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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Kozimeh

Post n°169 pubblicato il 09 Agosto 2007 da falco58dgl
 

Kozimeh è un genio. Della lampada.

Lo evoco con un tocco leggero e appare luminoso come una torcia. M’interpella in modo amichevole, parlando per enigmi. Tende a soddisfare i miei desideri ma, a volte, li interpreta e li traduce nel modo a lui più congeniale.

Quando gli ho chiesto di farmi avere un’anima gemella, ha materializzato davanti a me un essere dalle sembianze identiche alle mie,  più contento e soddisfatto. Ho protestato con forza, ma lui mi ha domandato  

-   Non era quello che volevi veramente? Non volevi forse specchiarti in un altro più armonioso e vitale?
Ho risposto seccamente che lui deve eseguire le  mie richieste e non  fare quello che crede, ma ha replicato con un sorriso
-      
Cosa desideriamo veramente, cosa ti fa credere che ciò che dici di volere risponde alle tue reali aspirazioni? Ti ricordi della Sfinge che chiedeva…
-        
Non m’importa nulla della Sfinge, voglio soltanto che tu sia  un fedele strumento del mio volere
-         Come desideri, principe  

 Nel palazzo regale m’annoio. Tutte le fontane, i giardini, le stanze e le concubine che vi si affollano, mi sembrano più insulse  e inutili di un’anfora di terracotta. Non conosco la realtà vera, la miseria, la morte, il dolore, le piaghe. Non ho nozione neanche dell’amore vero, di quello che fa sanguinare e uscire di senno.

Il re, mio padre, è assorto nelle faccende del governo. Appare fugace, sopporta le cerimonie ufficiali con rassegnata mestizia. Lo vedo da lontano, assiso sul trono, mentre ascolta i ministri e i cortigiani e mi viene in mente (Dio  perdoni  il mio pensiero irriverente e blasfemo) un pollo infilzato a uno spiedo che gira a fuoco lento.

Al compiere i 18 anni, sua maestà mi convoca, mi guarda distrattamente e mi dice, come se recitasse una parte “Sei diventato un uomo, figlio mio. Dovrai addestrarti alle arti  del comando e del governo. Mi aspetto che tu riesca a conoscere gli uomini e che sappia farti rispettare non solo in virtù della tua stirpe e del tuo lignaggio, ma anche per le tue doti personali. Avrai bisogno di una guida e ho deciso di farti un regalo”.

 Mi mette in mano  una lampada di bronzo tempestata di gemme  e mi esorta a ricorrere alle sue virtù magiche con saggezza e moderazione. “Potrai soddisfare solo sette desideri, sette in tutta la tua vita. Utilizzala dunque nei momenti di reale necessità”.

Del primo ho già riferito e devo confessare che la delusione è così cocente che, per diversi mesi, chiamo il genio solo per il piacere di rispondere ai suoi enigmi.

 Poi mio padre muore.  Mi ritrovo un fardello gigantesco sulle spalle. Senza conoscere il mondo, lo devo amministrare e assolvere le funzioni di guida che il mio rango prevede. Entro in una grotta buia e profonda, di cui non s’intravede la fine. Devo soppesare i gesti, le parole, presenziare alle riunioni di corte e circondarmi di persone fidate.

Chiedo al genio consiglio quando un grave pericolo incombe sul mio regno. Una guerra scatenata dal potente vicino che minaccia di  conquistare tutta la parte occidentale dei miei possedimenti. Appare corrucciato, mentre gli chiedo di farmi vincere la battaglia.

“Anche i tuoi nemici, maestà, hanno geni potenti e aiuti soprannaturali. Posso solo dirti che, per esaudire questo tuo secondo desiderio, occorre che tu diventi un guerriero. Un guerriero dello spirito, capace di vincere le tue  debolezze e le tue paure”.

 Vado in guerra, alla testa delle  mie armate. Lotto con frenesia e disperazione, lastricando le pietre delle strade  col sangue nemico. Trascino i miei  con la forza dell’entusiasmo, promettendo loro un futuro di luce. Sbaragliamo l’esercito avversario in sei mesi di duri, feroci combattimenti.

Il terzo desiderio lo formulo qualche anno dopo. Voglio avere un figlio e la regina mia consorte mi asseconda con tutta la sua energica fedeltà, ma ogni sforzo è vano. Il Genio si traveste da oracolo e sussurra “avrai un figlio quando lo sentirai nella tua carne”.

