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Messaggi di Giugno 2015

La priscission der Corpus...

La priscission der Corpus-Dommine

Perché ll’antr’anno in certa priscissione (1)
sce successe un tantin d’ammazzamento, (2)
mo ar tronco (3) e a lo stennardo (4) sto scontento
de Papa j’ha da dà l’inibbizzione! (5)

Leva tronco e stennardo, e in un momento
nun ce resta ppiú un cazzo divozzione.
Sarebbe meno male in cuncrusione
de levà dda la coda (6) er Zagramento.

Ner portà bbene lo stennardo e ’r tronco
llì sse vedeva l’omo, eh sor Diopisto? (7)
e ssi uno era svertro (8) oppuro scionco. (9)

Ma mmó cche nnun c’è ppiú ttronco e stennardo
e nun ce resta che cquer po’ de Cristo, (10)
le priscissione io?! manco le guardo.

Giuseppe Gioachino Belli
15 marzo 1834
Sonetto 1094

Note:
1 Della Confraternita di...
2 La destinazione dello stendardo e del tronco, ambita ardentemente da tutti i confratelli, specialmente dai più giovani che amano far pompa di destrezza innanzi alle case delle loro belle, è stata sempre un soggetto d’impegni, alterchi, e non di rado, accoltellamenti.
3 Enorme croce di carta-pesta, foggiata in due grossi tronchi d’albero nella loro rozzezza naturale.
4 Gran gonfalone della Compagnia, portato a due aste.
5 Corse voce che per causa della rissa accaduta fra i confratelli nominati alla nota 2, il Papa avesse abolito l’uso di dette due insegne.
6 Dal fine.
7 Teopisto.
8 Svelto.
9 Cionco.
10 Gran crocifisso, addobbato, per solito da monache, di bende e di frangie.

Significato: Belli mette in ridicolo la superficialità della devozione del popolano. Una volta che, in conseguenza di un omicidio commesso durante una processione, erano stati tolti tutti gli elementi scenografici e coreografici, lasciando soltanto il Cristo, la processione perde totalmente di interesse per il popolano.

 
 
 

Il Malmantile racquistato 06-3

Post n°1789 pubblicato il 27 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

SESTO CANTARE

74.
Ma sta' in orecchi, chè mi par ch'e' suoni
Il nostro tabellaccio (713) del Senato,
Sicchè e' mi fa mestier ch'io t'abbandoni,
Perocch'io non voglio essere appuntato (714).
A veder ci restavano i lioni,
Ma non posso venir, ch'io son chiamato:
Ed ecco appunto i diavoli co' lucchi (715);
Però lascia ch'io corra e m'imbacucchi.

75.
Dice la maga: vo' venire anch'io
Perch'il veder più altro non m'importa,
Ed in questa città così a bacío (716),
A dirla, mi par d'esser mezza morta.
Voglio trattar col re d'un fatto mio,
Ed andarmene poi per la più corta.
Ed ei le dice in burla: se tu parti,
Va' via (717) in un'ora, e torna poi in tre quarti.


76.
Tu vuoi, gli rispos'ella, sempre il chiasso.
Nel consiglio così ne va con esso,
Ove ciascun l'onora e dàlle il passo,
Sbirciandola un po' meglio e più da presso.
Ella baciando il manto a Satanasso,
Lo prega ad osservar quanto ha promesso;
Ei gliel conferma, e perchè stia sicura,
Per la palude Stige glielo giura.

77.
Ed ella, per offerta così magna,
Ringraziamenti fattigli a barella,
Dice ch'ormai sbrattar vuol la campagna.
E tornar a dar nuove a Bertinella.
Pluton le dà licenza, e l'accompagna
Fino alla porta, e lì se ne sgabella;
Ond'ella in Dite a un vetturin s'accosta,
Che la rimeni a casa per la posta.

78.
Il re, fatta con lei la dipartenza,
Al salon del Consiglio se ne torna;
Onde ciascuno alla real presenza
Alza il civile (718), e abbassa giù le corna.
Salito alla sua sbieca residenza
Di stracci e ragni a drappelloni adorna,
Voltando in qua e in là l'occhio porcino,
Si spurga, e butta fuora un ciabattino (719).

79.
Spiegar volendo poi quanto gli occorre,
Comincia il suo proemio in tal maniera:
Voi, che di sopra al Sole in queste forre
Cadesti meco all'aria oscura e nera,
Onde noi siam quaggiù 'n fondo di torre
«Gente, a cui si fa notte avanti sera;»
Voi, ch'in malizia, in ogni frode e inganno
«Siete i maestri di color che sanno;»

80
Sebben foste una man di babbuassi
Minchioni e tondi piucchè l'O di Giotto;
Ma poi nel bazzicar taverne e chiassi,
S'è fatto ognun di voi sì bravo e dotto
Che in oggi è più cattivo di tre assi (720),
E viepiù tristo d'un famiglio (721) d'Otto;
Voi dunque, benchè pazzi cittadini,
Nel vitupero ingegni peregrini;

81
Siete pregati tutti in cortesia
Da Martinazza, nostra confidente,
Poichè Baldone ancor cerca ogni via
D'entrar in Malmantil con tanta gente,
Ad oprar, ch'egli sbandi e trucchi via;
Però ciascun di voi liberamente
Potrà dir sopra questo il suo parere
Del modo che e' ci fosse da tenere.

82.
Cominci il primo: dite, Malebranche,
Quel ch'e' vi par che qui v'andasse fatto.
Levato il tòcco (722), e sollevate l'anche,
Allor quel diavol'n un medesmo tratto
Un capitombol fa sopr'alle panche,
E salta in piè nel mezzo com' un gatto;
Ma perch'il lucco s'appiccò a un chiodo,
Si ricompone, e parla a questo modo:

83.
O re, cui splende in mano il gran forcone,
Se il Cappello (723) speziale ha quel segreto
Col qual si fa stornare un pedignone,
lo l'ho (724) da far, tornare un uomo addreto.
So già, che qualche debito ha Baldone,
E ch'e' lo vuol(725) pagare in sul tappeto (726);
Perciò manda Pedino (727) là in campagna,
Ch'ei giuocherà di posta di calcagna.

84.
Pluton diede con tutti una risata,
Che feceli stiantar sino il brachìere;
E dissegli: va' via, bestia incantata,
Com'entra coll'assedio il dare e avere?
Segua l'altro che vien della pancata.
Rizzato Barbariccia da sedere,
Si china, e mentre abbassa giù la chioma,
Alza le groppe e mostra il bel di Roma (728).

85
Poi s' intirizza (729), e dice in rauco suono:
Se non si leva dalle squadre il capo,
Quale è Baldone, e non si dà nel buono,
Mai si verrà di tal negozio a capo;
Dove, se manca lui, quanti vi sono
Restati come mosche senza capo,
Appoco appoco, a truppe e alla sfilata
Partendo, in breve disfaran l'armata.

86.
Circa il pigliarlo, s'io non l'ho, gli è fallo.
Facciam conto che in branco alla pastura
Un toro sia costui o un cavallo;
Tiriamgli addosso qualche accappiatura
Legata innanzi a un bel mazzacavallo (730)
Collocato in castel presso alle mura;
Ond'ei si levi un tratto all'aria, e poi
Si tiri dentro e dove piace a noi.

87.
Buono; rispose il re: non mi dispiace;
Ma il cancellier di subito riprese,
Sia detto, o senator, con vostra pace,
Tant'oltre il poter nostro non s'estese;
Il tutto saria nullo, e si soggiace
Ad esser condennati nelle spese;
Ed io sarei stimato anch'un Marforio (731),
A acconsentire a un atto perentorio.

88.
Perchè sempre de jure pria si cita
L'altra parte a dedur la sua ragione;
Poi s'ella è in mora, viensi a un'inibita (732),
E non giovando, alla comminazione
Che in pena caschi delle forche a vita.
E se la parte (733) innova lesïone,
Allor può condennarsi, avendo osato
Di far, causa pendente, un attentato.

