Una sera al lago

Ogni mattina un cayenne mi supera mentre vado al lavoro. È sempre lo stesso ma non so chi è il proprietario, abita, per certo, in paese. Tutte le mattine alle otto meno un quarto lo vedo arrivare nello specchietto retrovisore, mettere la freccia e superarmi, nero, lucido, grosso. Ogni mattina penso che lui ha il cayenne con il turbo multiaccessoriato, il cui costo di un pneumatico equivale al prezzo di tutta la mia autovettura, antenna compresa. Ogni mattina sento lo spostamento d’aria quando mi passa al fianco e si dilegua all’orizzonte. Ogni mattina penso che lui ha un’auto di lusso costosa e che io invece c’ho un blog di scarico del tutto gratuito. Vuoi mettere il mio blog con il suo cayenne nero e cromato … non c’è paragone…

Ci sono situazioni che sarebbe meglio non raccontare mai anche se si ha un posto dove mettere i pensieri, dove ragionarci. Sarebbe meglio evitare perché il silenzio, invece del racconto, è quanto di meglio una persona, in certe occasioni, possa offrire. Ma poi non si ha la capacità di starsene zitti e così si comincia a raccontare di una sera nata strana, di me che giro a vuoto in una stanza all’affannosa ricerca di qualcosa che pensavo di avere e che invece non trovo.
La donna che è con me parla a ruota libera seduta al centro del letto, il suo discorso mi arriva a pezzetti distratta, come sono, dal mio cercare quello che non trovo.
“Perché tu mi sai capire”, dice, … capire, cosa vuol dire perché io so capire? Che cosa so capire? …
“Perché posso chiederti” … chiedere, sempre a chiedere consigli, possibile che non si possano avere idee proprie? Soluzioni proprie? Occorre sempre chiedere ad un altro, ad una terza persona, ad una quarta …
“Perché io credo …”, la interrompo,
“shhhhhhhh hai sentito ?”, le chiedo,
“… no”, mi risponde,
cerca di captare quel qualcosa, ma poi riprende a parlare e io di nuovo a fermarla…
“Ascolta. hai sentito?”
.”Non sento niente…” mi guarda
“Proprio non hai sentito niente?”
“Forse proviene dal piano di sopra…”
Riprendo a cercare quella cosa che ero sicura di avere, mentre lei riannoda i fili del discorso fino a quando, fino a quando accade.
Solo nelle pagine di “Novecento” c’è la spiegazione di quello che può accadere ad un tratto, così all’improvviso. Ci sono cose, dolori, sensazioni, dacci il nome che vuoi, che solo quelle pagine sanno rendere al meglio, come quando racconta dei quadri …
“A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro ad un certo punto, cadono giù come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, vengono giù. Non c’è una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Cos’è che succede ad un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’ anima anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo con il quadro, erano incerti sul da farsi ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, frann, caduto. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio…”
Quando sei in una stanza con una donna seduta nel mezzo del letto e pensi che sia la cosa più terribile di questa terra. Quella stessa persona con cui hai provato prima freddo poi caldo e ti sembra la cosa più spaventosa di questa terra.
Mentre penso questo mi viene in mente di quando andavo a giocare da una mia compagna di scuola, lei apriva di poco la camera da letto di sua madre, e mi preparava a vedere la cosa che, secondo lei, era la più bella del mondo. Indicava, raccomandandosi di stare a debita distanza, l’enorme bambola seduta al centro del letto matrimoniale. Indossava un vestito bianco con una marea di tulle ben sistemate e da cui uscivano piedini infilati in scarpette di vernice bianca, in testa aveva un cappello a larghe tese e le braccia nude un po’ piegate. La mia amica estasiata mi raccontava che sua madre gliela avrebbe affidata solo tra qualche anno, quando sarebbe stata più grande, più responsabile. sospirava e mi chiedeva se mi piaceva e quando quel giorno sarebbe arrivato me l’avrebbe fatta toccare. Non le ho mai detto di quanto mi facesse schifo quell’enorme bambola sistemata al centro del letto. Non l’avrei toccata per tutto l’oro del mondo. quella montagna di stoffa immobile, statica, con occhio fisso, era orribile. Mi limitavo a guardare senza dire una parola aspettando di andarmene. Mia madre mi aveva insegnato che non si devono turbare le persone con inutili commenti e quello era un inutile commento. Avrei disprezzato qualcosa che la mia amica smaniava di possedere, di toccare, il suo oggetto, a me oscuro, del desiderio. La donna al centro del letto ora è silenziosa, mi guarda e non sa che pesci pigliare, non sa che cosa fare con una che piange. Che ricorda e piange.
Io ricordo e piango, non me ne accorgo neppure di quanto grosse sono le mie lacrime, so solo che il dolore è immenso così grande che mi si spezza il cuore. cadono le mie lacrime all’improvviso sul pavimento come un quadro senza che ce ne sia motivo. Perché proprio in quell’istante? Cos’è che succede ad un cuore per farlo decidere che non ne può più? Ne ha parlato tutte le sere con i canali lacrimali a mia insaputa? Si sono messi d’accordo per una notte di maggio in un posto che se fai silenzio, se sai ascoltare, senti il rumore del lago. per anni non hanno detto niente non si sono mai lamentati poi all’improvviso, scendono lacrime come un rubinetto aperto e non c’è modo o maniera di fermarle e non c’è modo o maniera di non sentire dolore. È una di quelle cose che non dipende da me e neppure da lei che non sa cosa fare. Non capisce. È una di quelle cose che è meglio non ripensarle per non uscirne matta.

Una sera al lagoultima modifica: 2019-08-21T00:06:06+02:00da Sheltersky

2 pensieri riguardo “Una sera al lago”

  1. Davvero encomiabile tenere fogli di diario per narrare del proprio quotidiano. E’ un modo per memorizzare la propria esistenza. Chi tiene un diario di certo tiene a se stesso. Chi ha la volontà di scrivere non lo fa solo per lenire le difficoltà della vita, ma anche per sentirsi meglio con se stesso, e anche con il mondo che lo circonda. Buondì. Gian

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