Il Piacere della Lettura: Proposte Letterarie

Leggere.1

BiblioTerapia

“Già Aristotele credeva che la letteratura potesse avere un’influenza positiva e curativa sulle persone, e i romani evidenziarono come potesse esserci un legame tra medicina e lettura, ma è stato solo nel 1937 che Menninger iniziò a parlare di libro-terapia nella cura delle malattie mentali.

Con il termine biblioterapia s’intende l’utilizzo di testi letterari, quali romanzi, ma anche saggi, come mezzo per promuovere il benessere psicologico, sociale, culturale, per ampliare la consapevolezza; ma anche come strumento di auto-aiuto attraverso cui assimilare conoscenze per far fronte a situazioni di disagio psicologico, sociale ecc.” ( Tratto da PsychonDesk http://www.psychondesk.it/ )

Nozze per i Bastardi di Pizzofalcone

Una ragazza, nuda, in una grotta che affaccia su una spiaggia appartata della città; l’hanno uccisa con una coltellata al cuore. Un abito da sposa che galleggia sull’acqua. In un febbraio gelido che sembra ricacciare indietro nell’anima i sentimenti, impedendogli di uscire alla luce del sole, Lojacono e i Bastardi si trovano a indagare su un omicidio che non ha alcuna spiegazione evidente. O forse ne ha troppe. Ognuno con il proprio segreto, ognuno con il proprio sogno ben nascosto, i poliziotti di Pizzofalcone ce la metteranno tutta per risolvere il mistero: la ragazza della grotta lo esige. Perché non solo qualcuno le ha tolto il futuro, ma lo ha fatto un attimo prima di un giorno speciale. Quello che doveva essere il piú bello della sua vita. ( Fonte Einaudi )

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

 Aggiornato al 28 Novembre 2023

Libri Rari & Perduti nel Tempo: Proposte di Lettura

Biblioteca Alessandria Egitto

I dieci libri antichi andati perduti

Enciclopedie, testi sacri, scienza e opere letterarie: sono molti i testi antichi andati perduti nel corso della Storia e che oggi nessuno ha più modo di leggere.
Interessante l’articolo a firma di Giuliana Rotondi pubblicato nel 2018 su Focus ( https://www.focus.it/cultura/storia/la-top-ten-dei-libri-antichi-perduti )
 

1. I LIBRI SIBILLINI: erano una raccolta di responsi oracolari delle Sibille, le sacerdotesse degli dei ( soprattutto di Apollo ). I testi, scritti in greco e conservati nel tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio, erano custoditi da un collegio di sacerdoti e per nove secoli vennero considerati l’unico riferimento da consultare nel momento del bisogno, durante ogni crisi politica. Bruciarono in un incendio del tempio, nell’83 a.C. Si tentò di ricostruirli per ordine dell’imperatore Augusto, ma anche queste copie non ebbero fortuna: nel V secolo furono distrutte, pare per ordine del vandalo Stilicone che temeva potessero finire nelle mani dei visigoti. A noi sono giunti solo alcuni frammenti di pochi versi.

2. LE POESIE DI SAFFO: nel VI secolo a.C. la poetessa greca Saffo compose oltre diecimila versi. Gli studiosi della biblioteca di Alessandria raccolsero le sue opere in otto o forse nove libri. Di questa produzione ci è rimasto ben poco, appena pochi frammenti. L’unico componimento che ci è giunto per intero è L’inno ad Afrodite, una lirica dedicata all’amore.

3. L’ACHILLEIS DI ESCHILO: è una trilogia del drammaturgo greco Eschilo ( V secolo a.C. ). L’Achilleis riproponeva la guerra di Troia sotto forma di tre tragedie: i Mirmidoni, le Nereidi e i Frigi. Di queste tre opere teatrali esistono oggi solo pochi frammenti, anche se gli storici, partendo dalle citazioni di altri autori, sono riusciti a ricostruire il loro contenuto complessivo con ragionevole certezza.

4. I CODICI MAYA: sono libri della cultura precolombiana Maya, scritti fin dal IX secolo in geroglifici su stoffa di corteccia mesoamericana, una particolare “carta” utilizzata in quelle regioni. I libri erano molti, ma oggi ne sopravvivono meno di cinque: tutti gli altri vennero bruciati dai conquistatores nel Cinquecento.

5. I PAÑCHATANTRA: era una raccolta di antiche favole indiane in prosa o in versi, diffusa già nel 100 a.C. Non sappiamo quando fu scritta, perché l’opera originale è andata perduta: a noi sono giunte solo traduzioni e rifacimenti spesso molto differenti tra loro.

6. L’AVESTA: del libro sacro dell’antica religione zoroastriana della Persia sopravvive solo una collezione di frammenti, circa un quarto del testo originale. Gli ultimi manoscritti completi potrebbero essere bruciati quando Alessandro Magno conquistò Persepoli, nel 330 a.C.

