutti gli altri popoli della terra. Il vero problema, perciò, non è quello dell'autosufficienza energetica (che può anche essere "tendenzialmente" perseguita) ma delle leggi del "libero mercato" che, come detto e lo si ribadisce, sono incompatibili "con "l'autarchia economica", ma anche e soprattutto con le guerre. D'altronde è facile comprendere che a fronte di molteplici innegabili svantaggi derivanti dal "libero mercato il fondamentale "vantaggio", invece, degli Stati" è quello di acquistare beni e servizi a prezzi concorrenziali e di poter aumentare la propria produttività valorizzando al massimo le proprie risorse, il proprio patrimonio, ambientale, artistico, paesaggistico, storico, culturale. In altri termini, piaccia o meno, ma in un contesto di "libero mercato" globale  risulta essere positivo comprare il gas, se costa meno che estrarlo, e vendere i propri prodotti (ad es. la manifattura italiana) e servizi (turismo, ecc.). Il "libero mercato", però, e bisogna farsene una ragione, è incompatibile con le guerre (soprattutto di lunga durata) perché esso necessita della "pace", la quale, peraltro, dà anche maggiore benessere ai popoli e richiede anche minori spese, come scriveva già nel 1782 Gaetano Filangieri nell'opera "La scienza della legislazione": «La guerra ha in tutti i luoghi, e in tutti i tempi richieste maggiori spese, che la pace». E la "pace" -"bene umano"-, è strettamente connessa con la "ragione", così come la guerra - "male umano"- lo è con l'irrazionalità, le pulsioni distruttive. La scelta dell'una o dell'altra non è certamente facile perché implica che gli uomini debbano fare uno sforzo su se stessi per "addomesticare" le pulsioni bellicose ed esaltare il ruolo della "ragione". Così come dovranno fare anche gli Stati, sempre inclini ad affermare la propria volontà di potenza, soprattutto con la forza delle armi. Ma non vi è dubbio che rispetto all'autarchia economica (o autosufficienza) la politica economica del "libero mercato" faciliti la pace perché oltre ad aumentare la produzione e la produttività dei singoli Stati consente di instaurare relazioni tra i Popoli e di rendere la terra il pianeta di tutti, superando, nel tempo, in futuro, le attuali gabbie mentali e geopolitiche che costituiscono il vero  problema virale per l'evoluzione civile dei Popoli e degli Stati.

 
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UN BUON STATISTA EVITA LA GUERRA

Post n°1061 pubblicato il 27 Maggio 2022 da rteo1

UN BUON STATISTA EVITA LA GUERRA

La guerra tra la Russia e l'Ucraìna tra i tantissimi problemi che sta diffondendo sta anche ponendo quello degli "Statisti". Il giudizio complessivo che si può trarre, visti i risultati finora conseguiti, sia a livello dei singoli Stati, che Europeo e internazionale (USA, Cina, ecc.), è piuttosto negativo, o, se si preferisce, non proprio positivo. I frutti si conoscono dagli alberi, diceva la sapienza. Da alcuni anni a questa parte i frutti non sono più buoni come un tempo. È certamente la ciclicità delle civiltà, come argutamente sosteneva G.B.Vico, che decadono e, quindi, anche il livello degli "statisti". Pericle, infatti, è associato allo splendore della civiltà ateniese e quando la polis comincio a degradarsi finirono anche gli Statisti, degni di tale nome. Ma chi sono questi "statisti" ? Viene subito da pensare agli uomini che assumono responsabilità statali apicali, ossia le responsabilità di difendere gli interessi dello Stato e dei cittadini. Non vi è dubbio che a seconda del contesto politico in cui si collochi lo Stato debba necessariamente essere diverso il profilo dello "Statista". In una Repubblica, se democratica, lo "statista" deve perseguire l'interesse della democrazia, ossia del Popolo in senso generale, assoluto, affinché il popolo non subisca danni sia rispetto al livello di benessere che di sicurezza collettiva e individuale. Le decisioni, quindi, dello "statista democratico" non possono essere mai prese contro l'interesse generale del Popolo, anche quando si fa parte di un'alleanza politico-economica (U.E.) o politico-militare (NATO). Lo statista, infatti, non è il "dittatore" che può prendere decisioni indipendenti e autonome, secondo la sua personale visione del mondo e della politica. Perciò egli potrebbe pure essere di diverso avviso rispetto alla volontà popolare ma non ne può prescindere se è al servizio della democrazia e si troverebbe irrimediabilmente nel "torto politico" se dalle sue decisioni il Popolo ne ricevesse dei danni. Relativamente a questi, poi, va detto che qualsiasi "statista" che conduca il Popolo alla guerra è sempre un pessimo statista. Soltanto gli "Statisti" che riescono ad evitare la guerra al proprio popolo sono degni di essere stimati come statisti. Non c'è mai alcuna giustificazione, neppure se fosse una "guerra di difesa", perché anche in questo caso vorrebbe dire che lo statista non è stato in grado di trovare la migliore soluzione possibile (ce n'è sempre una, almeno) per evitare la guerra, e quindi impedire la inutile perdita di vite umane e la distruzione dei territori. Ecco perché, di fronte alla guerra tra la Russia e l'Ucraìna non è assolutamente possibile sostenere che i due capi di Stato (Putin e Zelensky) siano degli "statisti", come neppure si può sostenere che lo siano quelli americano e inglese. Anzi, è proprio il bellicismo irrazionale di questi ultimi a non renderli "statisti". Così come non è possibile rinvenirli a livello europeo dove alcuni rappresentanti delle istituzioni (a cominciare dalla presidente della Commissione che vuole "vincere la guerra contro la Russia, al presidente del Consiglio europeo e del presidente del Parlamento, che sono sulla stessa linea del fronte) stanno trascinando i Popoli dell'Unione e nazionali in una guerra indiretta (per ora), propagandata come a favore dell'aggredito contro l'aggressore e per la libertà e la democrazia. In verità la cosa più difficile da fare per uno statista è garantire la pace e non fare la guerra. Questa, infatti, è il comportamento più stolto e primitivo possibile che fa regredire gli uomini al loro stadio originario, ossia quello animalesco. Soltanto la Pace, perciò, è il prodotto migliore della civiltà, che vuol dire anche cultura, progresso, saggezza, equilibrio, razionalità, conoscenza, valori umani. Si potrebbe, perciò, concludere che È STATISTA SOLTANTO COLUI CHE EVITA AL SUO POPOLO DI FARE UNA GUERRA, DIRETTA O INDIRETTA, DI OFFESA O DI DIFESA. Non vi è altro modo, quindi, per valutare se una persona sia o meno uno "Statista": È "Statista" solo chi evita, in ogni modo possibile, al suo Popolo di fare una guerra, perché solo la Pace (interna e esterna) è il bene assoluto per ogni popolo. 

