Manuela

The imperfect enjoyment

L’altra sera ti ho trovato collegata.
L’orologio proponeva una catena di tre: ventitreetrentatre.
Te ne stavi con il tuo IP sulla mia pagina in perfetto silenzio.
Mi sarebbe piaciuto estrapolare dalla stringa delle statistiche un numero che indicasse il tuo battito e il tuo respiro
… ma è un’interrogazione troppo complicata

Lavoravi,
a volte lo fai fino a tardi.
… immagino tu stia bene, i tuoi figli anche, e la vita scivola via con un pieno di nostalgia.
L’importante, alla fine, è superare ogni crisi, anche quando diventano sempre più frequenti, anche se a volte sono soffocanti come questo caldo.

Fa caldo anche da te?
A casa mia batte il sole tutto il giorno e alla sera i muri si liberano del calore accumulato.
Ne puoi sentire l’alito caldo passandoci vicino.
E’ una sensazione avvolgente e odiosa allo stesso istante che attrae e respinge.
Come la vita.

Tu non lo sai
ma poco tempo fa ti ho sognata. Non è stato un bel sogno. Ho evitato di raccontarlo.
A dire il vero mi sono un po’ preoccupata.
Credo che si sia materializzato, così terrificante, per il guasto che si è ingoiato tutti i file, comprese alcune cose tue che avevo conservato.

Conservare
Come il ritaglio di un articolo interessante che si perde, immancabilmente, tra le pagine di un libro. Per poi ritrovarlo dopo anni ingiallito, un po’ strappato ai bordi, e nella lettura ritrovarsi o ritrovare sensazioni o averne altre diverse… o bruciarlo per odio, rancore, rigenerazione.

Rigenerazione
Si spera sempre in una rinascita, in un azzeramento, in una nuova possibilità.
Una fatica immane per riciclarsi.
Indossare una nuova maschera, un poco più aderente della precedente.
Gettarsi in nuove assurde situazioni credendo di avere un’esistenza appena coniata.

ti manchiamo un po’?
il noi è fondamentale
il noi racchiude
chi ti farebbe a pezzetti e chi ti starebbe ad ascoltare per ore.
I nemici e gli amici.

Amici
c’è una novità
da qualche tempo mi marca stretta una persona
mi sta talmente addosso da fondere il mio respiro al suo in un unico ritmo
porta il mio stesso nome e di cognome fa animamia
si, proprio come quella poesia di Nazim Hikmet

La conosci?
Anima mia/chiudi gli occhi/piano piano/e come s’affonda nell’acqua immergiti nel sonno/nuda e vestita di bianco /il più bello dei sogni/ti accoglierà.

non è vestita di bianco, chi cerca di soffocarmi, indossa
piuttosto
un abito nero.
mi esaspera con domande cretine
sta sempre a fissarmi
una persona noiosa
da dimenticare
da sopprimere
una verità

Verità
la verità è duttile
come l’acciaio dolce
raggiunto il suo punto di fusione si trasforma in qualcosa di più accettabile
una bugia

Vorrei essere la tua bugia
Vorrei non dover avere per tuo ricordo
un godimento imperfetto.

2007

Miriam

La neve

La prima neve fine ed impalpabile cadeva quando ho conosciuto Miriam. Credo fosse il 2014.
Mi è venuta a prendere al parcheggio nella periferia della città e guardando la mia auto la prima cosa che ha detto è stato:
– Hai una macchina da lesbica.
L’ho guardata e sono salita sulla sua normalissima e anonima, station wagon, grigia metallizzata.
Mi ha portato a spasso per i viali alberati spogli, poi a prendere un caffè e infine a casa sua.
Credo che il palazzo si trovi dietro il cavalcavia, ma non ne sono sicura, il giro in auto per la città mi ha fatto perdere l’orientamento.
L’appartamento è luminoso, ho notato che ogni parete è colorata in modo diverso e che la padrona di casa ha una spiccata passione per il fai-da-te.
Miriam ha la mia stessa età.
Lei ha occhi chiari, capelli lunghi neri, seno ben proporzionato, sorride e gesticola spesso, indossa una maglia nera da cui spunta una spallina del reggiseno, su un paio di jeans attillati.
Mi guardo intorno e nell’appartamento non ci sono libri , i pochi dvd sono di film orrendi, due ripiani del mobile della sala sono occupati da LP, tutti di musica latino americana.
Incomincio a preoccuparmi, spero di non dover affrontare una conversazione troppo lunga, sarei in difficoltà nel trovare un argomento comune ad entrambe…