89.
Sommelo anch'io, che in altro tribunale
Si tien, dice Pluton, cotesto stile;
Ma qui, dove s'attende al criminale
S'esclude ogni atto e ogni ragion civile.
Ma sia com'ella vuole, o bene o male,
Io vo' levar quest'uom da Malmantile;
Però chetiamci, e dica il Calcabrina:
E quei si rizza, e verso il re s'inchina.

90.
E poic'ha fatte riverenze in chiocca (734),
Co' suoi piè lindi (735) a pianta di pattona,
Si soffia il naso, e spazzasi la bocca
E posta in equilibrio la persona,
Come quel che si pensa dare in brocca (736),
Tutto sfrontato dice: alta Corona,
Circa l'ordingo, pur si metta in opra;
Perch'io concorro e affermo quanto sopra.

91.

Ma in vece di quel cappio da beltresca (737),
Ch'è il tossico de' ladri, si provvegga
Una bilancia o rete per la pesca,
Con una lunga fune che la regga.
E perchè 'l fatto meglio ci riesca,
Si tinga tutta, acciocchè non si vegga;
E in terra, quanto ell'apre, ivi si spanda,
Fino che'l porco vengane alla ghianda.

92.
Perchè, s'e' muovon l'armi, di ragione,
Se dal capo l'esercito è condotto,
Innanzi a tutti marcerà Baldone.
E quand'ei giunga ed ha la rete sotto,
Fate che leste allor sien più persone
A farla tirar su coll'avannotto (738),
Operando in maniera ch'egli insacchi
In luogo, ove si vede il sole a scacchi.

93.
Questo, dice Plutone, ha più disegno.
Ma il cancellier di nuovo s'attraversa,
Con dire: o laccio o rete abbia quel legno
È tutta fava (739), et idem per diversa;
Perchè manco il Cipolla (740) a questo segno
Concede il molestar la parte avversa.
Se poi comandi, anch'io non me ne parto,
Lodando il suspendatur(741) collo squarto.

94.
Qui, dice il re, si dà (742) sempre in budella,
Sicchè mi cascan le braccia e l'ovaia;
Mentre costui a ogni cosa appella,
E co' suoi punti mena il can per l'aia.
Gli ha sempre più ritorte (743) che fastella;
Ma e' non lo crede (744), s'ei non va a Legnaia.
Orsù dite costà voi, Cappelluccio:
Ed ei si rizza, e cavasi il cappuccio.

95.
E disse: io dico, che direi, o sire,
Poichè da te ch'io dica mi vien detto;
Ma dir non oso, ch'io non ho che dire,
Se non dir quanto qui quest'altro ha detto;
Perch'ei l'ha detto con sì terso dire,
Ch'io sto per dir che mai s'udì tal detto:
Però dico ch'a dir non mi dà il cuore,
E lascio dire a un altro dicitore.

96.
Anch'io l'ho detto che tu sei un buffone,
Risponde il re; e intanto Libicocco
Tagliare ad Arno l'argine propone,
Acciò nel campo l'acqua abbia lo sbocco.
E come vuoi, risponde allor Plutone,
Mandar Arno all'insù, viso di sciocco?
E poi dal fiume d'Arno a Malmantile
V'è un ghiandellino. Dica Baciapile.

97.
Questo, che fa il baséo, ma è tristo e accorto,
E perch'egli è auditor d'ipocrisia,
Veste cilizio, e con un viso smorto
Canta sempre laldotti (745) per la via,
Risponde a occhi bassi e collo torto:
Fate motto di là in cancelleria.
E qui va in mezzo, bacia terra, e in fine
Tornando al luogo, piovon discipline.

98.
Vòltati, dice il re, spropositato!
S'alcuna cosa qui non hai proposta,
Come vuoi tu, buaccio, che 'l Senato
Vada in cancelleria per la risposta?
Pur sento, rispond'ei, ch'in magistrato
Così dir s'usa, ed io l'ho detto apposta;
Ma s'io vi scandolezzo e alcun m'incolpa
D'errore in questo, io me ne rendo in colpa.

99.
Non occorre brunir co' labbri i sassi,
Dice Plutone, ossaccia senza polpe,
E fare il torcicollo, e, ovunque passi,
Seminar discipline e dir tue colpe;
Ch'io so, che chi per lepre ti comprassi,
Avrebbe almen tre quarti della volpe;
Però va' a siedi, e segua il Tiritera.
E quei s'assetta e parla in tal maniera:

100.
Io, che sono un insano e ignaro ognora;
Perchè saper supir(746) non voglio o vaglio,
Dico: ch'al duca, perchè a' muri ei mora,
Tosto in testa si dia pel meglio un maglio,
Finchè lo spirto sporti (747) al foro fora,
Dond'ei fa i peti, e pute d'oglio e d'aglio;
Acciò (748) l'accia sull'aspo doppo addoppi
La Parca, e il porco colla stoppa stoppi.

101.
Ben tu puzzi di Pazzo ch'è un pezzo,
Disse Pluton, bestiaccia, per bisticcio:
Perch'io per me non so nè raccapezzo
Quel che tu voglia dir nel tuo capriccio;
Ma non son re, s'io non te ne divezzo:
E perchè tu non temi grattaticcio (749),
Mentre stima non fai delle bravate (750),
Quest'altra volta le saran pecciate (751).

102.
Or via seguite. Qui lo Scamonea
Si rizza in viso tutto insanguinato
Perch'ei, ch'è un fastidioso, appunto avea
Fatto a' graffi con un che gli era allato;
Però colla bisunta sua giornea (752)
La qual traluce come ciel stellato,
Sicch'ella un Argo par fatto alla macchia (753),
Si netta, al Re s'inchina e così gracchia:

103.
Io non so, se Baldon sogna o frenetica,
Perchè, s'ei vuol sturbar la nostra pratica,
Fa male i conti, e colla sua aritmetica
Nel zero l'ho fra l'una e l'altra natica
Poichè, se un bacchio (754) il capo a lui solletica,
Sbrattar l'armata non sarà in gramatica (755),
Che tutta a brache piene, ancorchè stitica,
Tremando andranne come paralitica.

104.
Olà, dove siam noi? (dice Plutone)
E che sì, scorrettaccio, ch'io ti zombo.
Darò ben io sul capo a te il forcone,
Sicchè alle stelle n'anderà il rimbombo.
Guarda quel che tu di', porco barone,
E va' più lesto (756) e col calzar dei piombo (757);
Sta' ne' termini, e parla con giudizio,
Chè per mia fè ti privo dell'ufizio.

105.
S'alza Scorpione allora, e vien da esso
D'Astolfo il corno orribile proposto,
Che gli eserciti, dice, in fuga ha messo
Conforme scrive e accerta l'Ariosto.
Si rallegra Plutone, e dice: adesso
Non ci sarà dal cancelliere opposto,
Perchè ci calza bene; e certo questa
Cosa del corno a me va per la testa.

106.
Risponde sogghignando Ciappelletto
(Ch'in tal modo si chiama il cancelliere):
Voi già m'avete per dottore eletto,
E non ch'io serva qua per candelliere,
Per mio debito dunque io son costretto
A dire all'occorrenze il mio parere.
Su, dice il re, dottor de' miei stivali,
Metti anche il corno in termini legali.

107
Vuoi forse darci qualche eccezïone?
Stiamo in decretis; di' peto vestito;
Va ben, risponde il sere, ch'ei propone
Cosa, che non deprava ordine o rito.
Sonate un doppio, disse allor Mammone,
Ch'ei la passò; facciam dunque il partito
Perch'ella segua di comun consenso,
E ognun favorirà siccome io penso.

108.
Vanno le fave (758) attorno ed i lupini,
E sentesi stuonato e fuor di chiave,
Alle panche, gridar, tavolaccini (759);
Raccogliete pel numero (760), e le fave
Pigliate in man; chè questi cittadini,
Che in simil luogo star dovrian sul grave,
Rendono (761), il capo avendo pien di baie,
Male i partiti e mangian le civaie.