7. IL SESTO CLASSICO DI CONFUCIO: un corpus di libri attribuito a Confucio che ancora oggi è considerato fondamentale nella letteratura classica cinese. Ci sono pervenuti i “Cinque Classici”, dedicati alla poesia, alla retorica, ai riti antichi, alla storia e alla divinazione. Il sesto libro, quello sulla musica, potrebbe essere scomparso nel III secolo a.C.

8. L’ENCICLOPEDIA YONGLE: fu commissionata dall’imperatore Yongle, della dinastia cinese Ming, nel 1403. Il progetto era enorme: per realizzarlo vi lavorarono 2.000 studiosi che scrissero 8.000 testi raccontando la storia cinese dai tempi antichi fino agli inizi della dinastia Ming. Ne uscirono 11.000 volumi su argomenti che spaziavano dall’agricoltura all’arte, alla teologia e alle scienze naturali. Molti volumi bruciarono nella Ribellione popolare cinese dei Boxer ( 1901 ): a noi è arrivato solo il 3% dell’opera.

9. I TRATTATI DI ALHAZEN: matematico medievale, astronomo e fisico, Alhazen scrisse un trattato di ottica ed elaborò un metodo scientifico che influenzò molti pensatori europei dei secoli successivi. Ancora oggi è considerato il padre dell’ottica moderna. I suoi studi contribuirono a mettere in discussione le vecchie teorie sulla natura e la diffusione delle immagini visive. Fino a quel momento infatti si riteneva che la luce fosse un’elaborazione soggettiva e relativa della psiche umana.

10. I LIBRI PERDUTI DELLA BIBBIA: La Bibbia che conosciamo noi è una versione parziale dei testi originari, accettata dalla gerarchia ecclesiastica. Sarebbero però esistiti anche diversi libri oggi mancanti a cui le Sacre Scritture fanno riferimento, come il Libro delle Battaglie di Jahvé citato nel Libro dei numeri o il Libro delle Cronache dei Re di Israele, di cui non si ha più alcuna traccia.

I libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito. “L’ombra del vento” Carlos Ruiz Zafòn 

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Aggiornato al 28 Novembre 2023

Victor Hugo: I miserabili nella Francia dell’Ottocento

 

VICTOR HUGO

Victor-Marie Hugo, più comunemente noto come Victor Hugo ( Besançon, 26 febbraio 1802 – Parigi, 22 maggio 1885 ) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia. Si cimentò in numerosi campi, divenendo noto anche come saggista, aforista, artista visivo, statista e attivista per i diritti umani.

Tra i principali teorici ed esponenti principali del movimento letterario romantico, seppe tenersi lontano dai modelli malinconici e solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le vicissitudini non sempre felici della sua vita ( dei quattro figli che giunsero all’età adulta, tre moriranno prima di lui, mentre la figlia Adèle finirà ricoverata in manicomio ) per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori e le sfumature dell’animo umano.

I suoi scritti giunsero a ricoprire tutti i generi letterari, dalla poesia lirica al dramma, dalla satira politica al romanzo storico e sociale, suscitando consensi in tutta Europa.

I Miserabili di Victor Hugo 

I miserabili è un romanzo storico di Victor Hugo, pubblicato nel 1862 e considerato uno dei più eccelsi romanzi del XIX secolo europeo, fra i più popolari e letti dell’epoca. Suddiviso in 5 volumi, il libro è ambientato in un arco temporale che va dal 1815 al 1832, dalla Francia della Restaurazione postnapoleonica alla rivolta antimonarchica del giugno 1832, narrando le vicende di numerosi personaggi: in particolare la vita dell’ex galeotto Jean Valjean e le sue lotte per la redenzione. 20 anni di storia francese, con digressioni sulle vicende della Rivoluzione francese, sulle Guerre napoleoniche – in particolare la battaglia di Waterloo – fino alla Monarchia di luglio.

I suoi personaggi appartengono agli strati più bassi della società francese dell’Ottocento, i cosiddetti “miserabili” – persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà… – la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, o Luigi XVIII. È una storia di cadute e di risalite, di peccati e di redenzione. Hugo santifica una plebe perseguitata, ma intimamente innocente e generosa; la legge, che dovrebbe combattere il male, spesso lo incarna, come l’inesorabile personaggio di Javert. Il grande eroe è il popolo, rappresentato da Jean Valjean, fondamentalmente buono e ingiustamente condannato per un reato insignificante. Hugo riassunse così l’opera: «Il destino e in particolare la vita, il tempo e in particolare il secolo, l’uomo e in particolare il popolo, Dio e in particolare il mondo, ecco quello che ho cercato di mettere in quel libro». Nel racconto fluviale ci sono descrizioni e giudizi di grande rilevanza storica, permettendo di collocare i personaggi nel loro contesto storico-sociale: la battaglia di Waterloo, l’architettura della città di Parigi, la visione sul clero e i monasteri dell’epoca, le opinioni sulla società e i suoi mali, il quadro plumbeo della Francia della Restaurazione. ( Wikipedia )