Shelt – hai una grande passione per la musica latino americana?
Miriam – con mio marito gestivamo una scuola di ballo…
Shelt – E… ? come continua la storia? c’è sempre un seguito.
Miriam – … E ho incontrato una donna che mi ha fatto perdere la testa. Ho lasciato mio marito. Ho avuto alcune frequentazioni femminili più o meno importanti. Ora sto con Franca, che ha molti anni più di me ed è la persona che ha dato stabilità alla mia vita.
Shelt – (mi siedo sul divano cercando di farmi spazio tra tanti cuscini colorati) – Se la tua vita è stabile, cosa ci faccio qui?
Lei si avvicina, si sfila la maglia e in un attimo è su di me.
Miriam – mi voglio prendere una pausa dalla stabilità…

Ed è così bello quando una donna si avvicina e all’improvviso ti bacia, senti la sua lingua scivolare e puoi accarezzare la sua pelle morbida, non c’è paradiso meglio di questo.

Appunti per il futuro:
Temporaneo paradiso poi tutto si scioglie come neve.

Denise

La scrittrice

Ho conosciuto Denise nel 2012, un anno meno di me, bisessuale, vive verso la metropoli e lavora in un’agenzia che ha una clientela di gente famosa. Scrive romanzi per passione, ha pubblicato un libro che io ho comprato su Amazon.
Gentile, educata, intelligente, ironica, sposata, spiritosa… ci si frequenta da due mesi quando:

Denise – sono confusa e incasinata!
Shelt – pensavo confusa e felice…
D – è tutto un casino!
S – ti è tornata l’emicrania?
D – mi ha ricontattata quella tipa di cui ti avevo parlato quando ci siamo conosciute. Ricordi?

(ho sempre problemi a ricordare pre-informazioni, dovrei essere più accorta, ne sono consapevole, ma il mio cervello non riesce a contenere più di un certo quantitativo di cavolate, già le mie sono tante se poi devo immagazzinare anche quelle delle altre, esplodo)

S – vagamente…
D – ricordi che mi ha snobbata a lungo?
S – (sforzandomi non poco) – sarà mica quella che aveva 25 anni più di te?
D – ventitré per la precisione, una donna molto fine…
S – (raggruppando le informazioni sparse per il cervello) – ma non era quella che all’appuntamento è arrivata accompagnata dal marito?
D – sì, perché non ha la patente e qualcuno la doveva portare.
S – certo, l’ha portata, si è presentato e ha proposto subito una cosa a tre, anche lui fine con la prostata…
D – poi ci ha lasciato sole, per conoscerci meglio…
S – non è quella che ti ha trattata malissimo?
D – mi ha trattato male, mi ha ignorata ed io non l’ho più cercata, ora invece è diventata gentile e carina…
S – quindi?
D – sono arrabbiata con me stessa perché, nonostante mi abbia fatto sentire una nullità, è sufficiente che apra bocca e le mie gambe diventano molli… non sarei onesta se non ti dicessi che quell’effetto li me lo fa solo lei. E pure se la ignoro, entra lo stesso nei miei pensieri.
S – mi stai dicendo che quella vecchia e decadente ti piace più di me?
D – ecco, sono confusa e incasinata!
S – io no, ho le idee chiare, per me puoi andare in casa di riposo con quella e ti mando anche il tuo libro che è una vera schifezza!

Appunti per il futuro:
Astenersi dal conoscere donne con velleità letterarie.

Elena

The LWord

E’ una serata lenta, se non fosse per la ragazza che mi sta vicino al bancone del bar. Ha molti anni meno di me, mi aggancia con una battuta sul tempo, ascoltiamo la musica del locale, riconosco “Unfinished sympathy”, le dico che mi piace, risponde che non è il suo genere, preferisce la Pausini, ha già i biglietti per un suo concerto, poltronissima mi specifica. Penso che non abbiamo assolutamente gli stessi gusti musicali e trovare un argomento per continuare la conversazione mi appare difficile. Ha un bel sorriso, con un diastema tra gli incisivi che lo rende accattivante, mi ricorda un’attrice di C.I.S., Sara. Glielo dico e lei si mette a ridere, la definisce vecchiotta, in effetti non ha tutti i torti, peccato che abbia la mia stessa età… Si imbarazza e mi offre da bere per scusarsi. Mi dice che non ama il genere “poliziesco”, la sua serie televisiva preferita era The L Word, non ha perso un episodio.