 
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L'UMANO E IL SOVRUMANO

Post n°1058 pubblicato il 03 Maggio 2022 da rteo1

(Devo precisare meglio...)

L'UMANO E IL SOVRUMANO 

«Beati coloro che, pur non avendo visto, crederanno» (Gv 21,29). La scienza, invece, si fonda sulle prove che soprattutto dal secolo dei lumi in avanti hanno consentito di comprendere anche l'origine dell'universo e la sua evoluzione. Molte cose, tuttavia, ancora si ignorano, ma ormai la strada della scienza è stata tracciata e la tecnologia l'aiuta a scoprire anche i segreti più microscopici della natura. Prima o poi altre scoperte si aggiungeranno a quelle finora conseguite e il genere umano farà un ulteriore "salto evolutivo" (salvo che la sua "follia" non lo riporti all'età della pietra o alla scomparsa definitiva). Così com'è avvenuto con  le teorie della relatività sia ristretta che generale di Einstein e nei tempi più recenti con la teoria dei quanti. L'importante è che i "custodi" della "fede" non divengano intolleranti così come lo sono diventati molti governanti, anche spacciatisi per "liberali e democratici", e sia sempre consentito al "pensiero" di essere "libero" di procedere verso (o dentro) la "verità". È solo il "libero-pensiero", infatti, che eleva l'uomo e gli consente di pensare (le idee) e di comprendere "l'Assoluto" che è in sè, oltre che capire quanto a volte siano "miseri" gli umani, anche incaricati di responsabilità piramidali. E forse è proprio per impedire che questo accada, cioè che l'uomo divenga consapevole di sé e conosca meglio i suoi simili, che si tende ad imporre sempre il "pensiero dominante" come "unico" e a reprimere quello delle minoranze. Tutti i governanti e gli ordinamenti giuridici, perciò, inclinano ad ostacolare o impedire, con il perimetro spesso angusto della "legalità", il libero esercizio del pensiero. Anche di quello del mondo dell'arte, della scrittura e, in particolare, a marginalizzare l'ispirazione dei Poeti, che uscendo dagli schemi sociali artificiali riescono a cogliere "il senso" che sta oltre il reale. Epperò più una società coltiva il libero-pensiero, lo premia, lo valorizza, e più esce dalla "caverna" di Platone, soprattutto quando questa soluzione possa condurre a mettere in discussione le arbitrarie diseguaglianze sociali ed economiche e le caste e classi oligarchiche. Uno dei dilemmi che da sempre manda in corto circuito il pensiero è quello che concerne il concetto di "essere" e di "non essere". Non si tratta di un semplice esercizio "intellettuale" ma è la via della ricerca dei fondamentali, mediante i quali si potrà ritenere l'uomo simile alla scimmia (e agli altri animali e vegetali) oppure vicino alle divinità (senza escludere, ovviamente, anche una via di mezzo). Secondo Parmenide "l'essere è, e non può non essere. Il non essere non è e non può essere". Dopo circa due millenni e mezzo di speculazioni filosofiche E. Severino decideva di "Ritornare a Parmenide" per spiegare che il "divenire" non vuol dire "andare nel nulla" (perché gli "eterni" sono e restano "eterni") ma entrare e uscire dal "cerchio dell'apparire". Quindi, a suo avviso, tutte le cose (uomini inclusi, ovviamente) sono degli eterni, che non vanno mai nel nulla. L'essere, perciò, con tale "interpretazione", non diventa "non essere", e si salva così il "principio aristotelico di non contraddizione". Ma se questo è, com'è, soprattutto un problema filosofico, ontologico, il vero problema umano, invece, e forse il più rilevante, è quello di capire se gli umani siano o meno in rapporto con l'Essere (posto che esista). Inoltre, stabilire se ogni umano sia abitato dall'essere oppure se l'essere sia un assoluto, indifferenziato, illimitato ed eterno, col quale l'umano può entrare in relazione mediante "esercizi spirituali". In altri termini, nel primo caso l'essere sarebbe parte di ogni umano  (da ciò essere-umano), mentre nel secondo sarebbe esterno, un assoluto. Comunque, in entrambi i casi il mezzo di collegamento è il "pensiero". È soltanto questo, infatti, che  consente di "dialogare" all'inyerno di se stessi oppure all'esterno, immaginando l'esistenza di un mondo ultraterreno.