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Tombe principesche nel Lazio

Tomba principesca

TOMBE PRINCIPESCHE

1. L’archeologia della morte e le società medio-tirreniche tra la prima etá del ferro e l’etá orientalizzante; 2. Definizione dei limiti cronologici della ricerca. le sepolture principesche nel Latium Vetus: un fenomeno ancora vivacemente discusso; 3. Le sepolture principesche nel Latium Vetus ed il loro contesto: presentazione dei dati; 4. Le sepolture principesche nel Latium Vetus: sintesi dell’ evidenza archeologica e prima interpretazione dei dati raccolti

Dato che gli Etruschi pensavano a una vita oltre la morte del defunto, la tomba era concepita come una nuova casa, dotata di un corredo di abiti, di ornamenti, di oggetti d’uso quotidiano, e, insieme, di una scorta di cibi e bevande di cui egli si sarebbe servito. Il resto era un arricchimento e poteva variare a seconda del rango sociale del defunto e delle possibilità economiche degli eredi, e anche in relazione alle usanze e alle mode dei luoghi e dei tempi[1]. Si poteva così modellare la tomba nell’aspetto sia pure parziale o soltanto allusivo della casa, e dotarla di suppellettili[2], arredi, e magari affrescarla sulle pareti con scene della vita quotidiana o dei suoi momenti più significativi

A differenza dei Romani, che esibivano le loro tombe ai margini delle vie consolari, gli Etruschi, costruivano i loro edifici funebri sotto terra o, se in superficie, li celavano alla vista ricoprendoli di tumuli di terra. Le tombe generalmente erano poste in aree, necropoli, al di fuori delle cinte murarie delle città. La tomba etrusca da inumazione, tendeva a riprodurre l’abitazione del defunto fin nei minimi particolari, compreso l’arredamento interno, mentre le più antiche urne cinerarie, erano spesso costruite in forma di capanna], con pali in legno e tetto di paglia volto a ricreare uno stretto rapporto con la dimora del morto. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 28 Novembre 2023

 

LETTURA: La Tragedia del Vajont raccontata da Mauro Corona

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La Tragedia del Vajont

«Duecentosessanta milioni di metri cubi di roccia cascano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di cinquanta milioni di metri cubi. […] Solo la metà scavalca di là della diga, solo venticinque milioni di metri cubi d’acqua… Ma è più che sufficiente a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Duemila i morti.»

(Marco Paolini, Il racconto del Vajont )

Il disastro del Vajont è stato un disastro ambientale ed umano. Si è verificato la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont (al confine tra Friuli e Veneto), dovuto alla caduta di una frana dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga; la conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1917 persone.

Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino. Dopo la costruzione della diga si scoprì che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici. ( Wikipedia )

Mauro Corona: «Una mano assassina lanciò il sasso che distrusse la mia Erto»

All’epoca Mauro Corona aveva tredici anni e quelle preghiere della nonna, che da settimane invocava il Signore di non fare venir giù il Toc, le vedeva come una sorta di lamento scaramantico. Ma quella notte di 50 anni fa, alle 22.39 del 9 ottobre 1963, nel giro di pochi secondi, ha capito che quelle proteste dei paesani, che da mesi temevano per la loro incolumità, erano drammaticamente reali.

«Il ricordo più nitido – spiega Corona – è l’enorme boato che precedette e accompagnò l’onda assassina. Basti pensare al frastuono infernale che fa un camion di ghiaia quando ribalta il cassone in un cantiere. Nel nostro caso, si rovesciarono 300 milioni di metri cubi di montagna nel lago sottostante. Ancora oggi, quando sento rumori violenti, mi scuoto e la mente torna inevitabilmente a quella notte».

«In realtà – ricorda lo scrittore -, non ci accorgemmo subito del dramma, perché un costone del monte Borgà salvò la vita di tutta la famiglia, deviando la traiettoria dell’onda, che ci scavalcò miracolosamente. E nemmeno capimmo la portata della tragedia. I vecchi ci dissero di salire verso la vetta della montagna, fino a che, raggiunto un rifugio, mi misero a dormire sopra un tavolo. Nel frattempo, un compaesano scese a controllare cosa fosse successo. Tornò ore dopo, affranto: “Non vedo le case di San Martino” annunciò, in lacrime, dopo aver ispezionato l’area con la sola fioca luce di una pila tascabile, “ma soprattutto – disse – non riesco più a scorgere le luci di Longarone”».