Avevo sentito parlare di The L Word ma non mi ero mai interessata fino a quando una mia ex-frequentazione mi ha regalato dieci cd con tutta la serie completa, quindi sono stata costretta a colmare la mia lacuna e farmi una cultura dell’accoppiata Ti-bette.
Le dico che alcune” trovate” della sceneggiatrice Chaiken mi hanno lasciato molto perplessa, a tutti gli effetti va pazza per i personaggi inutili, i vestiti pink, i finali thriller e il tralasciare, naturalmente, tutto quello che di buono poteva essere approfondito. Lei mi fa notare che è una delle poche serie televisive in cui l’ambientazione è tutta al femminile. Ha ragione ma si poteva sfruttare meglio l’occasione.
Fa caldo e decidiamo di uscire, passeggiamo per la strada deserta. Ma continuiamo a parlare e a ridere per le scene divertenti e senza senso del telefilm e di tutti gli innumerevoli tradimenti.
Mi chiede qual è la scena che preferisco. In verità non ho scene preferite, anzi ho trovato noiosa tutta la storia, mal gestita e mal girata, ma come mi capita spesso mi ritrovo a riflettere su pochi frammenti di pellicola, in questo caso per le battute iniziali di un dialogo tra le due protagoniste principali, quando Tina chiede di entrare e Bette sta cucinando, la frase originale dovrebbe essere “can I come here” – Posso entrare? Poche battute che sembrano essere solo il collegamento tra una scena e l’altra invece non si tratta solo di quello. Quando Tina chiede di entrare, chiede il permesso di entrare non in una cucina ma in una vita: “Sono venuta prima per entrare nella tua vita spero che non ti dispiaccia”, il senso è semplicemente questo. E pensandoci bene devo ammettere che a me una cosa così, espressa con tanto garbo, non l’hanno chiesta mai, ma proprio mai.
Mi ascolta con attenzione e poi tocca a lei a raccontare.
Siamo arrivate davanti alla porta di casa cerca le chiavi nella borsa.
Con aria birichina mi specifica serie (sesta) e titolo dell’episodio, “litmus test”, ed è la scena tra Dylan e Helena indimenticabile scena e mi invita ad entrare. Finire sul divano di una casa sconosciuta a far finta di essere due attrici, non era proprio nei miei programmi, però a volte un po’ di adrenalina non guasta, è una droga che mi fa dimenticare tutto l’indimenticabile.

Appunti per il futuro:
concentrarsi su film intelligenti

Marzalesco

Fare sogni che muoiono all’alba.