 Sciolgo il mistero qualche mese dopo, quando m’innamoro di un giovane efebo che, concedendosi alle mie brame, sembra negarsi. Lo desidero con tanta violenza  che, irrompendo nella camera da letto regale, mi congiungo con la regina urlando frasi sconnesse, pensando al suo volto. Poco dopo avviene il fausto evento e ottengo una discendenza.

Per molto tempo, non desidero null’altro. Mio figlio cresce dritto come una spada e fiero come un principe ereditario ed io mi cullo in quell’immagine di felicità.

 Ma un altro pericolo s’avvicina. Un’epidemia misteriosa falcidia il mio popolo. I miei sudditi muoiono a migliaia.. I medici e i saggi sembrano impotenti  di fronte alla calamità. Il morbo lambisce anche le mie stanze. La regina s’ammala e, in un batter di ciglia, si spegne.

 Chiedo al genio se le può allungare la vita, anche prendendo a cambio un pezzo della mia. Mi risponde "Il tuo quarto desiderio è la proiezione di un’illusione, ma essendo le illusioni la materia che tesse la realtà, sarà soddisfatto nel momento in cui la tua realtà diverrà illusione”.

Comprendo che la morte non è reversibile e vorrei mettermi a piangere, se non fossi frenato dal mio orgoglio.

Mi rifugio nella attività abituali. Un giorno mio figlio, che ha compiuto 15 anni ed eccelle in tutto, cade da cavallo e ritorna esangue, portato a braccia da tre servi terrorizzati, a corte.  

 Sfrego la lampada con frenesia e il Genio appare sollecito, con un’espressione triste in volto.

-  Fallo guarire- imploro con voce rotta -, salva la mia discendenza.

-  Desideri questo?
-  Sì- urlo- con tutto il mio cuore
-  Il destino è più forte dei desideri, persino di quelli di un re. Tuo figlio vivrà, perché tu possa soffrire.

Comprendo la profezia anni dopo, quando mio figlio, con una congiura di palazzo, mi spodesta e mi rinchiude nelle segrete della torre. Erro come un cieco in quello spazio buio e angusto, ebbro di dolore e di disperazione, quando incontro, sotto il pagliericcio, un oggetto prezioso ben conosciuto.

 Appare il genio, cupo e desolato.

-         Ho un desiderio che spero potrai realizzare subito e senza indugi. Fammi morire

-         Non posso, maestà, devi soddisfare sette desideri e questo è il sesto. L’ordine delle cose non lo permette.

-    Fammi morire e ti do la mia parola di re che formulerò un ultimo desiderio prima di chiudere  definitivamente gli occhi.

 Il genio sembra esitare, poi s’illumina, ha compreso.

 Mentre le forze m’abbandonano, faccio ancora in tempo a mormorare la mia ultima richiesta.

 Scrivi questa storia, Kozimeh”.

 Writer

 

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Commenti al Post:
E.v.a_K.a.n.t
E.v.a_K.a.n.t il 09/08/07 alle 01:23 via WEB
Geniale, Writer e, come sempre, affascinante.
Questo spaccato da Mille e una Notte dove tragedia e lirismo si fondono tratteggiando un’atmosfera magica e densa di presagio, ancora mi incanta.
Rileggo.
Ancora.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/08/07 alle 12:56 via WEB
Non so bene perché, ma questo è un testo che seduce i lettori, forse perché abbandono un approccio introspettivo e centrato sulla perdita e racconto una storia ambientata in un tempo indeterminato, seguendo il canovaccio di libri che sono rimasti nella storia della letteratura. Ti ringrazio per l'apprezzamento, E.v.a. e ti mando un saluto affettuoso. W.
 
onice0
onice0 il 09/08/07 alle 11:44 via WEB
Semplicemente incantata.Ciao W
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/08/07 alle 12:57 via WEB
contento che la storia ti sia piaciuta, Onice. Un caro saluto. W.
 
