LIBRO: Le Navi di Nemi di Guido Uccelli

Navi di Nemi

Le Navi di Nemi

Il lago di Nemi, di origine vulcanica, si trova a circa 30 chilometri a sud di Roma, sui Colli Albani. La zona era abitata fin dalla preistoria e in epoca romana qui sorgeva il Tempio di Diana Aricina, centro religioso e politico importante e frequentato.

La leggenda dell’esistenza di due grandi navi sommerse sul fondo del lago, forse custodi di favolosi tesori, veniva tramandata dagli abitanti del luogo ed era supportata dai recuperi casuali effettuati dai pescatori. A partire dal Rinascimento si prova a riportare alla luce le imbarcazioni: tentativi che hanno conseguenze drammatiche sugli scafi, che ne devastano le strutture, asportando reperti e legname. Di fatto le navi sono troppo grandi e pesanti per essere ripescate, ma di questo ci si renderà conto solo alla fine dell’Ottocento.

Il primo tentativo conosciuto risale al 1446, quando il cardinale Prospero Colonna, signore di Nemi, incarica del recupero l’architetto Leon Battista Alberti. Il resoconto dell’impresa è narrato da Flavio Biondo nella sua Italia illustrata: grazie ad alcuni esperti nuotatori genovesi, si esplora la nave più vicina a riva, determinandone distanza e profondità; poi se ne tenta il recupero mediante una piattaforma galleggiante munita di corde e uncini.

Nel 1535, il bolognese Francesco De Marchi compie una serie di immersioni, di cui dà conto nella sua opera Della Architettura Militare. Utilizzando una speciale campana di legno munita di oblò in vetro, che protegge la parte superiore del corpo lasciando libere gambe e braccia e permettendo la respirazione, De Marchi determina le dimensioni dello scafo più vicino a riva e il suo stato di conservazione.

……

Nel 1926 viene istituita una nuova commissione incaricata dello studio del recupero: ne fanno parte periti, archeologi e ingegneri, sotto la guida dell’archeologo e senatore Corrado Ricci. I risultati della commissione confermano l’opera di Malfatti e indicano la via da seguire: svuotamento parziale del lago fino a 22 metri di profondità per mezzo dell’emissario; indagini archeologiche sulle navi emerse; esplorazione del fondo del lago alla ricerca di reperti; sollevamento degli scafi e loro ricovero in un museo da realizzarsi appositamente. Il 9 aprile 1927, in un discorso alla Reale Società Romana di Storia Patria, il Capo del Governo Benito Mussolini annuncia la decisione di recuperare le navi sommerse.

Grazie ad alcune scritte è possibile datare gli scafi all’epoca dell’imperatore Caligola (37-41 d.C.): la grandiosità delle imbarcazioni, la ricercatezza delle decorazioni e degli arredi, le stesse vicende personali dell’imperatore hanno fatto ritenere a lungo che le navi fossero luoghi di piacere. Oggi l’ipotesi più accreditata è che si trattasse invece di navi cerimoniali, destinate alla celebrazione di feste religiose, in linea con il carattere sacro del luogo. Nonostante le spoliazioni, le navi mantengono intatta la loro imponenza: essendosi conservata la cosiddetta opera viva (la parte immersa dello scafo) è possibile apprezzarne i dettagli costruttivi e gli elementi strutturali ed il ritrovamento rivoluziona le conoscenze della tecnica navale romana. Le navi impiegano legno di pino, di abete e di quercia. La parte esterna della carena è rivestita da un tessuto in lana imbevuto di sostanze impermeabili, a sua volta ricoperto da fogli in piombo tenuti in sede da una fitta chiodatura.

Il primo scafo misura 71 metri in lunghezza e 20 in larghezza; il secondo 75 metri in lunghezza e 29 in larghezza ed è caratterizzato dalla presenza di lunghi bagli posti a distanze regolari, forse destinati a portare fuori bordo le scalmiere. Degne di nota anche le due grandi ancore ritrovate: la prima in legno con ceppo in piombo della lunghezza di 5 m rappresenta l’unico esemplare di questo tipo completo, conosciuto all’epoca. La seconda, del tipo detto ammiragliato, fino a quel momento si credeva ideata dal capitano inglese Rodger nel 1851.