Ma il differente atteggiamento non è privo di significato, perché  se si accetta l'idea che gli uomini siano solo natura, allora nulla quaestio, e tutto ne deriva di conseguenza; diversamente, invece, bisogna necessariamente argomentare per trovare il filo di Arianna che dall'uomo conduca al divino, all'Essere, all'Assoluto. Certamente una ricerca non facile, le cui "conclusioni" lasceranno comunque aperta la strada del dubbio, almeno finché non ci saranno prove certe che solo la scienza potrà dare. Bisogna, allora, iniziare l'indagine, a partire dall'Assoluto, precisando che quest'ultimo è inteso come "il tutto indifferenziato", e non come la sommatoria delle parti del tutto, del molteplice e variegato universo-mondo. Tale "Assoluto", però, non rimane "Assoluto" ma, secondo il "comune" sentire, percepire e vedere, si "manifesta" nel mondo fenomenico, e uno dei mezzi preferiti è il "libero-pensiero", unico strumento capace di accedere al "mondo delle idee", anche immaginato da Platone. L'Assoluto, quindi, secondo questa interpretazione, necessita della mediazione del "libero-pensiero". Non semplicemente del pensiero, ovviamente, ma di quello "libero", ossia privo di qualsivoglia condizionamento di qualunque natura, perché soltanto il "libero-pensiero" è degno di relazionarsi, mediante le idee, con l'Assoluto. Perciò commettono una "dissacrazione", un gravissimo "crimine intellettuale", e quindi contro l'essere-umano, tutti quegli ordinamenti politico-giuridici che non facciano di tutto per eliminare tutti gli ostacoli che impediscano al pensiero, anche di fatto, di essere "libero". Il "libero-pensiero", quindi, veicola nel mondo fenomenico le idee, che sono riconducibili all'Assoluto. Ma qui si manifesta il primo grosso problema: le idee si concretizzano in modo contraddittorio, secondo una dialettica conflittuale, come manifestazioni "relative". E anche il mitizzato "logos" non sembra essere "comune", bensì individuale, così come la c.d. "ragione", sempre accompagnata dalla "follia", anche collettiva dei Popoli e delle Nazioni. Come si può spiegare tutto questo ? Le soluzioni sono due: la prima si fonda sulla convinzione che le idee non abbiano alcun collegamento esterno, ma solo interno allo stesso soggetto pensante, e che tutto avvenga secondo un modesto, per quanto complesso, processo biochimico. La seconda, invece, tende ad esaltare le idee, ritenendole espressioni dell'Assoluto che attendono di concretizzarsi e che la "relativizzazione" dipenda soltanto dall'essere-umano. Trascuriamo la prima, qui, in questa sede, senza escluderne, però, la fondatezza, e seguiamo invece la seconda, ma senza alcuna validità dogmatica, ben consapevoli dell'opinabilità della tesi. E così postuliamo che è l'essere-umano che fa la differenza, a seconda che si comporti più come "essere" anziché più (o solo) come "umano". È infatti soltanto la sua parte come "essere" che consente  al pensiero di "penetrare" e "collegarsi" con l'Assoluto mediante le idee, mentre l'umano, privo o lontano dal suo essere, avvinto dalla selvaggia natura, diviene "relativo" e contraddittorio rendendo conflittuali le idee. D'altronde non potrebbe essere diversamente perché quando l'umano si dissocia dal suo "essere" primeggia la sua natura animale e diventa "relativo", perciò limitato, essendosi temporaneamente differenziato dall'universale. Di conseguenza egli non può che "relativizzare" l'Assoluto, così come accade mediante la "creazione" di ordinamenti e istituzioni in sé "relativi". I quali, relativizzandosi, si manifestano mediante l'apparente conflitto degli opposti, che tuttavia è necessario al "divenire"; e che rispecchia anche la dualità della psiche umana, e dell'essere materia ed energia. È questa doppia personalità, duplice "anima", dell'uomo, perciò, che concretizza il conflitto degli opposti perché nell'Assoluto tali opposti non esistono, essendo l'Assoluto un Tutt'uno indistinto, indifferenziato, illimitato. Ed è per questo che la dinamica del conflitto tende alla "riunione" e al ritorno all'Assoluto. Con questa interpretazione risulta possibile trarre anche un buon "modello mentale" da seguire per vedere sotto una diversa ottica tutti i processi umani, soprattutto quelli che hanno ad oggetto la politica, come ad es. le idee di libertà, eguaglianza, equità, giustizia, umanità, democrazia, ecc., le quali pur essendo parte dell'Assoluto tuttavia, essendo pensate dall'umano (il "relativo") che le fa "entrare" nella realtà concreta, subiscono l'inevitabile "relativizzazione". E a seconda di quanto l'umano sia o meno "congiunto" o "collegato" col suo "essere" tali "idee" si avvicinano o si allontanano dalla fonte dell'Assoluto, fino a porsi persino in contrasto con l'essere quando gli "umani" avversino e neghino tali "idee" nel proprio mondo od ordinamento civile. Ogni "Assoluto", perciò, nel concretizzarsi, uscendo dall'indeterminato e dall'illimitato, diventa si "determinato" e "limitato" ma è condizionato dal "mediatore" che lo pensa e lo veicola, o come "essere-umano o come semplice "umano". L'Assoluto, perciò, che "pensa" l'umano non è altro che un "relativo" degradato, degenerato, ben diverso da quello "pensato" e concretizzato dall'essere-umano. Per restare, perciò, aderenti all'Assoluto è