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Messaggi del 18/06/2015

Pizzajola

Post n°1761 pubblicato il 18 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

Pizzajola

Pijete 'na fettina bbella grossa,
falla sottile usanno 'mmartelletto
e ttenera l'avrai come 'r filetto:
'sto piatto, ggiuro, te darà la scossa!

Metà dell'ajo (trita l'antri spicchi)
lo metti a rrosolà e llo lassi 'ntero,
poi metti 'r pommidoro, quelo vero.
L'origheno ce vole e ssemo ricchi

d'odori e dde sapori da gustà,
ner mentre che sta' 'ncora a ccucinà!
La carne la fai côce cor zughetto

appena doppo ch'hai appicciato 'r foco.
Nun deve côce troppo e mmanco poco,
si vvoi che 'r piatto ha da vienì pperfetto.

Valerio Sampieri
18 giugno 2015

 
 
 

Bandiera bianca

Post n°1760 pubblicato il 18 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

Bandiera bianca

E' fosco l'aere
il cielo è muto
ed io sul tacito
veron seduto
in solitaria
malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!

Fra i rotti nugoli
del l'occidente
il raggio perdesi
del sol morente,
e mesto sibila
per l'aria bruna
l'ultimo gemito
della laguna.

Passa una gondola
della città. -
«Ehi, dalla gondola
qual novità? »
«Il morbo infuria»
il pan ci manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca! »

No, no, non splendere
su tanti guai,
sole d'Italia
non splender mai,
e sulla veneta
spenta fortuna
si eterni il gemito
della laguna.

Venezia! l'ultima
ora è venuta,
illustre martire,
tu sei perduta...
Il morbo infuria,
il pan ti manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca!

Ma non le ignivome
palle roventi,
né i mille fulmini
su te stridenti
troncàro ai liberi
tuoi dì lo stame...
Viva Venezia,
morta di fame.

Sulle tue pagine
scolpisci, storia,
l'altrui nequizie
e la sua gloria
e grida ai posteri:
Tre volte infame
chi vuol Venezia
morta di fame!

Viva Venezia!
L'ira nemica
la sua risuscita
virtude antica:
ma il morbo infuria,
ma il pan le manca...
sul ponte sventola
bandiera bianca!

Ed ora infrangasi
qui sulla pietra
finché è ancor libera
questa mia cetra:
a te, Venezia,
l'ultimo canto,
l'ultimo bacio,
l'ultimo pianto!

Ramingo ed esule
in( suol straniero,
vivrai, Venezia,
nel mio pensiero;
vivrai nel tempio
qui del mio core,
come l'immagine
del primo amore.

Ma il vento sibila,
ma l'onda è scura,
ma tutta in tenebre
è la natura;
le corde stridono,
la voce manca...
sul ponte sventola
bandiera bianca!

Arnaldo Fusinato (1817-1889)
Da: Antologia della Lirica Italiana a cura di Angelo Ottolini. Milano Casa Editrice R. Caddeo & C., 1923, pagina 167

 
 
 

Giovanni Muzzarelli 2

X
Di M. Giovan Mozzarello
7

Per tener verde in me l’alto desio
Di sempre arder d’un foco in ch’io ne stanchi
Lo stil, l’ingegno, e perché mai non manchi
Per lontananza over forza d’oblio,

E torni poi sovente il signor mio
A trar sospiri a’ non sanati fianchi,
Onde cibo a i pensier noiosi e stanchi
Abondi nel digiun sì lungo e rio,

Agli occhi tristi or questa donna or quella,
Che ’l vulgo suol prezzar, dimostro ad arte,
E quanto ogni altra sia di voi men bella;

Allor vi scopre l’alma a parte a parte
Ne la memoria e grida: "Ahi dura stella,
Dal bel tesoro mio chi mi diparte ?".

8

Tutto ’l sostegno, Amor, che d’un bel volto
E d’accenti ne vien cortesi onesti
Ebb’io quel dì ch’Amor mi concedesti
In un soggetto ogni valor raccolto.