109.
Vanno i donzelli, ognun dalla sua banda;
Ma perchè ne ricevon mille scherzi,
Che più nessuno ardisca il re comanda,
Se non vuol che a pien popolo si sferzi.
Di nuovo attorno i bossoli si manda,
Da vincersi (762) il partito pe' due terzi;
E cercate alla fin tutte le panche,
Fu vinto, non ostante cento bianche.

Note:
(713) TABELLACCIO. Strumento di legno con battagli a maniglia che si suona in luogo di campana.
(714) APPUNTATO. Notato nel libro ove si segna chi manca alle adunanze, per fargli poi pagare una multa.
(715) LUCCO. Veste de' magistrati.
(716) A BACÍO. A tramontana, All'uggia.
(717) VA' VIA ecc. Queste parole danno un senso assai diverso, se si costruiscono così: Va' via ora in una, e torna (divisa) in tre quarti.
(718) IL CIVILE. Dice il civile per ironia, comecchè le natiche siano una parte del corpo piuttosto incivile e vergognosa. (Biscioni).
(719) CIABATTINO. Qui è ciò che si dice ancora Ostrica per la somiglianza alle ostriche di mare. (Biscioni.)
(720) TRE ASSI è il più cattivo, cioè il minor punto che possa farsi tirando tre dadi.
(721) FAMIGLIO. Birro dei magistrato degli Otto di Balía in Firenze.
(722) TÒCCO. Un certo berrettone che anticamente usava in Firenze.
(723) IL CAPPELLO. Uno speziale di Firenze che faceva per insegna un cappello.
(724) IO L'HO. Io ho un segreto per ecc.
(725) LO VUOL Intendi: Non vuol pagarlo altro che costrettovi dalla corte.
(726) IN SUL TAPPETO. Per via di tribunale.
(727) PEDINO. Birro della Mercanzia che faceva le esecuzioni civili.
(728) IL BEL DI ROMA. Il Culiseo.
(729) S'INTIRIZZA. Si mette ritto e pettoruto.
(730) MAZZACAVALLO è una gran leva col fulcro nel mezzo.
(731) MARFORIO. La statua consorte di quella di Pasquino in Roma. Qui, insensato.
(732) INIBITA. Inibitoria, cornandamento del giudice di astenersi dagli atti.
(733) L'AVVERSA, parte.
(734) IN CHIOCCA. A maniera delle chiocche o percosse, in quantità.
(735) PIÈ LINDI ecc. Piedacci grossi e larghi come una pattona o polenta.
(736) IN BROCCA. Imbroccare, dar nel segno.
(737) BERTESCA. Cateratta che s'alza e s' abbassa.
(738) AVANNOTTO. Pesce. Voce corrotta da Uguannotto, Unguannotto. cioè pesce nato unguanno, quest'anno.
(739) È TUTTA FAVA. Una donna al suo marito donnaiuolo imbandì molte vivande di fave diversamente condite, e a lui che domandava ch'è questa, che è quest'altra? rispondeva fava, fava, per fargli intendere che le donne son tutte a un modo, ed è ghiottoneria l'andar dietro alle salse.
(740) IL CIPOLLA. Scrittore in criminale.
(741) SUSPENDATUR ecc. Che sia sospeso e squartato.
(742) SI DÀ ecc. Non si conclude nulla di buono.
(743) RITORTE. Ripieghi, raggiri.
(744) NON LO CREDE ecc. Non farà senno, non si emenderà finchè non lo farò legnare. Legnaia è borgo vicino a Firenze.
(745) LALDOTTI. Laudotti, brevi lalde, laudi.
(746) SUPIR. Su questa parola, stanno zitti e commentatori; zitto il vocabolario; e starò zitto anch'io per non saper che dire.
(747) SPORTI. Sporga, esca.
(748) ACCIÒ ecc. Suppone che la Parca, dopo aver finito di filare la vita di Baldone, faccia del filo quel che tutte le filatrici fanno, che lo avvolgono dal fuso all'aspo per farne la matassa. Lo stoppare che segue allude all'uso di zaffare i morti onde non mandino esalazioni, finchè sono sopra terra. L'ottava è in bisticcio: e prima del Lippi ne aveva scritta una simile, ma forse meno spontanea, Luigi Pulci nel suo Morgante, XXIII, 47.
(749) GRATTATICCIO. Grattatura, lieve gastigo.
(750) BRAVATE. Riprensioni.
(751) PECCIATE. Percosse nella peccia o pancia
(752) GIORNEA. Era sopravveste de' soldati. Ma si prende ora per Toga, veste curiale, Lucco.
(753) FATTO ALLA MACCHIA. Mal fatto.
(754) BACCHIO. Bastone.
(755) NON SARÀ IN GRAMATICA. Non sarà difficile, non sarà cosa che richieda studio, come la grammatica latina.
(756) LESTO. Avvertito.
(757) COL CALZAR DEL PIOMBO. Con tutta circospezione.
(758) LE FAVE ecc. servivano per rendere il voto.
(759) TAVOLACCINI. Donzelli del magistrato; da Tavolaccio, sorta di targa di legno che portavano per difesa.
(760) PEL NUMERO. Prendete le fave in mano e non nel bossolo, affinchè alcuno non ne metta più d'una, e così alteri il numero dei votanti.
(761) RENDERE I PARTITI. Dare i voti.
(762) DA VINCERSI ecc. Affinchè la proposta sia approvata, dice esser necessario che i due terzi dei voti raccolti sian neri.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 

In morte della sua Donna

In morte della sua Donna

La dolce vista e 'l bel guardo soave
de' più begli occhi che si vider mai,
ch'io ho perduto, mi fa parer grave
la vita sì ch'io vo traendo guai;
e 'n vece di pensier leggiadri e gai
ch'aver solea d'amore,
porto desii nel core
che nati son di morte,
per la partita che mi duol sì forte.

Ohimè! deh perchè, Amor, al primo passo
non mi feristi sì ch'io fussi morto?
Perchè non dipartisti da me, lasso!,
lo spirito angoscioso ched io porto?
Amor, al mio dolor non è conforto,
anzi, quanto più guardo,
al sospirar più ardo,
trovandomi partuto
da' quei begli occhi ov'io t'ho già veduto.

Io t'ho veduto in quei begli occhi, Amore,
tal che la rimembranza me n'ancide,
e fa sì grande schiera di dolore
dentro alla mente, che l'anima stride
sol perchè morte mai non la divide
da me, come diviso
mi trovo dal bel viso
e d'ogni stato allegro
pel gran contrario eh 'è tra 'l bianco e 'l negro.

Quando per gentil atto di salute
vèr bella donna levo gli occhi alquanto,
si tutta si disvia la mia virtute,
che dentro ritener non posso 'l pianto,
membrando di madonna, a cui son tanto
lontan di veder lei.
O dolenti occhi miei,
non morite di doglia?
sì, per vostro voler, pur che Amor voglia.

Amor, la mia ventura è troppo cruda,
e ciò che 'ncontran gli occhi più m'attrista:
dunque, mercè! che la tua man li chiuda,
da c'ho perduto l'amorosa vista;
e quando vita per morte s'acquista,
gli è gioioso il morire:
tu sai dove de' gire
lo spirto mio da poi,
e sai quanta pietà s'arà di noi.

Amor, ad esser micidial pietoso
t'invita il mio tormento:
secondo il mio talento
dammi di morte gioia,
sì che lo spirto al men torni a Pistoia.

Cino da Pistoia
Da: Antologia della Lirica Italiana a cura di Angelo Ottolini. Milano Casa Editrice R. Caddeo & C., 1923, pagina 30

Bibliografia su Cino da Pistoia (1270-1336):
Ediz.: E. Bindi e P. Fanfani,
Le rime di C. d. P.., Pistoia, Niccolai, 1878.
G. Carducci. Rime di m. C. da P., Firenze, Barbera, 1862.
L. Chiappelli, Vita e op. giuridiche di C. d. P., Pistoia, 1881.
U. Nottola, Studi sul Canzoniere di C. da P., Milano, Ramperti 1893.

 
 
 

De claris mulieribus 001

Post n°1787 pubblicato il 26 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

De claris mulieribus

Capitolo I.
d’Eva.

