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Un sabato alla Fiera... 

Post n°272 pubblicato il 11 Maggio 2008 da falco58dgl
 

Il taxi si ferma a quasi un chilometro dalla Fiera. E’ tutto bloccato, uno schieramento di polizia discreto ma dislocato un po’ ovunque blocca qualunque accesso. Il corteo dovrebbe arrivare nel giro di un’ora, si temono incidenti. Mi pare eccessivo tutto questo spiegamento di forze, ma sono di ottimo umore e mi dirigo, insieme a mia moglie e a un’amica di Milano, verso l’ingresso. Prima sorpresa: non  c’è più l’ingresso gratuito  per gli autori, neanche se partecipano ad eventi all’interno della Fiera. Va bè, mi dico, sono solo 5 euro, oggi sarà un’ottima giornata. Entro, vado alla stand della Regione Puglia, chiedo della presentazione organizzata da Besa. La ragazza dello stand è sconcertata, non sa di cosa parli. Riesco a ricavare la localizzazione della casa editrice dall’elenco degli espositori. Cosa vuoi che sia, penso, magari la ragazza è poco informata ed è stata messa lì per fare presenza. Oggi sarà un’ottima giornata. Vado allo stand di Besa, incontro l’editore e Stefano, ci salutiamo con cordialità. La presentazione  inizierà tra 45 minuti, ne approfittiamo per dare un’occhiata agli eventi.

Una  discussione intitolata “ragioni della sconfitta” tenuta da Bertinotti è stata cancellata. Mi dico: è sensato, magari è troppo doloroso ripercorrere un cammino che ha visto le forze politiche della sinistra “antagonista” scendere dall’11 al 3, 5%. Ci dirigiamo, a passo di carica,  verso la sala azzurra, dove parla lo scrittore Javier Marias. Cogliamo un brano interessante: Marias dice, in un ottimo Italiano, che la società moderna ha abolito il presente. In letteratura, come anche in altri campi, le cose interessano prima che avvengano. Quando un  libro è pubblicato o un film è uscito o un governo è stato appena  varato, cessa di essere interessante e i media si proiettano verso altri futuri che smetteranno a loro volta di essere degni di menzione quando si tradurranno in eventi. Va bè, mi dico, è la società dell’effimero, ma io rimango di ottimo umore, sarà una splendida giornata.

 

 Torniamo verso lo stand della Regione Puglia e mi rendo conto che lo spazio delle presentazione è dimezzato rispetto agli anni scorsi: forse quindici sedie in un’area larga quattro metri per tre. Saluto Giorgio Bona che presenterà anche lui un suo romanzo  nel corso dell’evento. Stefano ci presenta e, con una puntualità svizzera, inizia un concerto dallo stand di Israele, posto a dieci metri dal nostro. Sarebbe anche una bella musica, ma il volume è da discoteca. Occorre urlare nei microfoni per farsi sentire. Reprimo il pensiero che forse i fautori del boicottaggio avevano qualche ragione :-), ascolto tendendo le orecchie la voce di un attore che legge due brani tratti dal libro di Bona e dal mio. Provo a spiegare le relazioni tra  il mio romanzo e il concetto del “preservare la bellezza”, presento il libro come un percorso di recupero dei ricordi, dell’identità e dei legami di significato, quindi come un movimento verso una bellezza possibile,  accorcio in modo sostanziale  il mio intervento, mentre i volti dei partecipanti (una dozzina di eroi che è accorsa sfidando i blocchi, il frastuono, la folla del sabato, l’assenza di informazioni dello stand) iniziano a tradire una certa fatica, soprattutto quando il concerto israeliano giunge al suo climax. Alla fine della presentazione,  quasi abbraccio riconoscente un’amica di Anobii che si avvicina con una copia del mio libro per farselo dedicare. Alcuni vanno via con delle copie del romanzo, non saprò mai chi sono. Il pensiero mi tormenta per qualche minuto, poi ci dirigiamo verso lo stand degli autori dove  ha luogo un dibattito sul Tibet. Sono di ottimo umore, sarà una splendida giornata,  mi ripeto come un mantra, mentre mi accascio su una sedia e applaudo all’indirizzo di un venerabile monaco della tradizione del Dalai Lama dal nome impronunciabile.

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LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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