Per che poi giorno e notte al mio ben vòlto,
Presso o lunge, in pensier lieti o molesti,
Odo una voce e miro i duo celesti
Lumi, e d’altro giamai non mi cal molto.

Invidia, che sì spesso indi mi svia,
Tolga agli occhi, a l’orecchie il proprio obietto,
Acerba, e le dolcezze mie distempre;

A l’alma torre sol l’alto diletto
Morte può di sentir la donna mia
Ovunque io vada e di vederla sempre.

9

O desir di quest’occhi, almo mio sole,
Che sì lunge da voi m’ardete il petto,
O fin del mio voler, del mio intelletto,
Dolci, soavi, angeliche parole,

O celesti eccellenze al monde sole,
Ch’altro non tiene in sé che sia perfetto,
O chiome d’oro, onde m’ha il cor sì stretto
Amor che d’altro ordir lacci non suole,

O rose eterne sparse infra le brine
Tenere e lievi, o più che bella mano,
O cantar onde ’l ciel non pur uom goda,

O lume del mio cor soave e piano,
O mille altre bellezze alte e divine,
Deh sarà mai ch’io vi riveggia ed oda ?

10

Del cibo onde io vivea sì dolcemente
Mentr’ebbi con Amor più lieta sorte,
Beltà divina e le maniere accorte
Che di dolci pensier pascean la mente,

Lo mio fero destin m’ha fatto assente,
Né so chi mi nodrisca e mi conforte
Nel gran digiuno, ond’io n’attendo morte,
Che già ne gli occhi miei vede la gente.

Erisiton, quanto lodar ti puoi
Del tuo stato miglior, se mille cose
Potean saziar la tua infinita doglia.

Un cibo ha il mondo sol fra tutti i suoi
Che può sbramar le mie fiamme amorose:
E di questo un, dolente, il ciel mi spoglia.

11

Aere sereno, aperte piaggie apriche,
Verdi poggi, antri, boschi e lucid’onde,
In cui si specchian da l’erbose sponde
Mille belle d’amor memorie antiche,

Valli riposte a’ sospir dolci amiche,
Ov’al pianto di Progne Ecco risponde,
E lievi aure scherzando intra le fronde
Prometton requie a l’aspre mie fatiche,

Letizia eterna le purpuree penne
Mova d’intorno al grazioso grembo,
U’ beltà di se stessa s’innamora,

Poi che da voi il gran parto al mondo venne
Che ’l celeste real ceruleo lembo
Sparso di gigli eternamente infiora.


12

Ninfe, che i verdi colli e l’acque vive
Di Mergo e Sesia, e l’uno e l’altro corno
Del re de’ fiumi fate altero e adorno,
Spargendo l’oro a le fresch’aure estive,

I’ facea, lasso, in queste vostre rive
Di voi cantando un più dolce soggiorno,
Or a gran passi via sen viene il giorno
Che di mia voce voi, me di voi prive.

Vommene, e vommi eternamente in bando,
S’un qualche sogno a voi non mi riporta
Col dolce imaginar de’ miei desiri.

Mia voce quanto a voi del tutto è morta,
S’alcun suo tristo accento non vi mando
Su per quest’onde a forza di sospiri.

13

ITALIA mia, il tuo sì lungo pianto
Co i sospir molti e gravi
Racqueta omai, poi che ’l secondo Giove,
Cui son dal ciel commesse ambe le chiavi
Con l’onorato manto
Perché ristauro a’ tuoi danni ritruove,
E per te stessa prove
Quant’era ogn’altro d’onor tal men degno,
Lieto ti porge l’una e l’altra mano.
E perché incerto e vano
Infino ad or tornato è ogni disegno,
A lui senza altro ingegno
Pòi ritentar umile
Scoprir le tue profonde indegne piaghe,
Sì che cangiando stile
Risaldi ogni tuo vizio e danno appaghe.