Dovendo io scrivere per che virtù sono conosciute le famose donne, non parrà cosa indegna di pigliare lo cominciamento da chi fu madre di tutti gli uomini, Eva. La quale fu, senza dubbio, la prima madre, e fu gloriosa di magnifiche virtudi; perchè ella non fu prodotta in questa faticosa valle di miserie, nella quale tutti noi altri uomini nasciamo a fatica, nè fu fabbricata con quello martello, nè con quella incudine che sono le altre in questa vita, nella quale ella non venne debole piangendo lo peccato di sua natura, come vengono gli altri. Ma avendo l’ottimo Fattore di tutte le cose formato Adamo colla propria mano del fango della terra, la qual cosa non avvenne d’alcun altro poi, e avendolo posto nel Giardino dei diletti, il quale fu chiamato poi Campo Damasceno, e avendo fatto addormentare quello d’un piacevole sonno; per artificio conosciuto da lui solamente trasse quella dal fianco di quello dormente compiuta, ed era di compagnia di marito, allegra per la vista del dilettevole luogo, e fecela immortale donna di tutte le cose a compagnia dell’uomo, che già era desto, e da quello eziandio fu chiamata Eva. E che maggior cosa, o più gloriosa potè mai avvenire ad alcuno in sua natività? Ancora possiamo pensare quella maravigliosa per la bellezza del corpo; perchè non è fatta niuna cosa per la mano di Dio, che non avanzi l’altre in bellezza. E benchè questa bellezza perisca per la vecchiezza, e ancora ella caggia per piccola mutazione d’infermitade col mezzo del fiore di nostra etade; nondimeno perchè le donne la noverano tra le loro virtudi, perchè ne hanno gran nominanza, indiscretamente per lo giudizio degli uomini, non ho posto questa d’avanzo tra le cose che fanno famose quelle, procedendo la prova in questo libro. E sopra queste cose quella che fu fatta del Paradiso reina per ragione di sua creazione e di sua abitazione, fu vestita di uno splendore non conosciuto da noi, infino a che ella volentieri usasse col suo marito i diletti di quel luogo. Ma lo nimico, invidioso di sua felicità, era maligno conforto le mise nell’animo che ella poteva arrivare a maggior gloria, se ella facesse contro una legge sola, che l’era imposta da Dio. Al quale per una leggerezza di femmina credendo, più che non abbisognava a lei ed a noi, e pensando mattamente montare a più alte cose, innanzi che facesse altro, con lusinghevole conforto trasse a sua volontà lo debole marito. E facendo contro alla legge con presuntuoso ardire, mangiato del pomo dell’albero, per lo quale si conosce lo bene e lo male, condussero sè e tutta sua schiatta per lo tempo che dovea seguire, di dilettevole patria d’eterno riposo in inansiosa fatica, e miseria, e morte, tra gli spini, e le zolle, e le pietre. E già essendo fuggita la splendida luce, della quale egli erano vestiti, furono ripresi dal loro turbato Creatore, e, vestiti di foglie d’alberi, dal luogo dei diletti vennero bandeggiati nei campi di Ebron. In quel luogo la nobile donna, e famosa per le predette cose, secondo che è creduto da molti, trovò filare alla rocca. E avendo più volte provato il dolore del parto, e quelli i quali tormentano l’animo colla morte dei figliuoli e dei nipoti, non dico il freddo, il caldo, e altre cose, stanca delle fatiche arrivò alla vecchiezza innanzi che ella morisse.

Giovanni Boccaccio

VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO DA CASENTINO
DELL’OPERA INTITOLATA
DE CLARIS MULIERIBUS DI M. BOCCACCIO
PROLOGO
Incomincia il Libro delle famose Donne, compilato per lo illustrissimo uomo M. Boccaccio, poeta fiorentino, a petizione della famosissima reina Giovanna di Puglia, traslatato di latino in volgare da M.° Donato da Casentino.

 
 
 

Vita Nova Indice

Post n°1786 pubblicato il 26 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

Vita Nova
di
Dante Alighieri

Vita Nova 1-10
Vita Nova 11-15
Vita Nova 16-20
Vita Nova 21-24
Vita Nova 25-30
Vita Nova 31-35
Vita Nova 36-42

 
 
 

La notte dell’Asscenzione

La notte dell’Asscenzione
(Sonetto numero 961)

Domani è ll’asscenzione: ebbè, sta notte
Nostro Siggnore pe bbontà ddivina
se ne ssceggne1 dar celo a la sordina,
mentre che ll’univerzo o ddorme, o ffotte;

e vva ppe ttutte le maése (2) rotte,
discenno (3) ar grano: «Alò, ppassa e ccammina: (4)
l’acqua diventi latte, eppoi farina, (5)
pe ddiventà ppoi pasta, e ppoi paggnotte».

Ecco a li bbagarozzi la raggione
che jj’accennémo (6) addosso li scerini,
cantanno er curri curri bbagarone. (7)

Ecco perché sse mette li lumini
a le finestre de le ggente bbone: (8)
perché Ccristo nun batti a li cammini.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 15 maggio 1833
Sonetto 961

Note:
1 Scende.
2 Maggesi.
3 Dicendo.
4 Frase de’ giuocolari nel far passare una o più palle dall’uno all’altro de’ lor bossoletti.
5 Veramente crede il popolo che nella notte precedente all’Ascensione discenda appositamente Gesù Cristo a cambiare in latte l’umore acquoso delle spiche.
6 Accendiamo.
7 La sera della vigilia si attaccano de’ sottili e cortissimi moccoletti sul dorso di grossi scarabei domestici, e cantasi loro con una monotona nenia: Corri, corri, bagaróne, ché domani è l’Ascensione: e i poveri animaluzzi, sentendosi bruciare in questo auto da-fé, corrono.
8 Le pie famiglie espongono un lampadario fuori de’ balconi, per illuminare la discesa del Redentore, al grande atto della trasformazione de’ frumenti.

 
 
 

Il Malmantile racquistato 06-2

Post n°1784 pubblicato il 26 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

SESTO CANTARE

37
Perocchè tutti quanti quei demòni,
Per vederla n'uscian di quelle grotte,
Ronzando com'un branco di moscioni,
Che s'aggirin d'attorno a una botte;
Saltellan per le strade e su' balconi,
Com'al piover d'agosto fan le botte:
E fan, vedendo sue sembianze belle,
«voci alte, e fioche, e suon di man con elle».

38
Così fra quel diabolico rombazzo
La strega se ne va collo stregone;
Sicch'alla fine arrivano al palazzo,
Là dove s'abboccaron con Plutone.
Ma perchè tra di loro entrò nel mazzo
Scioccamente il Mandragora buffone (653),
Che in quel colloquio fe sì gran frastuono,
Che finalmente ognuno uscì di tuono,

39
Perciò passano in casa, e colà drento
Tirato colla strega il re da banda,
Le dà la benvenuta, e poi, che vento
L'ha spinta in quelle parti le domanda.
Ella, per conseguir ogni suo intento,
Gli dice il tutto, e se gli raccomanda
Ch'ei voglia a Malmantil, ch'omai traballa,
Far grazia anch'ei di dare un po' di spalla.

40
Sta' pur, dic'ei, coll'animo posato,
Ch'a servirti mo mo vo' dar di piglio.
Io già, come tu sai, aveo imprunato (654);
Ma il tutto è andato poi in iscompiglio.
Orsù, fra poco adunerò il senato,
E sopra questo si farà consiglio;
Acciò batta Baldon la ritirata,
E tu resti contenta e consolata.

41
Io ti ringrazio sì, ma non mi placo,
Perciò, gli rispond'ella, di maniera,
Ch'io non voglia pigliar la spada (655) e 'l giaco,
Chè in bugnola (656) son più di quel ch'io m'era.
Così con quei due spirti avendo il baco (657),
Soggiunge, perch'a lor vuol far la pera (658),
Io l'ho con quei briccon, furfanti indegni,
C'hanno sturbato tutt'i miei disegni.