L’alba spalancò, agli occhi dell’allora giovanissimo Corona e dei suoi congiunti, la vastità della tragedia. «Sotto di noi era tutto di colore giallo – rammenta -, una sorta di paesaggio lunare, informe. Nessuno aveva il coraggio di parlare. Furono minuti di annientamento psicologico, fino a che si udirono i rotori degli elicotteri dell’Esercito, che iniziavano ad arrivare sul fronte della frana».

Qualche ora dopo, Corona e i pochi altri superstiti vennero sfollati a Cimolais: «Fu lì che il giorno seguente, il presidente della Repubblica, Antonio Segni, mi prese in braccio visitando le popolazioni smembrate dal disastro. Fu anche l’unica volta che un Capo di Stato raggiunse Erto. Da allora, tutti si sono fermati a Longarone o alla diga, ma nessuno è venuto a vedere il paese che non c’è più, dilaniato dalla frana e dall’onda, mentre la comunità è stata divisa in due: una parte in Veneto e l’altra nella pedemontana friulana.

Assieme ai commenti fuorvianti dei grandi intellettuali dell’epoca: «Giorgio Bocca sostenne per tutta la vita la teoria della disgrazia naturale, mentre Dino Buzzati, sul Corriere della Sera, scrisse che fu come un sasso caduto in un bicchiere. No, caro maestro: quel masso non è caduto, ma l’ha lanciato la mano assassina dell’uomo, inseguendo il profitto a scapito di duemila vite umane». ( Tratto dal Gazzettino.it )

Dal libro di Mauro Corona: Vajont quelli del dopo

“Non esiste più niente della vita di un tempo. Tutte le civiltà scomparse sono state cancellate in qualche anno. La nostra in due minuti. Ci siamo ritrovati il giorno dopo a partire da zero, in altri luoghi, in altri modi, con altri tempi, usando cose che non conoscevamo. E’ stato come nascere un’altra volta. Nascere vecchi è come vivere morti. Non ci si adatta a ciò che non si conosce”.

“E’ vero, Rachele lanciò l’allarme quando vide manovre notturne. Allora ci mobilitammo tutti. Armati di bastoni e rancore, bloccammo il camion già quasi carico. Per una settimana giorno e notte a fare la guardia, con i fuochi accesi nella strada”.

“I nostri, morti non hanno tomba, sono spariti, come se non fossero nemmeno esistiti”.

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Aggiornato al 27 Novembre 2023

Libreria Aiace Roma: Libri Perduti nel Tempo

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Libri Perduti nel Tempo

La storia del libro segue una serie di innovazioni tecnologiche che hanno migliorato la qualità di conservazione del testo e l’accesso alle informazioni, la portabilità e il costo di produzione. Essa è strettamente legata alle contingenze economiche e politiche nella storia delle idee e delle religioni.

Dall’invenzione nel 1456 della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, per più di quattro secoli l’unico vero medium di massa è stata la «parola stampata».

La scrittura è la condizione per l’esistenza del testo e del libro. La scrittura, un sistema di segni durevoli che permette di trasmettere e conservare le informazioni, ha cominciato a svilupparsi tra il VII e il IV millennio a.C. in forma di simboli mnemonici diventati poi un sistema di ideogrammi o pittogrammi attraverso la semplificazione. Le più antiche forme di scrittura conosciute erano quindi principalmente logografiche. In seguito è emersa la scrittura sillabica e alfabetica (o segmentale).

Quando i sistemi di scrittura furono inventati furono utilizzati quei materiali che permettevano la registrazione di informazioni sotto forma scritta: pietra, argilla, corteccia d’albero, lamiere di metallo. Lo studio di queste iscrizioni è conosciuto come epigrafia. La scrittura alfabetica emerse in Egitto circa 5.000 anni fa. Gli antichi Egizi erano soliti scrivere sul papiro, una pianta coltivata lungo il fiume Nilo. Inizialmente i termini non erano separati l’uno dall’altro ( scriptura continua ) e non c’era punteggiatura. I testi venivano scritti da destra a sinistra, da sinistra a destra, e anche in modo che le linee alternate si leggessero in direzioni opposte. Il termine tecnico per questo tipo di scrittura, con un andamento che ricorda quello de solchi tracciati dall’aratro in un campo, è “bustrofedica”. ( Wikipedia )

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Aggiornati al 27 Novembre 2023

 

Storie di Libri Perduti di Giorgio Van Straten

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Storie di libri perduti di Giorgio Van Straten, Edizioni Laterza

 