necessario che l'umano rimanga congiunto al proprio "essere" e sia libero il suo pensiero, ossia non condizionato e soggiogato dalle contrastanti pulsioni dell'Io e della specie. La "relazione" tra "l'Assoluto, mediato dal  relativo", può essere utile per "spiegare" anche i rapporti tra il "mondo delle idee" e quello "reale" che concretizza tali idee; inoltre, può consentire di dimostrare (seppure indirettamente) sia l'esistenza dei "due mondi" (immateriale e materiale) sia il loro costante e continuo collegamento mediante il ciclo del "divenire". Indubbiamente l'impresa rasenta l'impossibile ma la ricerca della "via della verità" mediante il "libero-pensiero" non è mai vana perché consente di affermare il principio della libertà e del valore della conoscenza, in linea con ciò che scrisse il "sommo Poeta": «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». E così è possibile avere ulteriori argomenti per capire se l'uomo sia solo "materia", seppur dotata di pensiero, oppure se, grazie a quest'ultimo, egli sia anche "altro". Dal nostro patrimonio culturale si trae che nella complessità della natura esiste anche la specie umana nella sua molteplicità e varietà. Dalla specie conosciamo l'umano, come è rappresentato e si presenta nel mondo fenomenico. Egli però è anche definito "essere-umano", che si differenzia  dal semplice "umano", soprattutto quando opera nelle società istituzionalizzate. Appare evidente che tale "essere-umano" abbia delle specificità rispetto a tutti gli altri "esseri-viventi" e, almeno nella forma e nel pensiero, si distingue anche all'interno della sua stessa specie. Nella quale, a causa della dinamica conflittuale che deriva dal pensiero non libero, le idee si manifestano mediante gli opposti, che scatenano irrazionali conflitti ciclici, anche armati, alternando la guerra con la pace, la distruzione con la ricostruzione, la follia con la ragione. Ma tutto ciò, come disse Krishna al re Arjuna che esitava a combattere per evitare la guerra, è comunque "relativo" al solo mondo fenomenico e non rispetto all'Assoluto. I. Kant distingueva il fenomeno, ossia il manifestarsi delle cose, e "la cosa in sé". Come se questa fosse "altro" rispetto alla cosa materiale, al corpo, alla forma. In altri termini, una sorta di "essenza". Come il corpo e l'anima di Platone, o la res cogitans e la res extensa di Cartesio. Schopenhauer individuava tale "cosa in sé" con la "volontà di vivere" di tutte le cose e Nietzsche sosteneva che quest'ultima - da intendersi come "volontà di potenza" - deve essere sempre affermata nel momento in cui se ne abbia la possibilità, senza mai rinunciarvi. La separazione del "corpo" rispetto all'anima, allo spirito, così come la materia rispetto all'energia, sembra non corrispondere più alle recenti scoperte scientifiche. L'uomo, quindi, sarebbe un tutt'uno, e non solo, ma sarebbe anche "dentro il mondo" e non "fuori dal mondo". Non un semplice osservatore, perciò, ma parte attiva e passiva del mondo. L'essere-umano, quindi, può continuare ad esprimersi come "essere", collegato all'illimitato (Àpeiron, di Anassimandro), da cui è uscito per "entrare" nel mondo reale, oppure può agire come "umano" secondo la sua natura. Dipende da lui la "scelta": osservare le stelle o guardare il suolo. Solo l'umano può decidere se conservare in sé il suo "essere", oppure allontanarsene e porsi in contrapposizione all'Assoluto, ove tuttavia dovrà fare comunque ritorno, perché è il prezzo da pagare per essersi differenziato dall'illimitato. L'essere-umano dotato di "libero-pensiero", quindi, e non l'umano, ha in sé, durante la sua esistenza, la duale soggettività sia di "essere" che di "umano", come energia-materia, o spirito-materia, e pur essendo entrato nel "divenire" sospinto dalla "freccia del tempo" rimane comunque sempre ancorato con il "mondo sovrasensibile" di provenienza, che è il mondo dell'Essere, dell'Assoluto. E tale "legame", che rimane "indissolubile, fino al ritorno all'origine, consente all'essere-umano anche di potersi" trascendere mediante il "libero-pensieo", concretizzando i "valori" dell'Assoluto, impedendo (o limitando) gli "opposti" (bene e male, pace e guerra, odio e amore,ecc.), perché nel "Tutto", nell'assoluto, nell'illimitato e indifferenziato non esiste alcuna "contrapposizione". Mentre invece l'umano, il "relativo", è destinato ad alimentare la "contrapposizione" (il conflitto eracliteo), che è in se stesso e costituisce il "motore del divenire" (la freccia del tempo) necessario alla "riunione" nel luogo dell'origine di tutte le cose. È il restare naturalmente "umani" abbandonando il proprio "essere" che impedisce di concretizzare le idee dell'Assoluto influendo su tutte le "produzioni" umane, anche di natura politica, come  gli Stati e tutte le altre sovrastrutture costituzionali. Pertanto, finché l'umano non s'impegni a recuperare il suo "essere-umano" sarà inevitabile il trionfo del "relativismo" conflittuale e distruttivo, ma ciò potrà avvenire soltanto mediante il "libero-pensiero" perché soltanto questo consente di "pensare" all'Assoluto e di realizzarne le idee nel mondo fenomenico impedendo alle pulsioni naturali di alimentare gli opposti che non fanno prevalere il bene e la pace nelle Comunità e tra le Nazioni.