42
Dico di Gambastorta, il tuo vassallo,
E di quel pallerin di Baconero,
Che fa nel giuoco con due palle fallo,
Scambiando il color bianco per lo nero:
Error, che nol farebbe anch'un cavallo.
Ma e' vien ch'egli strapazzano il mestiero;
Che s'egli andasse un po' la frusta in volta,
Imparerebbon per un'altra volta.

43
Risponde il re: facciam quanto ti piace;
Ma ti verranno a chieder perdonanza,
Sicchè tu puoi con essi far la pace;
Però t'acquieta, e vanne alla tua stanza.
Non penso di restar già contumace (659),
S'io non ti servo, perch'io fo a fidanza.
Dunque ti lascio, e sono al tuo piacere,
Fatti servir da questo cavaliere.

44
Nepo la mena allora alle sue stanze,
Che i paramenti avean di cuoi umani
Ricamati di fignoli e di stianze,
E sapevan di via de' Pelacani (660):
Ove gli orsi, facendo alcune danze,
Dan la vivanda e da lavar le mani:
Volati al cibo alfin, come gli astori,
Sembrano a solo a sol due toccatori (661).

45
Fiorita è la tovaglia e le salviette
Di verdi pugnitopi (662) e di stoppioni,
Saldate (663) con la pece, e in piega strette
Infra le chiappe state de' demòni.
Nepo frattanto a macinar si mette,
E cheto cheto fa di gran bocconi,
Osservando (664) Caton, ch'intese il giuoco,
Quando disse: in convito parla poco.

46
Fa Martinazza un bel menar di mani;
Ma più che il ventre, gli occhi al fin si pasce;
E quel pro fàlle, che fa l'erba a' cani,
Chè il pan le buca e sloga le ganasce;
Perchè reste vi son come trapàni,
Nè manco se ne può levar(665) coll'asce;
Crudo è il carnaggio, e sì tirante e duro,
Che non viene a puntare i piedi al muro.

47
Talchè s'a casa altrui suol far lo spiano (666)
E caseo barca (667) e pan Bartolommeo,
Freme, chè lì non può staccarne brano;
Pur si rallegra al giunger d'un cibreo,
Fatto d'interïora di magnano,
E di ventrigli e strigoli (668) d'Ebreo;
E quivi s'empie infino al gorgozzule,
E poi si volta e dice: acqua alle mule (669).

48.
Prezïosi liquori ecco ne sono
Portati ciascheduno in sua guastada,
Essendovi acqua forte, e inchiostro buono,
Di quel proprio ch'adopera lo Spada (670).
Ella, che quivi star voleva in tuono,
E non cambiar, partendosi, la strada,
Perchè i gran vini al cerebro le danno,
Ben ben l'annacqua con agresto e ranno.

49.
E fatte due tirate da Tedesco,
La tazza butta via subito in terra,
Perocch'ell'è di morto un teschio fresco,
Che suona (671), e tre dì fa n'andò sotterra.
Nepo, che mai alzò viso da desco,
Che intorno ai buon boccon tirato ha a terra (672),
Anch'egli al fine, dato a tutto il guasto,
«La bocca sollevò dal fiero pasto.»

50
Lasciati i bicchier voti e i piatti scemi,
Vanno al giardino pieno di semente
Di berline, di mitere e di remi
E di strumenti da castrar la gente.
Risiede in mezzo il paretaio del Nemi (673)
D'un pergolato, il quale a ogni corrente (674)
Sostien, con quattro braccia di cavezza,
Penzoloni, che sono una bellezza.

51.
Spargon le rame in varia architettura
Scheretri bianchi, e rosse anatomie (675);
Gli aborti, i mostri e i gobbi in sulle mura
Forman spalliere in luogo di lumie (676);
D'ugna, di denti e simile ossatura
Inseliciate son tutte le vie;
'N un bel sepolcro a nicchia il fonte butta
Del continuo morchia e colla strutta.

52.
Le statue sono abbrustolite e scure
Mummie, dal mar venute della rena (677);
Che intorno intorno in varie positure
In quei tramezzi fan leggiadra scena.
Su' dadi (678) i torsi, nobili sculture,
(Perché in rovina il tutto il tempo mena)
Ristaurati sono, e risarciti
Da vere e fresche teste di banditi.

53.
In terra sono i quadri (679) di cipolle,
Ove spuntano i fior fra foglie e natiche;
Sonvi i ciccioni, i fignoli e le bolle
Le posteme, la tigna e le volatiche;
V'è il mal francese entrante alle midolle,
Ch'è seminato dalle male pratiche:
I cancheri, le rabbie e gli altri mali,
Che vi mandano (680) gli osti e i vetturali.

54.
Pesche in su gli occhi sonvi azzurre e gialle;
Gli sfregi (681), fior per chi gli porta pari;
I marchi, che fiorir debbon le spalle
Al tagliaborse e ladri ancor scolari;
Le piaghe a masse, i peterecci (682) a balle;
Spine ventose, e gonghe (683) in più filari;
V'è il fior di rosolía, e più rosoni
D'ortefica, vaiuolo e pedignoni.

55.
Si maraviglia, si stupisce e spanta (684)
Martinazza in veder sì vaghi fiori;
E rimirando or questa or quella pianta,
Non sol pasce la vista in quei colori,
Ma confortar si sente tutta quanta
Alla fragranza di sì grati odori.
E di non côrne non può far di meno
Un bel mazzetto, che le adorni il seno.

56.
Alla ragnaia (685) al fin si son condotti,
Di stili da toccar la margherita;
Ove de' tordi cala e de' merlotti
Alla ritrosa (686) quantità infinita,
Che son poi da Biagin(687) pelati e cotti,
Sgozzando de'più frolli una partita;
Altra ne squarta; e quella ch'è più fresca,
Nello stidione infilza (688) alla turchesca.

57.
Veduto il tutto, Nepo la conduce
Al bagno, ov'ogni schiavo e galeotto
Opra qualcosa: un fa le calze, un cuce;
Altri vende acquavite, altri il biscotto;
Chi per la pizzicata (689), che produce
Il luogo fa tragedie (690) in sul cappotto;
Un mangia, un soffia (691) nella vetriuola;
Un trema in sentir dir: fuor camiciuola (692).

58.
Vanno più innanzi a' gridi ed a' romori
Che fanno i rei legati alla catena,
Ove a ciascun, secondo i suoi errori
Dato è il gastigo e la dovuta pena.
A' primi, che son due proccuratori,
Cavar si vede il sangue d'ogni vena;
E questo lor avvien, perchè ambidui
Furon mignatte delle borse altrui.

59.
Si vede un nudo, che si vaglia (693) e duole,
Perocchè molta gente egli ha alle spalle,
Come sarebbe a dir tonchi e tignuole,
Punteruoli, moscion, tarli e farfalle;
Talchè pe' morsi egli è tutto cocciuole,
E addosso ha sbrani e buche come valle;
Ed è poi fiagellato per ristoro
Con un zimbello (694) pien di scudi d'oro.

60.
Quei, dice Nepo, è il re degli usurai,
Che pel guadagno scorticò il pidocchio (695)
Un servizio ad alcun non fece mai,
Se non col pegno, e dandoli lo scrocchio (696);
Il gran se gli marcì dentro a' granai,
Chè nol vendea, se non valea un occhio;
Così fece del vino, ed or per questo
Gl'intarla il dosso e da' suoi soldi (697) è pesto.

61.
Un altro ad un balcon balla e corvetta,
Chè un diavol colla sferza a cento corde,
Che un grand'occhio di bue ciascuna ha in vetta,
Prima gli dà cento picchiate sorde;
Con una spinta a basso poi lo getta
In cert'acque bituminose e lorde,
Che n'esce poi, ch'io ne disgrado gli orci (698)
O peggio d'un norcin, mula (699) de' porci.