Un viaggio sulle tracce di otto libri perduti, libri mitici come le miniere nella corsa all’oro: tutti i cercatori sono sicuri che esistono e che saranno proprio loro a trovarle, ma nessuno in realtà ha prove certe e percorsi sicuri. I segni sono labili, le speranze di ritrovare quelle pagine sono scarse. Eppure il viaggio vale la pena.
Questo libro racconta la storia di altri libri che c’erano e non ci sono più: i libri perduti non sono libri dimenticati oppure libri pensati dall’autore e mai nati, sono quelli che l’autore ha scritto, che qualcuno ha visto, magari ha anche letto, e che poi sono stati distrutti o dei quali non si è saputo più niente. Libri bruciati, strappati, rubati, semplicemente scomparsi, ma che sono stati scritti, che sono sicuramente esistiti.
La ricerca di una perfezione irraggiungibile, circostanze ambientali e storiche avverse, la censura e persino l’autocensura, la volontà degli eredi: i motivi che portano alla perdita dei libri sono i più diversi. Uno di questi libri Giorgio van Straten l’ha avuto nelle proprie mani, ma non è stato capace di salvarlo. È proprio da quella perdita che parte la sua ricerca di otto libri, il racconto di otto storie a giro per il mondo sulle tracce di pagine che non ci sono più, ma che si può sempre sperare di ritrovare. L’autore si fa viaggiatore, investigatore, spia, si attacca a indizi, informazioni attendibili o meno, ascolta amici ed esperti per avere qualche elemento in più.
Ogni libro perduto ha la sua storia che non assomiglia alle altre, se non per qualche particolare che stabilisce strane relazioni. Partendo dalla casa di Firenze di Romano Bilenchi per poi passare all’Inghilterra di Byron e di Sylvia Plath, alla Francia degli anni Venti dove ha vissuto Hemingway, attraverso la Russia di Gogol e la frontiera spagnola che Walter Benjamin cerca di superare per sfuggire al proprio destino, dalla Polonia occupata dai nazisti dove Bruno Schulz viene ucciso per un dispetto fra ufficiali tedeschi fino a un remoto paesino del Canada dove si è rifugiato Malcolm Lowry…
Perché magari un giorno, da qualche parte, uno di questi libri che sembra perduto per sempre potrebbe miracolosamente riemergere.

«Ogni volta che nella vita mi sono imbattuto in un libro perduto, ho provato la stessa sensazione che mi prendeva leggendo da piccolo certi romanzi che parlavano di giardini segreti, teleferiche misteriose, castelli abbandonati: l’occasione di una ricerca, il fascino di ciò che sfugge e la speranza di essere l’eroe capace di risolvere il mistero. In quei romanzi da ragazzi in effetti la soluzione arrivava verso la fine del libro, suggerita dall’autore ovviamente, anche se a me sembrava frutto della mia attenzione e della mia fantasia.» ( Edizioni Laterza )

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Italo Calvino: Il Piacere di Leggere Romanzi

Calvino Italo

Leggere significa affrontare qualcosa che sta proprio cominciando a esistere

Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi

Un viaggiatore, una piccola stazione, una valigia da consegnare a una misteriosa persona… Da questa premessa si possono snodare innumerevoli vicende, ma sono dieci quelle che l’autore propone in questo sorprendente e godibilissimo romanzo. “E’ un romanzo sul piacere di leggere romanzi: protagonista è il lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. Ho dovuto dunque scrivere l’inizio di dieci romanzi d’autori immaginari, tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro.” 

Italo Calvino, che ai suoi lettori ci teneva, capì bene la situazione e si allarmò. Il suo romanzo del 1979 si apriva con una appello al lettore, a cui venivano impartite le seguenti istruzioni: «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni pensiero (“) La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: “No, non voglio vedere la televisione”. Alza la voce, se non ti sentono: “Sto leggendo! Non voglio essere disturbato”. (“) Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato (“) Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce».

Se una notte d’inverno un viaggiatore

Se una notte d’inverno un viaggiatore è un romanzo di Italo Calvino pubblicato nel 1979. In esso Calvino narra la storia di un Lettore che, nel tentativo di leggere un romanzo (intitolato appunto Se una notte d’inverno un viaggiatore), è per ragioni sempre differenti costretto a interrompere la lettura del libro che sta leggendo e intraprendere la lettura di un altro. L’opera diventa quindi una riflessione sulle molteplici possibilità offerte dalla letteratura e sulla impossibilità di giungere a una conoscenza della realtà.

Il libro è composto da undici brani, dieci dei quali sono inseriti all’interno di una cornice: infatti sono costituiti da dieci incipit di altrettanti romanzi. La storia della cornice, che si sviluppa parallelamente alla lettura dei diversi incipit, narra invece del Lettore ( chiamato esplicitamente Lettore ) e Ludmilla ( la Lettrice ), e della loro storia d’amore, che segue uno schema narrativo tradizionale in cui non manca il lieto fine.