Sto tornando da un viaggio molto lungo. Sono accompagnata da un caro amico ben definito che porta il colbacco di nome Luca. Prima di tornare al paese decidiamo una sosta in un piccolo paesino, che porta il nome di Marzalesco, a precipizio sul lago. Un gran bel posto. Solo che fa molto freddo per esser fine agosto. L’albergo in cui prendiamo alloggio ha un pontile dal quale si tuffano nel lago gruppi di bambini vocianti e anche qualche adulto. Noi due stiamo imbacuccati a prendere quel poco sole che esce dalle nuvole. Il mio amico sostiene che quelli che si buttano in acqua sono tedeschi: “loro sono abituati a temperature quasi polari …”. A me interessa visitare Marzalesco, così ci incamminiamo e percorriamo stradine che sembrano carruggi, scalini che ci portano a salire in alto, racchiusi da casa in pietra e piccoli archi il tutto di un giallo impressionante. Mentre girovaghiamo senza meta esce una signora anziana, curva, sta scopando l’uscio della sua casa. La saluto e lei gentile mi risponde, ne approfitto per farle alcune domande sul centro storico. Mi dice – “prima era più bello, ora un pezzo alla volta se lo sta mangiando tutto “. Le chiedo – “chi e cosa si sta mangiando?”. Mi risponde con un ampio gesto della mano – “La chiesa, si sta mangiando il paese, un pezzo alla volta, se ne prende un pezzo alla volta, lo ingoia! ci ingoierà tutti!”. Il mio amico con una risata – “signora, lei ha proprio ragione sti preti son maledetti”. Propongo alla signora di accompagnarci fino in cima, sono curiosa di vedere la chiesa mangiatrice di case. Tutti e tre, con una lentezza esasperante, ci mettiamo in cammino verso la cima e quasi arrivati la donna ci mostra i “segni”. Il mio amico non riesce a vedere nulla, neppure io riesco a riconoscere qualcosa. Ma sta vecchietta indica i ‘cambi’ di colore tra una pietra e l’altra, dove finisce la casa e incomincia il muro della chiesa – ” prima qui c’erano altre case … ma lei se l’è ingoiate tutte e anche queste tra poco saranno sue…”.
Per raggiungere la chiesa bisogna percorrere una stradina, quasi un sentiero, con ai lati un bosco di alberi spogli che con i rami pungono una fittissima nebbia, un clima da non credere per essere ancora estate. La percorriamo tutta fino ad arrivare all’ingresso, uno scalone ci attende, sono novecentonovantanove gradini scavati nella roccia, a destra e a sinistra si notano archi, ampie nicchie e tombe con adagiati scheletri di monaci. Io e il mio amico troviamo molto macabro tutto ciò, la signora, intanto, ci distanzia un bel po’ dato che stiamo perdendo tempo a guardarci intorno. Lo scalone finisce con una portone, sullo stipite sono stati scolpiti i segni zodiacali. A me pare un assurdo che in un luogo di preghiera si siano i gemelli, lo scorpione, cancro e capricorno … e donne che si strappano i capelli, che allattano serpenti, tritoni, leoni con teste e code di drago … ma sono fatti così bene da prender quasi vita e staccarsi dalla pietra se non fosse per il mio amico impaziente di aprire il portone di legno che quasi mi spinge via. E finalmente riusciamo ad entrare in chiesa, una chiesa piccolissima, che uno si chiede: come fa da fuori esser così grande e dentro tanto piccolina … Le donne pregano nei banchi di legno, che sembrano quelli del mio paesello. Sull’altare, vestita di bianco con tanto di ‘mitra’ sta una donna che non è donna, è tanto brutta da sembrare uomo. Capelli neri escono dal copricapo e scendono sulla veste bianchissima e luminosa. È tutta indaffarata corre dall’altare ad un tavolo e dal tavolo all’altare. “che sta facendo ?” chiede il mio amico, “dice messa” gli rispondo. Lo immagino dai gesti anche se armeggia con coltelli e in ogni movimento si porta dietro il pastorale. Dopo aver seguito una procedura a me totalmente sconosciuta, la donna sull’altare si ferma e a quel punto uno scossone fa tremare il pavimento della chiesa tanto da cadere a terra. Solo io e il mio amico siamo terrorizzati, le donne continuano a pregare come se niente fosse. Io ho proprio l’impressione di slittare indietro di almeno cento metri. Ed è un’impressione confermata dalla donna che ci accompagna e che ci dice – ” se n’è presa un’altra. Si è mangiata un altro pezzo di casa…”.
Le chiedo – “ma ste donne che fanno? Perché non corrono via? Non hanno paura?”. “Stanno pregando per essere liberate. La loro casa è già stata ingoiata e anche loro insieme. Devono rimanere qui non possono andare via”.
Mi prende un grande desiderio di scappare già mi vedo aprire il pesante portone e correr giù di corsa i gradini dello scalone lasciandomi tutto alle spalle. Ma il mio amico non se ne vuole andare, anzi è attratto dai gesti della megera all’altare. Quella strega prende un coltello e taglia la testa ad un merlo, e ancora una scossa, la stessa sensazione di scivolare indietro anche se niente, apparentemente, cambia dimensione. La chiesa è sempre piccola uguale. Mentre il mio amico, animato non so da quale forza, mi urla che le dobbiamo liberare.
“Liberare? Sei matto!” gli rispondo mentre cerco di tornare indietro ma non ci riesco. Appare chiaro che più aumenta il mio desiderio di fuga, più rimango saldamente ancorata alle pietre lisce e levigate di quel pavimento. Il mio amico è calato nella parte del salvatore delle povere anime catturate, cerca in tutti i modi di avvicinarsi all’altare, e a quella pazza che continua ad armeggiare con penne piume e pastorale. Con enorme fatica riusciamo a raggiungere i primi banchi e finalmente la strega ci nota. A furia di darci ci ha visti, e non è molto contenta, lo si nota dallo stock di coltelli che sta estraendo dal fodero. Altro taglio al povero merlo, altro scossone e mi ritrovo in fondo alla chiesa e ancora il mio amico mi chiama, urla che dobbiamo raggiungere l’altare. Si ricomincia a strisciare sul pavimento di pietra liscio e freddo, le dita che fanno forza nelle scanalatura quasi fosse un’arrampicata libera, il sudore gelido che cola lungo la schiena, a questo punto sono sicura di essermi voltata verso il mio caro amico e di avergli detto “ma che cagata di sogno stiamo facendo”.