62.
Dice la maga: questa è un po'ariosa,
Quand'ella vedde simìl precipizio;
Costui ha fatto qualche mala cosa;
Pur non so nulla, e non vo' far giudizio.
Domanda a Nepo, fattane curiosa,
Tal pena a chi si debba, ed a qual vizio.
Ed ei, che per servirla è quivi apposta,
Prontamente così le dà risposta:

63.
Quei fu zerbino, e d'amoroso dardo
Mostrando il cuor ferito e manomesso;
Credeva il mio fantoccío con un sguardo
Di sbriciolar tutto il femmineo sesso;
Ma dell'occhiate (700) sue ben più gagliardo
Or sentene il riverbero e il riflesso;
E com'e' già pensò far alle dame (701),
Dalla finestra è tratto in quel litame.

64.
Si vede un ch'è legato, e che gli è posto
In capo un berrettin basso a tagliere;
E il diavol, colpo colpo da discosto
Con la balestra gliene fa cadere.
Il misero sta quivi immoto e tosto,
Battendo gli occhi a' colpi dell'arciere;
Che s'e' si muove punto o china o rizza,
Per tutto v'è un cultello che l'infizza.

65.
Qui Nepo scopre la di lui magagna,
Mostrando ch'e' fu nobile e ben nato,
E sempre ebbe il pedante alle calcagna;
Contuttociò voll'esser mal creato,
Perchè, se e' fosse stato il re di Spagna,
Il cappello a nessun mai s'è cavato:
Però, s'e' fu villano, ora il maestro
Gl'insegna le creanze col balestro.

66.
In oggi questa par comune usanza,
Martinazza risponde al Galatrona;
Stanno i fanciulli un po' con osservanza,
Mentre il maestro o il padre gli bastona.
Se e' saltan la granata (702), addio creanza;
Par ch'e' sien nati (703) nella Falterona;
Ma per la loro asinità superba,
Son poi fuggiti più che la mal'erba.

67.
Ma chi è quel c'ha i denti di cignale,
E lingua cosi lunga e mostruosa?
Si vede che son fuor del naturale;
A me paion radici, o simil cosa.
Nepo rispose: quello è un sensale,
Che si chiamò il Parola; ma la glosa
Uom di fandonie dice e di bugie,
Perchè in esse fondò le senserie.

68.
Ora, per queste sue finzioni eterne
Ch'egli ebbe sempre nella mercatura,
Lucciole dando a creder per lanterne,
Sbarbata gli han la lingua e dentatura
Ma in bocca avendo poi di gran caverne,
Perchè non datur vacuum in natura,
Gli hanno a misterio (704) in quelle stanze vote
Composto denti e lingua di carote.

69.
Quell'altro ch'all'ingiù volta ha la faccia,
E un diavol legnaiuolo in sul groppone
Gli ascia il legname sega ed impiallaccia,
Facendolo servir per suo pancone;
Un di coloro fu, ch'alla pancaccia (705)
Taglian(706) le legne addosso alle persone:
Sicchè del non tener la lingua in briglia
Così si sente render la pariglia.

70.
Vedi colui ch'al collo ha un orinale,
Cieco, rattratto, lacero e piagato?
Ei fu governator d'uno spedale,
Ov'ei non volle mai pur un malato.
Ora, per pena, ogni dolore e male
Che gl'infermi v'avrebbono portato,
Mentr'alla barba lor pappò sì bene,
Sopr'al suo corpo tutto quanto viene

71.
Chi è costui ch'abbiamo a dirimpetto,
Dice la donna, a cui quegli animali
Sbarban colle tanaglie il cuor del petto?
Nepo risponde: questo è un di quei tali
Che non ne pagò mai un maladetto (707).
Tenne gran posto, fe spese bestiali;
Ma poi per soddisfare ei non avría
Voluto men trovargli per la via (708).

72.
Colui, c'ha il viso pesto e il capo rotto
Da quei due spirti in feminili spoglie,
Uom vile fu, ma biscaiuolo e ghiotto,
Che si volle cavar tutte le voglie;
Ogni sera tornava a casa cotto
E dava col baston cena alla moglie.
Or, finti quella stessa (709), quei demoni
Sopra di lui fan trionfar bastoni (710).

73.
Riserra il muro, che c'è qui davanti,
Donne, che feron già, per ambizione
D'apparir gioiellate e luccicanti,
Dar il cul al marito in sul lastrone (711);
Or le superbe pietre e i diamanti
Alla lor libertà fanno il mattone (712),
Perocchè tanto grandi e tanti furo,
C'han fatto per lor carcere quel muro.

Note:
(653) IL MANDRAGORA fu un buffone di corte.
(654) IMPRUNATO. Circondato di pruni per salvare il ricolto dai ladri. Qui, avevo messo in opera ogni cautela.
(655) TROVAR LA SPADA ecc. Armarmi a vendetta.
(656) IN BUGNOLA. In valigia, in collera.
(657) IL BACO. Ira.
(658) FAR LA PERA. Far la spia, arrecare altrui grave danno, maturare l'altrui rovina.
(659) RESTAR CONTUMACE. Qui, commetter mancamento.
(660) VIA DE' PELACANI si dice in Firenze quella dove son le conce delle pelli, nella quale è sempre un puzzo orrendo. (Minucci).
(661) DUE TOCCATORI. Vedi c. II, 60. Eran sempre due e sempre soli, perchè i cittadini non ne volevan la compagnia, e co' birri non s'accompagnavano essi, tenendosi da più di loro.
(662) PUGNITOPI ecc. Virgulti a foglie spinose.
(663) SALDATE. Data lor la salda.
(664) OSSERVANDO la regola di Catone, che la seppe lunga, quando ecc.
(665) LEVAR. Spiccarne un pezzo, tagliarlo.
(666) FAR LO SPIANO. Spianar la mensa dalle protuberanze delle vivande; divorar tutto.
(667) CASEO BARCA. Precetto de' ghiotti che si traduce: Midolla di caccio e corteccia di pane.
(668) STRIGOLI. Rete grassa che sta appiccata alle budella degli animali.
(669) ACQUA ALLE MULE. Da bere. Detto volgare.
(670) LO SPADA. Valerio Spada, eccellente calligrafo e disegnatore, coetano del poeta.
(671) SUONA. Si adopera il verbo sonare per dir copertamente Putire; ma è modo basso.
(672) TIRATO A TERRA. Atterrato, dato lo spiano, il guasto.
(673) In mezzo d'un pergolato risiede il cosi detto PARETAIO DEL NEMI; le forche, così dette, perchè situato in un campo che appartenne alla famiglia Nemi.
(674) CORRENTE. Travicello.
(675) Scheletri bianchi e corpi preparati per l'anatomia (anatomie) spargono i loro rami in diverse maniere.
(676) LUMIA è specie, ma qui è posto pel genere degli agrumi.
(677) MAR DELLA RENA. I sabbioni d' Egitto.
(678) DADI. Zoccoli delle colonne.
(679) I QUADRI. Le aiuole.
(680) MANDANO. Imprecano.
(681) GLI SFREGI Che son fiori, cioè, son segni che stanno bene, in sul viso di chi PORTA PARI i polli, di chi fa il ruffiano.
(682) PETERECCI. Paterecci, panerecci.
(683) GONGHE. Glandule.
(684) SI SPANTA. Si meraviglia estremamente.
(685) RAGNAIA. Macchia folta in cui si pone la ragna ai tordi, tendendola su due stili o pertiche. Qui intende la Corda; e Toccar la margherila vale subir la tortura della corda.
(686) RITROSA. Gabbia da uccellare; qui, carcere
(687) BIAGINO fu il predecessore di maestro Bastiano; Vedi c. V, 44.
(688) INFILZA ecc. Impala.
(689) PIZZICATA. Specie di confezione minutissima. Qui, pidocchi.
(690) FA TRAGEDIE. Fa strage.
(691) SOFFIA ecc. cioè beve; perchè bevendo si soffia col naso nel vetro che contiene il liquido. Vetriola, è un'erba contenente un sale a base di soda, di cui si servono per fare il vetro.
(692) FUOR CAMICIUOLA. Così diceva l'aguzzino al galeotto che doveva aver le bastonate.
(693) SI VAGLIA. Si dimena.
(694) ZIMBELLO. Sacchetto. Vedi c. I, 59.
(695) SCORTICÒ IL PIDOCCHIO, per venderne la pelle.
(696) SCROCCHIO. La merce che dà l'usuraio invece di danaro.
(697) I SUOI SOLDI. Quel sacchetto pien di scudi d'oro.
(698) Orci da olio, che son sempre sudici.
(699) MULA, perché porta sulle spalle quegli animali morti.
(700) MA DELLE OCCHIATE ecc. Vedi st 61 v. 3.
(701) PENSÒ che le dame si dovessero gettare dalla finestra per lui.
(702) SALTAR LA GRANATA. Uscir di tutela o di custodia. Dicevasi che questa cerimonia del saltar la granata praticavasi co' birri novizi dopo che erano stati bene istruiti.
(703) PAR CH'E' SIAN NATI ecc. Cioè inculti e rozzi, essendo la Falterona regione montuosa del Casentino, dove poche creanze possono impararsi.
(704) A MISTERIO qui pare che valga a segno di gastigo.
(705) ALLA PANCACCIA Vedi c. II, 73
(706) TAGLIAN ecc. Dicon male di ecc.
(707) UN MALEDETTO. Nemmeno un quattrino.
(708) NON AVRÍA voluto pagare, nemmen se avesse trovato i danari per la via.
(709) FINTI QUELLA STESSA. Aventi la figura della moglie.
(710) TRIONFAR BASTONI, si dice in un certo giuoco di minchiate, qui vale bastonare solennemente.
(711) SUL LASTRONE. Era una pietra in Mercato Nuovo, detta il Carroccio, su cui si faceva tre volte battere il sedere a' falliti.
(712) FANNO IL MATTONE. Fanno da mattoni nelle pareti del loro carcere.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 