   
ladymiss00
ladymiss00 il 09/08/07 alle 15:04 via WEB
Ciao Claudio, ti cercavo, ed è bello vederti nel mio blog, sono una casinara, sai, ma mi affezziono, poi ti sto leggendo e con la carta pè un'altra cosa per me, almeno, un altro rapporto meno frenetico, ecco, ma forse è il periodo, non so. Mi sta facendo rifletere la tua poetica, hai un bel moo di scrivere ecco, una sorpresa che si capisce alla fine, ma intanto fila e i parallelismi si incrociano ecco, Come la vita : una storia nella storia. "Per scrivere bisogna avere vissuto, ma scrivere non è forse un modo per evocsre la vita, per rappresentarla in un momento in cui questa latita e perde vigore" (ma chi l'ha scritta sta frase, a me lo puoi dire? ^_^
 
     
falco58dgl
falco58dgl il 09/08/07 alle 17:31 via WEB
Milena, visito il tuo blog con regolarità da quando sono tornato, ormai da 20 giorni...stavo pensando a ciò che hai scritto su "i parallelismi che s'incrociano". Il romanzo è stato costruito proprio così, con due storie che s'alternano, distanti nello spazio e nel tempo, e che alla fine troveranno un punto di contatto. Non so se la frase che hai citato sia di qualcuno, mi pare di ricordare di aver letto la prima parte (per scrivere bisogna aver vissuto) in qualche romanzo o racconto , di cui non ricordo l'autore. Tutta la seconda parte è una mia preoccupazione, il timore che scrivere diventi un filtro che sostituisce il piacere della vita mediante le parole. Ciao. W.
 
     
ladymiss00
ladymiss00 il 10/08/07 alle 09:09 via WEB
lo stesso mio dubbio, solo che tu mi pare lo risolva magnificamente, io mi perda nei dubbi. Ho avuto problemi di linea, oltre che d'impegni negli ultimi 20 giorni. Grazie, comunque, per l'attenzione.
 
     
falco58dgl
falco58dgl il 10/08/07 alle 11:54 via WEB
Rimani a Lecce per ferragosto? Un bacino. W.
 
saradria
saradria il 09/08/07 alle 18:28 via WEB
Incantata, mi sembra di leggere la tristezza e le paure di un uomo/donna (in generale) moderno,in un racconto di altri tempi, molto bello!!!Un abbraccio Adriana
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 10/08/07 alle 00:03 via WEB
Adriana, credo che sia le persone di oggi, sia quelle vissute in tempi antichi si misurano con alcuni problemi analoghi e sostanzialmente identici nella loro natura: Il desiderio (e la paura) di amare, il conflitto tra cambiamento e stabilità, la paura della morte. Ti ringrazio per le tue parole gemntili, un saluto affettuoso. W.
 
DONNADISTRADA
DONNADISTRADA il 10/08/07 alle 12:54 via WEB
i desideri non nascono dalla ragione e il destino che teniamo sottogamba nei momenti di gioia e di cui poi ci lamentiamo nei momenti peggiori fa parte della nostra storia
noi siamo divenuti quello che abbiamo saputo costruire fino all'immortalità della storia scritta, ultima richiesta a kozimeh
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 10/08/07 alle 13:17 via WEB
Angi, in fondo il finale della storia riporta alle ragioni vere per cui si scrive: strappare gli eventi dall'oblio, dare loro una forma che rimane nel tempo, comenicare le proprie sensazioni e i propri vissuti ad altri, farli vivere nell'immaginario altrui. Un abbraccio forte e circolare. Writer.
 
marea14
marea14 il 10/08/07 alle 15:03 via WEB
Bellissima storia!
Come sempre è un piacere leggere il tuo blog :-)
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 11/08/07 alle 16:53 via WEB
Grazie, Marea. Sono lieto che ti sia piaciuta :) W.
 
ondadgl5
ondadgl5 il 11/08/07 alle 06:44 via WEB
molto nella,leggerti è un piacere...
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 11/08/07 alle 16:53 via WEB
Grazie, Onda. Un bacino. W.
 
saradria
saradria il 11/08/07 alle 17:01 via WEB
Ciao ;)
 
UnaRosaSelvatica
UnaRosaSelvatica il 11/08/07 alle 20:08 via WEB
Semplicemente magnetica £;o)
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 13/08/07 alle 01:22 via WEB
Grazie per l'apprezzamento, RosaSelvatica :) W.
 
lafatadelmare
lafatadelmare il 12/08/07 alle 21:13 via WEB
Il mondo che hai dentro vale la pena di condividerlo con gli altri, si resta affascinati dai tuoi racconti...tornerò volentieri...ciao...Luce...
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 13/08/07 alle 01:23 via WEB
Benvenuta, fatadelmare. Sono felice che tu desideri condividere il mio mondo. W.
 
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LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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