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Relativamente al "relativismo" ritengo che la "verità" sia solo quella che ponga l'uomo nell'insieme, e non al centro come ancora si pretende d fare. Infatti è proprio la sua collocazione al centro e al di sopra, come osservatore e non come compartecipe, che fa emergere la necessità dell'assolutismo. Invece è tutto e solo "relativo" perché proviene da un essere relativo. Protagora sosteneva che "l'uomo è la misura di tutte le cose", e aveva ragione. Solo in parte ? può anche darsi, ma di certo è che l'assolutismo è anch'esso un relativismo percè è il prodotto della convinzione di una entità relativa. Certamente pensare all'assoluto, al Tutto, che è anche molteplice e diversità, fa bene e bisogna coltivare tale ricerca ma occorre evitare ad ogni costo di assolutizzare anche le proprie convinzioni per combattere il relativismo. Evitare, perciò, fondamentalismi tra i convinti che tutto sia relativo e coloro che, invece, siano convinti che l'uomo debba tendere all'universalità. Ma bisogna comunque stare attenti perché anche l'universalità potrebbe essere relativa.

 

 
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LA GUERRA È INEVITABILE ?

Post n°1056 pubblicato il 26 Aprile 2022 da rteo1

LA GUERRA È INEVITABILE ?

La guerra è secondo natura, quindi ineliminabile, oppure può essere evitata ? È questa la domanda basilare alla quale gli uomini del terzo millennio, e gli occidentali in particolare, devono dare una risposta perché è da questa che dipenderanno tutti gli atti, le azioni e i comportamenti dei singoli, dei gruppi, fino agli Stati, di piccola, media o grande potenza militare, economica e finanziaria. In altri termini, a seconda della risposta, se positiva, bisognerà soltanto stabilire quante vittime siano necessarie prima di "sedersi" al "tavolo della pace", oppure, se negativa, si potrà agire per eliminare e risolvere a monte le ragioni del conflitto tra gli Stati. Comunque, nell'uno e nell'altro caso, sarà sempre utile il ruolo dei "pacifisti", necessario e indispensabile per temperare il ruolo dei "guerrafondai" (gli interventisti), secondo la generale dinamica del conflitto degli opposti, tra cui guerra-pace, nota già ai tempi di Eraclito.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, che aveva lasciato sul campo milioni di vittime, oltre a reduci, infermi, vedove, orfani e intere città distrutte, gli Stati europei non avevano più visto una guerra né sul proprio territorio né così vicina (dopo quella nei Balcani) come è avvenuto con la guerra tra la Russia e l'Ucraìna. E così, all'improvviso, soprattutto gli europei, con in testa gli USA, dopo una prima fase di esitazione, di concitazione, e con le immagini ancora impresse nella memoria  della "fuga" precipitosa dall'Afghanistan, dopo vent'anni di inutili combattimenti e di migliaia di vittime, sono stati presi da un senso di confusione circa il da farsi. Gli USA, da parte loro, hanno subito pensato ad attivare la NATO, che è il suo strumento politico-militare d'eccellenza, di cui fanno parte, come corollario, molti Stati, tra cui l'Italia, nel mentre le istituzioni della U.E. registravano l'inadeguatezza della forma politico-istituzionale e, in particolare, la totale assenza di una efficace ed efficiente azione diplomatica comunitaria, così come la mancanza di una politica di Difesa e di un proprio strumento militare. Tra le prime decisione prese nei confronti della Russia ci sono state delle dure sanzioni economiche e finanziarie e, in parallelo, l'invio di armi all'Ucraìna per farla resistere e difendere. Quest'ultima decisione, però, ha sollevato accesi dibattiti tra i cittadini italiani a causa del principio del "ripudio della guerra" sancito dall'art.11 della Costituzione e della consolidata politica estera tendenzialmente pacifista. Il Governo, però, ha "tirato dritto" perché l'Italia fa parte dell'U.E. e dell'Alleanza atlantica, oltre che dell'ONU, perciò, secondo il governo, la linea politico-militare non avrebbe potuto differenziarsi da quella degli altri Stati occidentali che hanno anche deciso di aumentare al 2% del PIL le spese militari. Certo è, però, che il dubbio rimane (almeno in alcuni studiosi, politici e intellettuali), se non altro perché sarebbe bastato anche inviare soltanto aiuti umanitari (come era stato sempre fatto in passato) e perché, a quanto pare, non c'è stato alcun preventivo mandato ONU che avrebbe dato una sicura legittimità internazionale alle azioni degli USA, della NATO, dell'U.E. e dei suoi Stati membri. Anche a causa della presenza della Russia nel Consiglio di sicurezza dell'ONU come membro