La bellezza morale di Beatrice

La bellezza morale di Beatrice

Vede perfettamente onne salute
chi la mia donna tra le donne vede:
quelle che vanno con lei sono tenute
di bella grazia a Dio render merzede.

E sua bieltate è di tanta vertute,
che nulla invidia a l'altra ne procede,
anzi le face andar seco vestute
di gentilezza d'amore e di fede.

La vista sua fa onne cosa umile,
e non fa sola sé parer piacente,
ma ciascuna per lei riceve onore.

Ed è ne li atti suoi tanto gentile,
che nessun la si può recare a mente,
che non sospiri in dolcezza d'amore.

Dante Alighieri
Da: Antologia della Lirica Italiana a cura di Angelo Ottolini. Milano Casa Editrice R. Caddeo & C., 1923, pagina 27, 28, 29

Bibliografia su Dante Alighieri (1265-1321): Scrisse in italiano: La Divina Commedia, poema in 100 canti in terza rima; La Vita Nuova; il Convito; il Canzoniere; in latino il De vulgari eloquentia, il De monarchia, le Epistolae.
Ediz.: Le opere di Dante, Bemporad, Firenze, 1921.
La D. C, illustrata a cura di C. Ricci, Milano, Hoepli, 1921.
La D. C, curata da T. Casini, Firenze, Sansoni.
La D. C, curata da F. Torraca, Milano, Albrighi-Segati
La D. C. con commento di G. A. Scartazzini, Milano, Hoepli.
La D. C, commentata da C Steiner, Torino Paravia, 1921.
La Vita Nuova e il Canzoniere per cura di M. SCHERILLO, Milano, Hoepli, 1921.
De Monarchia, ediz. G. L. Passerini, Firenze, 1912.
Le lettere, a cura di A. Monti, Maiano, Hoepli, 1921.
Sul poeta cfr.: G. L. Passerini, Milano, Caddeo, 1921.
A. Pompeati, Firenze, Battistelli, 1921.
V. TURRi, Firenze, Barbera, 1921.
E. Flori, Della vita e dell'opera di Dante-, Firenze, Le Monnier, 1921.
T. Gallarati-SCOTTI, Vita di Dante, Milano, Istituto italiano per il libro del popolo, 1921.
E. Janni, In piccioletta barca, Milano, Casa editrice Alpes, 1921.
I. Del Lungo, / Bianchi e i Neri, Milano, Hoepli, 1921.
C. Ricci, L'ultimo rifugio di Dante, Milano, Hoepli, 1921.
E. Flori, Dell'idea imperiale di Dante, Bologna, Zanichelli, 1921.
A. Bertoldi, Nostra maggior musa, Firenze, Sansoni, 1921.
Supplemento del Gior. Stor. della Lett. ital., 1921.

 
 
 

Il Malmantile racquistato 06-1

Post n°1782 pubblicato il 24 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

SESTO CANTARE

Argomento

Nel tenebroso centro della terra,
Ove regna Plutone, entra la strega:
E vuol, che seco, per finir la guerra
Di Malmantile, entri l'Inferno in lega:
Fanno concilio i mostri di sotterra,
Ove ciascun buone ragioni allega:
Certa al fin le promette l'assistenza:
Rend'ella grazie, e fa di lì partenza.

1
Miser chi mal oprando si confida
Far alla peggio, e ch'ella ben gli vada;
Perchè chi piglia il vizio per sua guida,
Va contrappelo alla diritta strada;
E benchè qualche tempo ei sguazzi e rida
Col vento in poppa in quel che più gli aggrada,
E' vien poi l'ora ch'ei n'ha a render conto,
E far del tutto (606), dondola, ch'io sconto.

2
Di chi credi, lettor, tu qui ch'io tratti?
Tratto di Martinazza, iniqua strega,
C'ha più peccati che non è de' fatti (607),
E pel demonio ogni ben far rinnega.
Di darsi a lui già seco ha fatto i patti,
Acciò ne' suoi bagordi la protega;
Ma state pur, perchè tardi o per tempo
Lo sconterà: da ultimo è buon tempo (608).

3
Non si pensi d'averne a uscir netta:
S'intrighi pur col diavol, ch'io le dico,
Se forse aver da lui gran cose aspetta,
Che nulla dar le può; ch'egli è mendico:
E quand'ei possa, non se lo prometta;
Perch'ei, che sempre fu nostro nimico,
Nè può di ben verun vederci ricchi,
Una fune daralle che l'impicchi.

4
Orsù tiriamo innanzi, ch'io ho finito,
Perch'a questi discorsi le persone
Non mi dicesser: questo scimunito
Vuol farci qualche predica o sermone.
Attenti dunque. Già v'avete udito
L'incanto, ch'ella fece a petizione
Di quei del luogo, ch'ebbero concetto
Scacciarne il duca; ma svanì l'effetto.

5
Ella, ch'in tanto avuto avea sentore
Che quei due spirti sciocchi ed inesperti
Avean dinanzi a lui fatto l'errore,
Sicchè da esso furono scoperti,
Se la digruma (609), che ne va il suo onore,
Mentre gli accordi fatti ed i concerti
Riusciti alla fin tutte panzane (610),
Con un palmo di naso ne rimane.

6
Ma non si sbigottisce già per questo,
Chè vuol cansar quell'armi dalle mura.
A' diavoli, da' quali ebbe il suo resto (611),
E che gliel'hanno fatta di figura (612),
Vuol, dopo il far che rompano un capresto,
Squartare, e poi ridurre in limatura;
Perchè non fu mai can che la mordesse,
Che del suo pelo un tratto non volesse.

7
Basta, ch'ella se l'è legata al dito,
E l'ha presa co' denti, e se n'affanna;
Talch'andarsene in Dite ha stabilito,
Perchè ne vuol veder quanto la canna (613),
Ed oprar che Baldon resti chiarito (614)
Ch'ambisce in Malmantil sedere a scranna.
Or mentre a questa volta s'indirizzi,
Potrà fare un viaggio e due servizzi.

8
Giù da Mammone andar vuole in persona,
Chè più non è dover, ch'ella pretenda,
Che sua bravicornissima corona
Salga a suo conto a ogni poco, e scenda.
Chieder grazie e dar brighe non consuona,
E chi ha bisogno, si suol dir, s'arrenda;
Per questo a lei tocca a pigliar la strada,
Perch'alla fin convien che chi vuol vada.