Laura

Memorie primaverili

Fin dal primo momento la conoscenza di Laura si preannunciava molto interessante.
Fisicamente niente male: occhi azzurri, capelli biondi, una terza perfetta di seno, gambe toniche, XX anni. L’incredibile è stato scoprire che abitiamo nello stesso paese a poca distanza. Sposata con una figlia, aveva proposto un incontro prendendo lei tutta l’iniziativa. Naturalmente non mi faccio pregare, in special modo se la donna mi piace.

Laura –  ti va domani?
Shelt – domani è martedì, non ho problemi, ti passo a prendere a casa?
Laura – sì, ti aspetto.

Così un martedì sul finire della primavera l’ho aspettata sotto casa. E’ scesa con il suo sorriso migliore, jeans, maglietta aderente, i capelli sciolti… Mi ha dato un bacio, dicendomi “eccomi…”

Lentamente ho percorso la strada e i tornanti, ridendo e chiacchierando con lei, ed ad un certo punto è apparso il lago. Mi fa sempre un certo effetto, quando dopo la curva lo scorgo all’improvviso, è come incontrare gli occhi dell’amico di sempre e buttarsi dentro, affondare nel blu scuro calmo, sentirne l’odore, ascoltarne il rumore, un posto incantato.

Parcheggio e ci incamminiamo. Laura mi tira per la camicia, con il sole che le batte sui capelli sembra che abbia un’aureola, glielo dico e lei ride.

Laura – cammini troppo piano…
Shelt – siamo venute a fare una corsa? C’è un lago spettacolare… guarda…
Lo indico con la mano, lei ha il sole negli occhi e si aggrappa al mio braccio.
Laura – lo guardiamo dopo… dopo…
Mi tira, e avvicina le sue labbra al mio orecchio, mi sussurra: “andiamo…”

Si appoggia allo stipite della porta, la apre ed entra.
Siamo arrivate e quasi mi spiace lasciare fuori quel blu del cielo, del lago, quel blu avvolgente.

Lei si spoglia, nasconde con la mano il seno sinistro, quasi si vergogna di quel capezzolo che rientra nel seno, mi spiega che ci vuole un attimo che poi esce, che è fatta così, e mentre lo dice alza le spalle. E’ così bella nuda con quella mano sul seno.

E’ stata solo un’avventura, un momento nello spazio e nel tempo, una voglia da soddisfare, una curiosità da togliersi.

Appunti per il futuro:
trovare il tempo per una giornata in solitudine al lago.

Maria Sole

Ghiaccio i tuoi unici fiumi corrono gelidi e luci in questa città splendono,
argento e oro

affiorano dalla notte i tuoi occhi scuri come il carbone

Lei aveva capelli neri e occhi scuri come il carbone, l’accento del sud. Si era da poco trasferita, abitava nelle case dei militari. Veniva giù al fiume a far passare le giornate calde e chiacchierava con noi ragazze. Alzava la gonna leggera per metter e i piedi nell’acqua, una mano tra i capelli…

vai avanti sul tuo cammino esser tristi ti soffoca l’amore

Raccontava di tutti i trasferimenti del marito, della vita randagia, della solitudine, nel raccontare il gesticolare e le labbra carnose erano un continuo invito provocante…

vai avanti sul tuo cammino vai e poi corri e non guardare indietro

Un giorno mi disse: “vieni da me”…  La sua era una casa vuota, poche cose da trasportare facilmente. Lei mi diede un bacio, la sua lingua era morbida e non sapeva di niente. Incominciò a toccarsi ed i miei piedi erano come affogati nel cemento…

resta in questo attimo resta ferma stasera in una bugia dopo questo amore di attimi per sempre