Gli incipit

“Se una notte d’inverno un viaggiatore” (Italo Calvino)
Il Lettore-protagonista si trova in una stazione ferroviaria in cui tutto sembra inafferrabile. Il lettore avverte la sensazione di aver perso una coincidenza e di trovarsi ancora lì solo per errore. Entrato in un bar, il lettore siede accanto ad una donna, che inizia ad affascinarlo. Tuttavia entra nel bar un poliziotto che dà un messaggio (che era concordato in precedenza) ed il lettore esce per prendere il treno, l’ultimo treno. Poi, a causa di un errore di impaginazione, il lettore legge e rilegge le stesse pagine (da 17 a 34).
“Fuori dell’abitato di Malbork” (Tazio Bazakbal, scrittore polacco).
Tutto è concreto, corposo, al contrario del racconto precedente. Il lettore è in una cucina, ma tutti gli ingredienti sono lasciati in lingua originale e quindi, pur “sentendo il gusto” di un determinato cibo, non riesce a capire cosa sia. Anche qui emerge una figura che affascina il lettore, anzi due: Zwida e Brigd (infatti il lettore vede una figura composta dalle due donne, “bifronte”). Il lettore non completa questo romanzo perché tra due facciate scritte iniziano a frapporsi delle pagine bianche, squarciando la lettura, “come una ferita”.


“Sporgendosi dalla costa scoscesa” ( Ukko Athi, scrittore cimmero )
Questo libro viene rintracciato nell’Università, poiché alcuni nomi del precedente (per una strana curiosità) sono uguali tra i due libri. Il romanzo viene raccontato dal professore di cimmerio dell’ateneo, Uzzi-Tuzii. Tuttavia la storia (raccontata sotto forma di diario) è completamente diversa, narra del lettore che si trova nei pressi di un “osservatorio meteorologico” che consiste in una tettoia con sotto pochi strumenti per la rilevazione di determinati dati. Anche qui la presenza femminile (stavolta di una ragazza che disegna degli elementi naturali che trova in spiaggia) risulta attraente per il lettore, anche se in questo caso c’è una sorta di timore nella conoscenza della donna. La ragazza chiede al lettore di comprarle una fune, che poi (ad insaputa del lettore) servirà a far evadere un prigioniero. Il racconto termina (perché incompiuto dall’autore) nel momento dell’incontro tra il lettore e l’evaso.
“Senza temere il vento e la vertigine” (Vorts Viljandi, “pseudonimo” cimbro di Ukko Athi).
Secondo il professore di cimbro dell’Università (professor Galligani) lo scrittore cimmerio avrebbe poi terminato l’opera in lingua cimbra (tesi contrariata da Uzzi-Tuzii). Ancora una volta la storia è completamente nuova. Stavolta il libro è letto nel gruppo di studio di Lotaria, sorella di Ludmilla. La figura femminile appare prima che negli altri romanzi, infatti già nelle prime righe una donna, presa dalla vertigine, sviene tra le braccia del lettore. La scena si trasferisce poi nell’ufficio di Valeriano, nell’edificio del Commissariato. Dopo un colloquio con Valeriano (apparentemente amico del lettore), nella stanza la ragazza presa dalla vertigine rivela la propria presenza, ed il suo nome: Irina. Dopo essersi inserita nella discussione prende una rivoltella e la punta contro il lettore, e da qui il racconto apre una parentesi erotica che termina col ritrovamento da parte del lettore del foglio della sua condanna a morte. Tuttavia la narrazione si interrompe perché nella parte appena letta “c’è già da discutere per un mese”, e il resto del romanzo è stato spartito tra altri gruppi di studio.


“Guarda in basso dove l’ombra s’addensa” ( Bertrand Vandervelde, scrittore belga )
Questo racconto, tradotto dal francese da Ermes Marana, viene dato al lettore dal dottor Cavedagna. La storia ancora una volta presenta il lettore e una figura femminile importante, Bernadette. All’inizio è introdotto anche un altro personaggio, Jojo, probabilmente un rivale del lettore, che finalmente è riuscito ad ucciderlo, ed ora lo trasporta in un sacco per decidere come sbarazzarsene definitivamente (in realtà la ragazza pensa che sia stato ucciso per un moto di gelosia che ha preso il lettore mentre la ragazza aveva un rapporto sessuale con Jojo). Tuttavia il lettore, insieme con Bernadette, non riesce a trovare un posto e un modo adeguato a sbarazzarsi del cadavere di Jojo, che continua a mettere i bastoni tra le ruote al lettore anche da morto. Intanto un ragazzo cingalese è mandato da Mademoiselle Sibylle, figlia del lettore. Il cingalese sostiene che la ragazza lavora al “Nuovo Titania”, gestito da Madame Tatarescu, che aveva voluto mandare un messaggio intimidatorio al lettore. Dato che il cielo stava schiarendo, il lettore decide di scendere in ascensore per portare via Jojo in macchina, ma all’apertura delle porte ci sono tre uomini con le mani in tasca che, dopo aver chiesto cosa ci fosse nel sacco (erano conoscenti di Bernadette), ne tirano fuori una scarpa di vernice nera con la mascherina di velluto. La lettura si interrompe perché si interrompono le pagine fotocopiate dal dottor Cavedagna.