permanente con diritto di veto, insieme agli USA, alla Cina, all'Inghilterra e alla Francia, quali "stati vincitori" della seconda guerra mondiale (andrebbe, perciò, riformato anche la statuto, per dare maggiore democrazia all'ONU, e una sede neutrale, come ad es. la Svizzera). Comunque tutto questo, a cose fatte, può ritenersi ormai come impegno europeo già assunto dal governo, salve alcune divergenze tra le forze politiche, che potranno esprimersi in ambito parlamentare, anche a seguito dell'intervento pubblico del Papa che ha condannato l'aumento delle spese per le armi e l'invio di queste anziché adoprarsi per la pace. Rimane tuttavia ancora aperto il problema di quale possa essere la migliore soluzione possibile per tacitare le armi, ammesso che siano tutti d'accordo a volerle mettere da parte, perché anche questo non è scontato, per quanto possa apparire assurdo. Ma purtroppo assurdo non è perché "quando il gioco si fa duro..." non è vero che scendano in campo i duri giacché spesso intervengono "i pazzi". Almeno è questa la mia impressione (seguendo i diversi interventi televisivi e vedendo le immagini dell'inutile tragedia e massacri di esseri umani), certamente condizionata anche dalla lettura del saggio di Freud "Psicologia dell'Io e della massa" e dall'opera del sempre celebrato Erasmo da Rotterdam che ha con giusta ironia "elogiato la pazzia" degli esseri umani. Per questo non si può escludere che le brame geo-politico-strategiche degli USA, in rapporto sia alla Russia, ormai diventata una modesta potenza regionale (a parte i vetusti arsenali nucleari ricevuti in successione dalla antica URSS), sia alla Cina, che sta ormai imponendosi come prima potenza economica mondiale e sta eguagliando il primato militare e tecnologico americano, ma anche nei confronti del "resto del mondo", inclusa la stessa "alleata" U.E., possano portarli a "forzare la mano" con i loro soldati e la NATO per estendere la loro influenza ancora più ad est e sull'amplissimo territorio russo ricco di materie prime. D'altronde ciò sarebbe in linea con la "natura" degli USA, del loro essere di Stato egemone, fin da quando i primi coloni europei posero piede sul territorio del continente americano, si liberarono dal giogo inglese con la guerra d'indipendenza, regolarono i loro rapporti interni con la guerra di secessione ed attuarono la "conquista del west" celebrata, poi, dai film di Hollywood (la "storia è la storia", sia individuale che collettiva, e questo non va mai trascurato!). Perciò molto dipenderà dalla politica estera del governo americano, il quale, se si voterà alla pace, dovrà autolimitare la volontà di superpotenza imperiale e agevolare la sfida del "mercato globale" che, peraltro, è il prodotto della esigenza espansiva del suo capitalismo. Ovviamente questa soluzione alternativa alle armi non garantirà agli americani la pax mondiale perché la storia "è costretta" ad andare comunque avanti, verso "un nuovo ordine mondiale", che piaccia o meno, e prima o poi occorrerà misurarsi con la Cina, quando questa non riuscirà più a contenere la sua volontà di superpotenza imperiale. E forse si arriverà anche ad una crisi con l'Europa Unita, qualora questa voglia rendersi politicamente e militarmente indipendente e "sovrana" rispetto "all'alleato statunitense" e alle altre potenze mondiali. Perciò non è vera la versione diplomatica degli occidentali e quella mediatica che i conflitti bellici e quello in atto siano necessari per difendere la democrazia e la libertà perché, anzitutto, ogni popolo è libero di "scegliere" la sua forma di Stato e di governo più adatta alla sua indole e tradizioni culturali e religiose e, inoltre, perché tutto accade sempre secondo la dinamica degli interessi materiali, alimentati dall'esigenza naturale della sopravvivenza e dalla volontà di espandere la propria potenza, come già Socrate evidenziava con preoccupazione ai suoi concittadini ateniesi. Venendo, ora, ai problemi italiani, correlati al conflitto, bisogna subito sottolineare che, come già avvenuto durante la pandemia, i cittadini si sono di nuovo divisi e schierati, ma questa volta tra "pro-Ucraìna" (la maggioranza), perché aggredita, e una sparuta minoranza, ossia coloro che hanno preteso di analizzare i fatti, sia prossimi che remoti, antecedenti al conflitto, per cercare di capire quali fossero le cause del conflitto geopolitico. Purtroppo le reazioni dei primi sono state spesso veementi e intolleranti perché si riteneva che si dovesse "scegliere da che parte stare", "senza se e senza ma", negando, persino agli studiosi di fama, di indagare sulle ragioni della guerra; di porsi la domanda sul