Mi prese le mani, mi resi conto di quello che potevo farle e ne rimasi incantata. Ma dopo, la corsa a perdifiato a casa, le scale e le mie lacrime sul marmo, il mio dolore, tutto era cambiato…

e se risparmi il tuo amore non risparmiarlo tutto

Agosto, il mare, le vacanze. Lontana a contare i giorni. E poi tornare e non trovarla più. Altra caserma per lei, un’altra casa vuota, un’altra estate, un altro gioco senza addio…

e se i monti franassero o scomparissero nel mare. Niente lacrime. No, non io, non più.

La biologa – prima parte

Appetiti insaziabili

Ho conosciuto la biologa nel 2001.
Ai tempi si era presentata scontandosi qualche anno e con una sessualità, a dir poco, prorompente. Si intratteneva con me e con molte altre, la cosa non mi ha mai interessato più di tanto, dato che per me la fedeltà ha un valore relativo.

Credo che la cosa più eclatante che abbiamo fatto, durante la nostra prima frequentazione, è stata quella di scopare nella chiesetta sconsacrata di San Sebastiano, lei, in quell’occasione, aveva definito le sue ‘chiappe’ divine dopo averle appoggiate nude sull’altare; i successivi incontri si son tramutati ben presto in azioni noiose e ripetitive.

Ci siamo perse di vista per qualche anno per poi ritrovarci con foga sulla scrivania del suo capo, nel laboratorio dell’ospedale  dove lavora, naturalmente fuori orario lavorativo. Da quel momento ad intervalli regolari ci si incontra, dopo adeguato scambio di sms per aumentare la sua già smisurata libido.

Con gli anni si è appesantita fisicamente ma non si è affievolito il suo appetito sessuale che condivide con svariate donne, con qualche coppia e poi non so con chi altri…
Dopo ogni nostro bizzarro incontro, mi sorprendo a pensare di essere sessualmente vorace come lei.
Lei riesce a triturare, sminuzzare, annientare tutto e, soprattutto, a dimenticare.
Vive vite parallele che mai si incontrano, o forse la sua vita assomiglia ad un grattacielo visto che si definisce ‘su diversi piani mentali’.

Non abbiamo mai affrontato nessun tipo di discorso, non si è mai interessata a quale genere di musica ascolto, se guardo film o se ho una passione.
Io, invece, l’ho ascoltata, l’ho osservata, ed ora ne conosco gusti e manie.
Si definisce una donna moderna e molto intelligente. Il centro dell’universo è, ovviamente, il suo ombelico, tutto il resto fluttua, senza importanza, intorno.

A cadenza mensile dichiara il suo amore eterno per la donna di turno, naturalmente trattasi di donna intelligentissima, bellissima, coltissima, ricchissima al suo pari.

Quando penso a lei, mi viene in mente che nelle corti vi erano cortigiani, nobili, giullari e persone deformi a divertire i sovrani… ecco lei è la persona deforme.

No – volver

“Stamani tu dormivi ancora quando mi sono svegliato. A poco a poco uscendo dal sonno ho sentito il tuo respiro leggero e attraverso i capelli che ti nascondevano il viso ho visto i tuoi occhi chiusi e ho sentito che la commozione mi saliva alla gola e avevo voglia di gridare e svegliarti perché la tua stanchezza era troppo profonda e mortale. Nella penombra la pelle delle tue braccia e della tua gola era viva e io la sentivo tiepida e asciutta; volevo passarvi sopra le labbra ma il pensiero di poter turbare il tuo sonno e di averti ancora sveglia fra le mie braccia mi tratteneva. Preferivo averti così come una cosa che nessuno poteva togliermi, nemmeno tu. Ero il solo a possedere una tua immagine per sempre. Oltre il tuo volto vedevo qualcosa di più puro e profondo in cui specchiarmi , vedevo te in una dimensione che comprendeva tutto il mio tempo da vivere, tutti i miei anni futuri e anche quelli che ho vissuto prima di conoscerti ma già preparato ad incontrarti . Questo era il piccolo miracolo di un risveglio: sentire per la prima volta che mi appartenevi non solo in quel momento e che la notte si prolungava per sempre accanto a te nel caldo del tuo sangue, dei tuoi pensieri, della tua volontà che si confondeva con la mia. E in un attimo ho capito quanto ti amavo ed è stata una sensazione così intensa che ne ho avuto gli occhi pieni di lacrime. Era perché pensavo che questo non dovrebbe mai finire, che tutta la nostra vita dovrebbe essere come il risveglio di stamane, sentirti non mia ma addirittura una parte di me, una cosa che respira con me, e che niente potrà distruggere se non la torpida indifferenza che sento come l’unica minaccia. E poi ti sei svegliata e sorridendo ancora nel sonno mi hai baciato e ho sentito che non dovevo temere che noi saremo sempre in quel momento uniti da qualcosa che è più forte del tempo e dell’abitudine”.