“In una rete di linee che s’allacciano” ( Silas Flannery, scrittore irlandese )
Anche questo romanzo viene dato dall’editore (Cavedagna). Il romanzo narra di un professore universitario (il lettore) assillato dal suono dello squillo di un telefono. Questo suono che sembra perseguitarlo e inseguirlo. Entrato in una casa per rispondere ad un telefono (né la casa né il telefono sono di sua proprietà), sente indicazioni intimidatorie riguardo ad una ragazza del suo corso, Marjorie Stubbs. Così il lettore si mette a correre verso l’indirizzo dato (115, Hillside Drive) e arrivato, slega la ragazza e la scioglie dal bavaglio, e subito lei vomita. “Sei un bastardo”, dice Marjorie al lettore-professore. La lettura è troncata dallo squillo di un telefono, quello del lettore-protagonista, chiamato da Ludmilla che lo invita a casa propria. A casa di Ludimilla, Irnerio (il non-lettore) approfitta di una distrazione del lettore per impossessarsi del romanzo, poiché lo ispira per una sua scultura (infatti verrà ritrovato in una mostra delle opere di Irnerio).


“In una rete di linee che s’intersecano” (Silas Flannery)
Il lettore crede di avere tra le mani un’altra copia dello stesso romanzo di prima, ma s’accorge che una fascetta con la scritta “L’ultimo successo di Silas Flannery” copriva le parole “s’intrecciano”. Inizia così la lettura di un nuovo racconto, in cui l’idea principale sembra quella di speculare, degli specchi. Il lettore, che è immedesimato in un uomo d’affari giapponese, è affascinato dagli specchi ed in particolare dai caleidoscopi, e sostiene di aver basato il proprio successo economico su un principio simile a quello dei caleidoscopi. E così comincia un ragionamento fatto di ripetizione di ogni oggetto, movimento e abitudine per eludere eventuali tentativi di omicidio nei confronti del lettore stesso. Il lettore crea una stanza con le pareti fatte tutte di specchi e le conseguenze sono confuse: Lorna, sdraiata nuda e legata al suolo, vede ad ogni suo movimento la riflessione delle sue carni in ogni specchio a perdita d’occhio. Intanto entra Elfrida, e anch’ella si riflette a non finire negli specchi, e le carni della prima si intrecciano con il corpo della seconda, e con la rivoltella che tiene in mano. Il lettore non riesce più a distinguere l’una dall’altra e l’ambientazione sembra spostarsi verso un altro luogo: la sacra dimora di Iside, dea della notte egizia. La soddisfazione del protagonista è l’ultima impressione di questo romanzo che non termina poiché il lettore-protagonista decide di mettersi in viaggio per rintracciare il vero Flannery.


“Sul tappeto di foglie illuminato dalla luna” ( Takakumi Ikoka, scrittore giapponese )
Il romanzo arriva al lettore dalle mani di Silas Flannery, che a sua volta lo aveva ricevuto da Ermes Marana. Inizia con il protagonista, uno studente “della facoltà” (non è mai specificata), che, sotto l’esame del signor Okeda, pratica esercizi di focalizzazione dell’attenzione: cerca di concentrarsi sulla singola foglia del ginkgo che cade dall’albero invece che sull’insieme di foglie. Un giorno successivo, in una passeggiata, succede un particolare che colpisce il protagonista: mentre è chinato per avvicinare una ninfea galleggiante, Miyagi (moglie di Okeda) e Makiko (figlia di Okeda) si allungano per raccogliere il fiore, ed entrambi i capezzoli sfiorano il corpo del protagonista. Sulla via del ritorno verso casa, il protagonista chiede un appuntamento a Makiko, che accetta. Tuttavia la sera succede un imprevisto. Mentre il protagonista insegue Makiko, irrompe nella stanza in cui Miyagi stava disponendo in un vaso dei fiori e delle foglie, che cadono a terra. Nel raccoglierle, Miyagi mette inavvertitamente una mano sul membro del protagonista, e lui (nello stesso istante) sul seno di lei. I due, per voglia di lei, si ritrovano a fare all’amore, sotto gli occhi di Makiko (che era stata al gioco dell’inseguimento e si preoccupava perché non vedeva arrivare il protagonista) e del signor Okeda (“avvisato” da un rumore). Questo atto porta ad un allontanamento del protagonista da entrambe le donne: da Makiko, che ormai lo vede solo come un altro degli amanti di sua madre, e da Miyagi, che sapendo di non poterlo avere (lui infatti nell’atto sessuale sussurra il nome di Makiko) approfitta di quell’unica occasione. La lettura viene interrotta da dei poliziotti che, alla discesa del lettore dall’aereo, gli sequestrano il libro perché è proibito nel loro paese.