I duri oltraggi e tanto l’altrui ferro
Tinger col propio sangue
Puoi obliar, e quel comun disnore
Per cui molti anni ogni buon’opra langue.
Perciò che s’io non erro
Pieno gran tempo d’un bel sdegno il core
Il saggio almo Pastore
La notte e ’l giorno a sollevarti intende.
Però con quel vigor ch’anco ti resta,
Così dogliosa e mesta,
Poscia che di tal man soccorso attendi,
Prendi partito, prendi,
E ogni contraria voglia,
Onde al ciel non potean giunger tuoi prieghi,
In un voler s’accoglia,
Tal che il gran Padre al tuo chiamar si pieghi.

Perché dal dì ch’a mille altre ruine
Lasciò aperta la strada,
Quando il popol roman fece Alarico
Affliger con la fame e con la spada,
Mai sentenze divine,
Per farti il mondo d’ogni parte amico
Cangiando l’odio antico
Ne la tanti anni sospirata pace,
Non ti dieder più saggio ed umil padre;
Il qual senza altre squadre
Che de’ santi costumi, onde al ciel piace,
U’ ’l mal sente vivace
Ch’occupava ogni luogo
Va disperdendo con mirabil cura,
Perché da l’aspro giogo
Possa il collo ritrar lieta e sicura.

Dunque sian l’acque de’ correnti fiumi,
Già sì vermigli e lenti,
Dolce cristallo; il suo pregio natio
Rivestan le campagne, sì che spenti
I fier primi costumi
Sol tenga il mondo di valor desio,
E di rubesto in pio
Si muti ogni voler, e d’ogni intorno
Sudi di mel, come già il secol d’oro,
Ogni odorato alloro;
E dal già tanto desiato corno,
Di gentil copia adorno,
Sì vaga primavera,
Sì dolce auton, sì largo onor trabocchi,
Che poi, com’altri spera,
Incontro ogni sventura indarno scocchi.

Quinci tanta dolcezza si distilli
Che gli animi sì crudi,
Cui lungo odio civil cotanto gira,
Tosto sian giunti d’impietate ignudi
Al loco onde partilli
Gran tempo ingiusto sdegno od altrui ira.
Che già di Cipro spira
L’alta regina, e move dal bel seno
Un sì caldo piacer e sì dolce aura
Che ’l mondo tutto inaura
E di soave amor cuopre il terreno;
A’ più protervi il freno
Stringendo sì ch’omai
La strada d’ogni onor si trovi aperta,
E dopo tanti lai
In dolce pace ogn’odio si converta.

Signor, i’ parlo a voi, poiché presente
In ciascun loco sete,
Empiendo ognor di vostra alta virtute
Quanto il sol scalda, e ’l ciel, come vedete,
D’alzarvi non si pente,
Perché ferma da voi certa salute
Aspetta; e che si mute
Il suo stato sì oscuro e sì doglioso
Italia, che la sua fosca ed amara
Voce tanto rischiara
Al vostro onor, ed al suo mal riposo
Promette alto e gioioso,
Più che l’usato lieta.
Dunque aprasi il camin, che tanto serra
Marte superbo e vieta,
E segua pace eterna omai la guerra.

Ch’altri lauri Babel e chiunque alberga
Fra il Nilo e l’Eufrate
Tesse per adornarvi ognor la chioma;
Di che tanto vi stringa alta pietate,
Che da vendetta s’erga
De le sue gravi offese e molte Roma,
E chi da voi si noma,
Sì che cometta a’ più lodati inchiostri
Nuovi trionfi e poetando scriva
Ciascuno, e con più viva
Vena dopo mill’anni altrui dimostri
In parte gli onor vostri,
E di cotanta gloria
Si dia materia sempre a nuovi versi,
E sian di voi memoria
Turchi, Medi, Caldei, Tartari e Persi.

Se ’l tuo poco ornamento,
Canzon, non ti togliesse il gir in parte
Ov’è ch’Italia e tutto il mondo onora,
Direi che uscendo fuora
Il Vatican cercassi a parte a parte,
Pregando che di Marte
L’alto furor s’estingua,
Sì che si svegli onde movesi solo
Ogni più chiara lingua,
Ornando il nome ch’io celebro e colo.

Giovanni Muzzarelli
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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