Infedele

Nelle mie letture web spesso mi fermo a visitare un blog, un appuntamento quasi quotidiano, “quasi” perché lei nei fine settimana non scrive. Il suo è un diario puntiglioso di quello che fa, di quello che non fa … proprio la tipologia che piace tanto ai “visitatori”, perché i gentili utenti stazionano soprattutto su blog che mettono on line il “quotidiano”, è un po’ come spiare il vicino dalla finestra senza esser visti, bello soddisfare la morbosa curiosità con la vita degli altri. Scrive bene la signora, che è single e (quasi) mia conterranea, inserisce nei suoi post la giusta ironia, la corretta tempistica nel non svelare i propri reconditi segreti. Atteggiamento comprensibile, dato che si presenta con la sua faccia, anche se sicuramente come tipo è una che non teme niente e nessuno, non te le manda a dire, te le dice. Una di quelle decise, quelle che sanno calibrare anche le debolezze perché nella buona riuscita di un blog ci vuole un po’ di  tutto: il saper raccontare aneddoti, il dare pareri su ogni argomento, fare battute divertenti e, non dimentichiamo, il sesso. E’ scontato, il post sul sesso aumenta l’audience in maniera esponenziale. Quindi la signora un bel dì ha pubblicato il resoconto di una sua avventura. Con grazia ha lasciato intuire che fosse una conoscenza di natura virtuale che si concretizzava nel reale. Parole leggere e tutto il resto lasciato libero di materializzarsi nell’immaginazione di noi lettori.

Ecco, quello che mi ha fatto sorridere non è il racconto dell’avventura (che, buon per lei, è stata, a quanto pare, bella e appagante) ma uno dei commenti, inserito a chiosa, di un gentile utente uomo che, con un pizzico di nostalgia, ha fatto notare che si fan cene romantiche sempre uguali, e per smaltirle l’attività seguente è sempre la stessa di diverso c’è solo il protagonista. Al commento non sono seguite repliche. Questi sono un po’ gli inconvenienti di un blog messo a disposizione di amici, parenti, ex amici, ex fidanzati, ex fidanzate (incarognite)

Il mio precedente blog era impostato in un modo diverso, era un susseguirsi di minuziose descrizioni dei miei incontri, non particolari scabrosi, ma le situazioni che si andavano a creare, le sensazioni che provavo, molto spesso il mio disagio. Sezionavo le mie donne e me stessa alla ricerca di quel qualcosa che mi sfuggiva e che non funzionava. Una di queste mie “frequentate”, quella con cui ho trascorso più tempo, nell’usare il mio portatile ha scoperto l’esistenza dello Sheltering. Nulla di male se nell’intreccio degli incontri non trapelasse l’assoluta irrilevanza che ha per me la fedeltà e la naturale omissione di tale irrilevanza che adotto nel condurre ogni mia “storiella”. La scoperta della mia propensione all’infedeltà ha, inevitabilmente, portato ad una serie di conseguenze che i “gentili utenti” definirebbero “giusta pena” ma che io ho liquidato come “solenne scocciatura”. Non sono fedele, il motivo? Predisposizione o perché ho incontrato donne che non sapevano amare, intrise nell’anima solo del loro egoismo, eppure le prime parole che mi hanno detto sono sempre state ” ti amo “. L’unica condivisione non erano sentimenti reali ma la convinzione di amare, se poi si indaga con accuratezza era, in definitiva, il bisogno di spartirsi un po’ di piacere.