“Intorno a una fossa vuota” ( Calixto Bandera )
Il testo è letto direttamente dalla stampa di una macchina di un ufficio di censura. Il protagonista, Nacho Zamora, vede suo padre morire, e dirgli di andare al villaggio di Oquedal col cavallo e la carabina del padre. Nacho inizia la cavalcata di notte sulla sponda del fiume secco, e solo all’alba si accorge che dall’altra parte c’è un uomo incappucciato con un fucile, appaiato con lui (l’incappucciato è appaiato con Nacho). Il protagonista arriva al villaggio e segue le indicazioni del padre, giungendo così nel palazzo imperiale. Qui prima crede di essere figlio di Anacleta Higueras, una donna che lavora nelle cucine del palazzo degli Alvarado, poi della stessa Doña Jazmina. In entrambi i casi si avvicina alle figlie (Amaranta e Jacinta) e viene cacciato in malo modo dalle madri. Intanto apprende la storia di Faustino Higueras, fratello di Anacleta, che aveva combattuto contro il padre di Nacho intorno ad una fossa, e Faustino, che ebbe la peggio, fu ucciso. La sera, arriva l’incappucciato e si rivela come Faustino, e comincia uno scontro, con la stessa modalità di quello della leggenda, contro Nacho. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 27 Novembre 2023

 

Leggere Calvino – Le Avventure di Marcovaldo

Calvino Marcovaldo

LEGGERE CALVINO

Calvino, Italo. – Scrittore ( Santiago de Las Vegas, Cuba, 1923 – Siena 1985). Narratore tra i più significativi del Novecento italiano, nella costellazione letteraria disegnata dalle sue numerose opere si ibridano compiutamente vocazioni e temi diversi, dall’impronta neorealistica degli scritti iniziali a quella allegorico-fiabesca della produzione più matura. Nella sua prosa, dove sono accolte e filtrate le più alte suggestioni del panorama letterario coevo e dove lo scrittore si rivela spregiudicato sperimentatore di linguaggi e generi, alla lucidità della descrizione analitica fanno da costante contrappunto il lirismo e l’ironia, sostanziati da una riflessione profonda e disingannata sul senso ultimo dell’esistenza umana. Tra le sue opere principali: Il visconte dimezzato (1952); Il barone rampante (1957); Il cavaliere inesistente (1959); Le città invisibili (1972); Sotto il sole giaguaro (1986). ( Treccani )

Marcovaldo ovvero Le stagioni in città

Marcovaldo ovvero Le stagioni in città è una raccolta di venti novelle di Italo Calvino. La prima edizione fu pubblicata nel novembre del 1963 in una collana di libri per ragazzi dell’editore Einaudi.

Il sottotitolo Le stagioni in città si rifà alla struttura dei racconti, associati ognuno ad una delle quattro stagioni dell’anno. Protagonista di tutti i racconti è Marcovaldo, un manovale con problemi economici, ingenuo, sensibile, inventivo, interessato al suo ambiente e un po’ buffo e malinconico.

I racconti sono ambientati in una grande città imprecisata: anche se l’autore non ne fa il nome, con ogni probabilità l’ispirazione fu presa da Torino, dove Calvino ha lavorato e vissuto per molti anni. Il fiume, le colline prossime alla città, le montagne ed i grandi corsi sono infatti tutti elementi che compaiono nei racconti e sono caratteristici del capoluogo piemontese. Tuttavia questa città è simbolo di ogni città, con cemento, ciminiere, fumo, grattacieli e traffico, e Marcovaldo ne è il Cittadino per antonomasia. Anche la ditta Sbav, presso cui Marcovaldo lavora, è la Ditta per eccellenza, simbolo di tutte le ditte, e proprio per questo non si sa né cosa vi si produca, né cosa vi si venda, né il contenuto degli imballaggi che il protagonista sposta e trasporta tutto il giorno.

Le avventure che si susseguono mostrano come la società delle città moderne possa arrivare ad influenzare le persone ed il loro rapporto con la natura.

La fermata sbagliata ( Inverno )

A Marcovaldo piace molto il cinema. Una sera, uscendo dal cinema, si trova immerso in una nebbia fittissima. Va alla fermata del tram, prende il 30. Non si vede niente. Scende dal tram quando crede di essere arrivato ma ha sbagliato la fermata. Comincia a camminare, ma non riconosce niente: è perduto. Dopo essersi ubriacato in un’osteria mentre cercava di chiedere informazioni, arriva in un posto strano con luci nel suolo, trova uno strano autobus: entra. Alla fine scopre che non è un autobus: è un aereo che va a Bombay, Calcutta e Singapore! ( Wikipedia )

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