Nella notte fra il 31 maggio e il 1º giugno 1944, un violento incendio devastò il museo, distruggendo le navi: si è salvato solo quanto era stato portato in precedenza a Roma. ( Wikipedia )

 

 

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Club dei Lettori: Intellettuali e PCI – Bibbia – Regia Aeronautica

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NELLO AJELLO – IL LUNGO ADDIO. INTELLETTUALI E PCI DAL 1958 AL 1991 – LATERZA

«Intellettuali e Pci. 1944-1958 […] uscì nel 1979. Oggi la scomparsa del Pci dà a quelle pagine un senso concluso. Il 1958 è davvero una data di epilogo: segna, a me pare, il primo punto di approdo della diaspora culturale iniziata con il 1956, l’anno dell’Ungheria. È, insieme, una data di svolta. Il Pci, gli intellettuali, le loro vicende e diatribe riempiranno ancora le cronache.
Ma dalla fine degli anni Cinquanta inizia il «lungo addio» che procederà con alterne vicende fino a oggi. Una divaricazione crescente tra la logica del partito di Longo e Berlinguer, di Occhetto e di D’Alema e le ragioni di intellettuali come Moravia, Pasolini, Sciascia, Magris, Asor Rosa, Colletti, Cacciari (per citarne solo alcuni). Ajello ricostruisce questa storia attraverso esperienze diverse come il centro-sinistra, l’avanguardia, il Sessantotto, il femminismo, il terrorismo, il crollo del Muro di Berlino, i due drammatici congressi della «svolta», raccontandone aspetti più o meno conosciuti con la penna brillante di un grande giornalista e scrittore.

A. GRABNER-HAIDER, PRONTUARIO DELLA BIBBIA, EDB, 2000

l Prontuario vuole contribuire a questo incontro con la Scrittura non accontentandosi di rappresentare il mondo concettuale della Bibbia, ma tentando di gettare il ponte che deve collegare il mondo biblico della fede con la vita e la mentalità del mondo di oggi. L’opera, costituita da oltre 2000 voci, supera quindi il rigido carattere dell’enciclopedia, ed è piuttosto un incrocio tra manuale e dizionario: in quanto dizionario riporta i più importanti concetti biblici; in quanto manuale propone le voci che servono alla comprensione, all’interpretazione e all’esegesi biblica. Redatto in collaborazione da teologi e biblisti evangelici e cattolici, il Prontuario non presuppone un lettore teologicamente erudito, ma intende essere strumento utile all’attività biblica del singolo e della comunità, per il predicatore, il catechista, il gruppo di studio. ( Fonte. Dehoniane )

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LA REGIA AERONAUTICA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE – PRICOLO – LONGANESI

Quando l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, le sue forze armate erano impreparate per un conflitto di simili proporzioni. A dispetto della propaganda che ne esaltava la forza e l’immaginario collettivo, anche internazionale, la Regia Aeronautica, nonostante i record ottenuti nel periodo interbellico e le due campagne militari in Etiopia e in Spagna, non faceva eccezione. L’intervento a sostegno dei franchisti anzi l’aveva depauperata di risorse, uomini e mezzi e ne aveva instillata una falsa percezione di superiorità fondata sugli obsoleti C.R.32 ed S.M.79. L’industria aeronautica, incentrata sui bombardieri ritenuti da Mussolini fondamentali per mettere in atto una guerra lampo simile a quella tedesca, non era in grado di sostenere i livelli di produzione di massa raggiunti da Gran Bretagna, USA e Germania.

Alla data di ingresso in guerra la Regia Aeronautica contava su una forza di 105.430 uomini, dei quali 6.340 piloti, ripartiti in 23 stormi da bombardamento terrestre, 2 da bombardamento marittimo, 1 stormo e due gruppi d’assalto, l’aviazione da osservazione aerea e da ricognizione marittima e 6 stormi ed 8 gruppi da caccia, dotati questi ultimi di un totale di 200 Fiat C.R.42, 177 Fiat C.R.32, 88 Fiat G.50 e 77 Macchi M.C.200, questi ultimi due malvisti dai piloti che preferirono i più lenti ma più agili biplani (C.R.42 e C.R.32). Gli aerei in servizio messi in allerta per la guerra (operazione PR 12) una settimana prima il 10 giugno erano 3.269 (1.332 bombardieri, 1.160 caccia, 497 ricognitori e 307 idrovolanti) ma solo 1.796 erano in perfette condizioni per volare e combattere.

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Aggiornato al 1 Dicembre 2023