perché la diplomazia non avesse lavorato per portare al tavolo delle trattative i due belligeranti, dal momento che questi si contendevano un'area (il Donbass) dove da circa 8 anni si stava combattendo e c'erano già state oltre 12.000 vittime; e inoltre, di chiedere perché non erano stati rispettati i due Trattati di Minsk e non si era pensato di dare uno statuto speciale a quell'area contesa (in Italia ci sono 5 Regioni a statuto speciale, due Province autonome, lo Stato di San Marino e quello del Vaticano) in attesa di tempi migliori per risolvere diversamente l'attuale contesta e con nuovi leader politici sulla scena, soprattutto alla guida della Russia; ma purtroppo ha prevalso " la linea dura", di totale chiusura, anche mentale, di tutte le parti. E tra gli italiani ancora una volta la "dittatura della maggioranza" ha sancito il dogma che "la minoranza ha sempre torto" e deve tacere. Ed è così emerso che la labile "democrazia" italica ha tradito se stessa, il suo essere, e voler essere, diversa dalle "autocrazie" nelle quali ai "dissidenti" è impedito di esprimere liberamente il pensiero. Eppure l'esperienza insegna che nessuno ha mai "ragione" o "torto" in assoluto, e come  sosteneva Hegel "la verità è nell'intero", cioè anche dell'errore, e che "l'assoluto è la risultante della mediazione di tutta la realtà" in costante cambiamento. E la spiegazione è semplice: la "ragione" e il "torto" sono co-essenziali e co-esistenziali; l'una esiste a causa dell'altro ed entrambi hanno in comune la "follia". Inoltre, sia dal punto di vista psichico, che biologico e antropologico "tutti gli uomini sono uguali", nel bene e nel male. Nessuno perciò è, in assoluto, "migliore o peggiore" degli altri, e i ruoli sociali e pubblici non mutano la natura dell'individuo ma gli assegnano soltanto delle "maschere" per la recita della parte in scena. Così come dice U. Galimberti, secondo il quale la identità si riceve dalla società e non deriva per nascita. Ma questo non è sempre un bene perché a volte tali identità attribuite ab esterno, dalla società, contrastano con la vera natura, con l'essere e il sentirsi del soggetto che così vive una sorta di perenne alienazione, una patologica crisi d'identità. Anche le "diversità" e le "molteplicità" delle forme esistenti in natura attengono soltanto alle "apparenze" e non alla sostanza, perché è così che è, è così che dev'essere e non può che essere altrimenti. E tutto si sviluppa "secondo evoluzione", ossia nel senso del divenire, in continua trasformazione, affinché nulla sia uguale a ieri e tutto sia diverso da oggi e da domani e tutto ciò che appare e si manifesta "divenga altro" da sé nello spazio-tempo. L'uomo perciò non ha il dominio del suo "destino" (anche se all'Io di molti piace crederlo) ma è il "Destino" (la "necessità" delle forze universali) che si serve dell'uomo, così come di ogni altra specie vivente o cosa "inanimata" che fa parte dell'Uno e del Tutto (la contestuale unità e molteplicità). Perciò L. De Crescenzo amava il dubbio e il punto interrogativo e non sopportava il punto esclamativo e le persone dogmatiche, che avevano solo certezze (come i dittatori, i tiranni e i loro imitatori nelle istituzioni e negli apparati burocratici). Ad ogni buon conto, giunti qui dopo questa brevissima divagazione, ma utile per scuotere l'imperante "antropocentrismo" (da cui la catastrofica era antropocene), è ora necessario riprendere il filo del discorso sul suddetto conflitto bellico per tentare di dare una risposta "definitiva" alla domanda se la guerra sia un accadimento secondo natura oppure se possa essere evitata, come ha anche affermato il Papa. Certamente la storia finora scritta dalla comparsa degli uomini sulla scena ha registrato che la "guerra" è un avvenimento ciclico inevitabile e che tutto nel mondo e nell'universo intero si muove secondo la logica del "conflitto", ossia della guerra, come già Eraclito evidenziava. Per questo ancora resiste il brocardo "se vuoi la pace, prepara la guerra" (si vis pacem, para bellum), e si cita ancora Clausewitz secondo il quale "la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi". E sembra adesso avere anche un fondamento scientifico la seguente risposta di Freud alla domanda di Einstein: «c'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra ?» (vds. Nuovo Meridionalismo n. 231): « Noi presumiamo che le pulsioni dell'uomo siano di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire - da noi chiamate erotiche...- e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva. [...] Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. [...] È assai raro che l'azione sia opera di un singolo moto pulsionale, il quale deve essere già una combinazione di Eros e distruzione. [...] Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, può far eco in loro una serie di motivi consenzienti, nobili e volgari... Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte; innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro esistenza e la loro forza...». Di converso, e bisognerebbe dire purtroppo, sembra rivelarsi del tutto utopica l'idea di I. Kant della "Pace perpetua" racchiusa in alcuni punti del "Progetto", tra cui: «Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo del tutto cessare. Essendo la guerra l'unica finalità di questi eserciti, essi istigano alla guerra. Inoltre un esercito permanente comporta una spesa economica rilevante e spesso l'unica soluzione che uno stato ha per liberarsi da questo peso economico è fare guerra» e « Nessuno Stato deve interferire con la forza nella costituzione e nel governo di un altro Stato». Tutto, perciò, depone, a quanto pare, per la "guerra" come accadimento naturale, inevitabile, ma anche correlata e indissolubile con il suo contrario: la Pace. Quest'ultima, infatti, non può esistere senza la guerra e viceversa. Ed è altrettanto vero (storicamente) che la guerra prima o poi finisce e arriva la pace che mette al tavolo i belligeranti, perciò la "ragione" deve sempre indurre a mettere fin da subito in campo la diplomazia per evitare, o ridurre, i massacri di inermi cittadini, l'inutile distruzione delle città e la fuga di migliaia di profughi, con effetti nefasti sull'economia, anche globale, e il rischio di successive carestie. Soprattutto quando la contesa riguardi "un pezzo di terra" (come oggi quello del Donbass) che appartiene solo ed esclusivamente alle forze della natura e non alla politica, ai governi e agli umani che ne hanno solo un "godimento temporaneo". Nessuna perdita di vita umana, pertanto, e ancor peggio migliaia di vittime inermi, potrà mai giustificare la guerra per la contesa di un precario "pezzo di terra", perciò sono sempre in errore tutti i belligeranti, a qualsiasi parte del tavolo si siedano, e non ci saranno mai "eroi", né vinti, né vincitori, anche se la "storiografia" ne ha bisogno per riempire altre inutili pagine di carneficine. Così come la follia dei cittadini li porterà a dire, anche dopo decenni, e alla presenza di nuove generazioni che non hanno vissuto le stesse tragedie: Noi eravamo dalla parte giusta! Ignorando che l'universo non ha un centro, né i lati. Sono perciò queste le conclusione cui pervengo, con rammarico, e con l'auspicio di essere smentito, prima possibile, con la convinzione che qualunque sia ormai l'esito della guerra tra la Russia e l'Ucraìna l'umanità ha già perso e hanno vinto la clava, gli istinti primitivi, le pulsioni distruttive. Su altri numeri di questa Rivista avevo anche scritto di ribellarsi contro la "volontà della specie", di cui parla Schopenhauer nel saggio "Il mondo come volontà e rappresentazione", e proposto di "resistere" alla "volontà di potenza", esaltata da Nietzsche. Invitavo certamente a delle imprese estremamente impegnative, perché rivolte essenzialmente a "dominare se stessi", e tutte le pulsioni aggressive, ma non vedevo altri rimedi migliori. Adesso non mi rimane che la possibilità di rievocare ancora Freud il quale, seppur non del tutto convinto, non volle spegnere la speranza di Einstein e così concluse la sua missiva: «...tutto ciò che promuove l'evoluzione civile lavora anche contro la guerra». 

 
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BUONA PASQUA AL MONDO E DAL MONDO

Post n°1055 pubblicato il 17 Aprile 2022 da rteo1

BUONA PASQUA AL MONDO E DAL MONDO

Abbiate fede. In voi stessi, prima di tutto, e poi negli altri. Non una fede nell'esistenza materiale, ovviamente, ma nell'essenza delle cose e dell'essere stesso, che è si  materia, ma anche "spirito". Tenere insieme, congiunte, unite, in armonia, le due parti del sé è l'impegno della vita, per andare verso la "verità".

"Non abbiate paura", dice la Parola, del Vangelo e del Papa. Seminare "pace" fa raccogliere "amore", fratellanza, umanità, condivisione, della "buona e cattiva sorte". Seminare "odio", invece, avvelena il raccolto e il prodotto degrada l'animo umano e lo conduce alla "morte" spirituale ma anche reale perchè anche la materia diventa letale.

La "natura" è l'inizio del viaggio del mondo e degli esseri umani. Questi possono "migliorare" o "peggiorare" la "natura". Sta a loro la scelta. Così come la scelta della Pace o della guerra".

Buona Pasqua... a chi vuole risorgere...

 

 
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