A quelle due paroline in fila non ho mai dato importanza, ascoltavo senza cogliere, e nei loro occhi scorgevo delusione di quel “anch’io” inespresso. Con franchezza posso dire che non ho amato nessuna di loro, forse per incapacità o per rispetto al sentimento che non mi andava di mischiare con la necessità, perché si trattava solo di un bisogno di entrambe da realizzare in quel momento. Non vi è mai stata progettualità per un futuro, le situazioni contingenti non lo permettevano e sarebbe stato troppo gravoso per tutte e due cambiarle. L’amore implica un cambiamento, desiderato e condiviso. In me questa necessità non si è mai manifestata, non ho mai avuto voglia di cambiare la mia vita per una donna e la depositaria del cambiamento egoisticamente non avrebbe modificato nulla di se. Ho preferito frequentazioni, e nel frequentare e conoscere l’interesse si consuma rapido, terminando in fretta ed io mi ritrovo già altrove.

… e poi tradire

Tradire. La parola nasce nell’andare più che nell’inganno. Deriva dal latino “tradere” e porta con sè il significato di “consegnare”. Tradire, in sostanza, significa tradire una consegna, cioè un ordine, un sistema precedente, in nome di una nuova consegna, di un nuovo ordine, di un nuovo sistema. Esso sancisce dunque il dramma del passaggio dal vecchio al nuovo.Quindi, per assurdo, esco dall’insopportabile staticità, ma per finire dove? E questo percepire l’immobilità non sarà una spinta ad un ripetuto continuo tradire? E per contro, la volontà di andare non lascia il tradito, invece, nel deserto dell’esclusione, che è mortale, negativa, opposta alla necessità universale del cambiamento? Come se io mi salvassi mentre c’è chi si perde. Anzi, proprio perché c’è qualcuno che si perde.
I francesi usano tradire anche per svelare, rivelare, scoprire. Lo diciamo anche noi italiani: tradire l’emozione, tradire il proprio sentimento. Oggi ha sempre triste contenuto e pone il suo significato principalmente nel “usar frode contro colui che si fida”.
Quando si consuma il primo tradimento? Alla nascita, senza dubbio. Ma grazie a quel tradimento ho imparato chi sono… ciò che è vive di ciò che non è. C’è il sentimento della ‘necessità’ che guida il continuo tradire: Galilei tradì il dettato teologico per la scienza; Ulisse la sua Itaca per l’andare oltre; il più eclatante, Giuda tradì Gesù consentendo la salvezza degli uomini; così il tradimento permette un nuovo ordine, un nuovo sistema. Dalla consumazione del primo tradimento, quello della nascita, ogni altro tradimento appare una necessità che ubbidisce a leggi che misteriosamente ci governano.

Chi tradisce assume su di sé una carica negativa, e la distruzione del vecchio ordine esistente non prevede una rinascita se non a senso unico; chi tradisce ha una sua strategia relazionale in cui la vittima è sempre la persona cui è, o è stato, legato dall’amore o dall’amicizia, o dalla consuetudine. Dunque in questo dramma il dolore non è mai simmetrico nè contemporaneo nelle due parti in causa. Vi sono aspetti interessanti: io tradisco per andarmene, io tradisco per essere perdonata; io tradisco perché la relazione che ho con la persona tradita assuma un grado di superiore consapevolezza.
Questo vuol dire che mentre l’abbracciavo e la baciavo sentivo di amarla come nessun’altra… ma fino a quando? Finchè non avrei pensato le stesse cose di un’altra? Ma allora dovrà essere sempre così? Ogni volto di donna (o uomo) non è che una parte di un grande volto che nel corso della vita vado componendo? Le variabili in realtà sono moltissime.
Se poi si analizza la situazione dalla parte del tradito, ci si rende conto che il traditore ci costringe a fare i conti con noi stessi, a buttar giù i nostri pregiudizi, ci lascia nudi e morti, e possiamo rinascere di nuovo ricercando, reinterrogandoci su cosa è l’amore, sul punto a cui siamo giunti. Ci restituisce alla nostra povertà, ci spoglia di tutto anche del nostro amore di noi stessi. Ci costringe a riesaminare tutta la nostra esistenza.