9
Perciò s'acconcia, e va tutta pulita,
Col drappo in capo e col ventaglio in mano,
A cercar chi la 'nformi della gita;
Nè meglio sa, che Giulio Padovano (615),
Che l'ha su per le punte delle dita,
E più di Dante, e più del Mantovano (616);
Perch'eglino vi furon di passaggio,
E questo ogni tre dì vi fa un viaggio.

10
Onde a trovarlo andata via di vela,
Dimanda (perchè in Dite andar presume)
Che luoghi v'è, che gente e che loquela;
Ed ei di tutto le dà conto e lume.
E poi per abbondare in cautela,
Volendola servire insino al fiume,
Le porge un fardellin piccolo e poco
Di robe, che laggiù le faran giuoco.

11
Così la maga se ne va con esso,
Che l'introduce in una bella via,
Tutta fiorita sì, che al primo ingresso
Par proprio un paradiso, un'allegria;
Ma non più presto l'uomo il piè v'ha messo,
Ch'ella diventa un'altra mercanzia,
Per i gran morsi e le punture acerbe
Che fanno i serpi, ascosi tra quell'erbe.

12
Entravi Martinazza, e sente un tratto
Due e tre morsi a' piè, dove calpesta;
Perciò bestemmia, che non par suo fatto,
E dice: o Giulio mio, che cosa è questa?
Ed ei, ridendo allora come un matto:
Non è nulla, rispose, vien pur lesta,
Che pensi tu, ch'io sia privilegiato?
Anch'io mi sento mordere, e non fiato.

13
Questa è la via, che mena a Casa calda,
Perch'ella è allegra, o almeno ella ci pare;
Perchè a martello (617) poi non istà salda,
La scorre ognor gente di male affare:
Le serpi sono ogni opera ribalda,
Ch'ella (618) ci fa, le quali a lungo andare
Di quanto ha fatto, scavallato, e scorso
Ci fa sentire al cuor qualche rimorso.

14
Ma se ravvista (619) un tratto del suo fallo,
Bada a tirar innanzi alla balorda,
Perch'il vizio rifiglia e mette il tallo,
Vien sempre più a aggravarsi (620) in sulla corda.
Il male invecchia al fine e vi fa il callo;
Sicchè venga un serpente pure, e morda,
Ch'ella non sente nè meno un ribrezzo:
Così peggio che mai la dà pel mezzo (621).

15
Nella neve si fa lo stesso giuoco;
Chè l'uom sul primo diacciasi le dita,
Poi quel gran gelo par che manchi un pco,
E sempre più nell'agitar la vita;
Al fine ei si riscalda come un fuoco,
Sicchè non la farebbe mai finita;
Nè gli darebbe punto di spavento,
Quand'ei v'avesse ancora a dormir drento.

16
Or tu m'hai inteso: rasserena il volto;
Chè tu vedrai, tirando innanzi (622) il conto,
(Perchè di qui a poco non ci è molto)
Che delle serpi non farai più conto.
Ma dimmi, che ha' tu fatto del rinvolto?
L'ho qui, dic'ella, sempre lesto e pronto.
Sta ben, soggiunge Giulio, adunque corri,
Perchè qui non è tempo da por porri (623).

17
Resta, dic'ella, omai; ch'io ti ringrazio
Dell'instruzion, ch'appunto andrò seguendo;
Promissio boni viri est obligatio,
Dic'egli: t'ho promesso, e però intendo
Ancor seguirti questo po' di spazio;
E quivi con un tibi me commendo,
All'in qua ripigliando il mio cammino,
Ti lascio, com'io dissi, al colonnino (624).

18
Ed essa allora abbassa il capo, e tocca (625),
Sebben de' serpi ell'ha qualche paura;
Pur via zampetta, e fatto del cor ròcca,
Va calcando la strada alla sicura;
Sicch'ella non si sente aprir la bocca,
Perchè non è più morsa, o non lo cura.
Giunti alla fine al gran fiume infernale,
Restò la donna, ed ei le disse: Vale.

19
Questo è il famoso fiume d'Acheronte,
Ove s'imbarca ognun che quivi arriva.
S'affaccia anch'essa; ma il nocchier Caronte
Da poi che tratto ognuno ebbe da riva,
Sta' indietro (grida a lei con torva fronte),
Chè qua non passa mai anima viva;
Ond'ella, messi fuor certi baiocchi,
Gli getta un po' di polvere negli occhi.

20
Ed egli, che da essa ebbe il sapone
E che si trovò lì come il ranocchio
Preso dalla medesima al boccone,
Mentr'ella saltò in barca, chiuse l'occhio.
La strega fra quell'anime si pone:
Quai colle brache (626) son fino al ginocchio,
Dovendo a' soprassindaci di Dite
Presentar de' lor libri le partite.

21
Piangendo, come quando uno ha partito
Le cipolle fortissime malige,
Passan quel fiume, e poi quel di Cocito,
Ultimamente la palude Stige
Che a Dite inonda tutto il circuito
E in sè racchiude furbi e anime bige (627);
Ove Caronte al fin sendo arrivato,
Sbarcò tutti: ed ognun fu licenziato.

22
Ch'entrar dovendo in Dite, e salta e gira,
Che par quando mi barbera (628) la trottola;
Andar non vi vorrebbe e si ritira,
Grattandosi belando la collottola;
Pur finalmente forza ve lo tira,
Come fa (629) il peso al grillo una pallottola;
Così ne van quell'anime nefande,
Chi dal piccin(630) tirata, e chi dal grande.

23
Per la gran calca nel passar le porte
Convenne a ognuno andarne colla piena;
Ma la strega non ebbe tanta sorte,
Chè tienla il can che quivi sta in catena.
E perchè per tre bocche abbaia forte,
Ella dice: ti dia (631) la Maddalena.
E intanto trova il pane e in pezzi il taglia,
E in tre gole, ch'egli apre, gliene scaglia.

24
Il mostro, che mangiato avria Salerno (632),
Chè quanto a masticar quei ser(633) saccenti
Voglion (perch'egli è guardia dell'Inferno)
Tenerlo sobrio, acciò non s'addormenti;
Ond'è ridotto per il mal governo
Sì strutto, che e' tien l'anima co' denti;
Perch'egli è ossa e pelle, e così spento,
Ch'ei par proprio il ritratto dello stento.

25
Sicchè, quand'ei si sente il tozzo in bocca,
Perchè la fame quivi ne lo scanna,
L'ingozza, che nè manco non gli tocca
Nè di qua nè di là giù per la canna;
Ma subito gli venne il sonno in cocca (634),
Ond'ei s'allunga in terra a far la nanna;
Chè il papavero e il loglio, ch'è in quel pane,
Farìa dormir un orso, non ch'un cane.

26
Or mentre fa il sonnifero il suo corso,
La donna, che più là facea la scorta
(Perocchè avea timor di qualche morso),
Vedendo che la bestia come morta
Sdraiata dorme, e russa com'un orso,
Legno da botte (635) fa verso la porta;
E poi, bench'ella fosse alquanto stracca,
Dà una corsa, e in Dite anch'ella insacca.

27
Perchè d'alloro ha sotto alcune rame,
Vien fatta a' gabellier la marachella (636);
Tal ch'un di lor, ch'arrabbia dalla fame,
Fermate, dice, olà: che roba è quella?
Ti gratterai (637), dic'ella, nel forame,
Perch'io non ho qui roba da gabella,
Se non un po' d'allòr, ch'a Proserpina
Porto, perch'ella fa la gelatina.

28
S'ell'è, come voi dite, a questo modo,
Ei le risponde, andate pur, madonna;
Perch'altrimenti c'entrerebbe il frodo,
E voi stareste in gogna alla colonna.
Orsù correte pria che freddi il brodo,
Chè la regina poi sarebbe donna
Da farci per la stizza e pel rovello
Buttar a piè la forma del cappello (638).

29
La maga senza dir più da vantaggio,
Mentr'egli aspetta un po' di mancia e intuona,
Ripiglia prontamente il suo viaggio,
E incontra Nepo già da Galatrona (639),
Ch'avendo dato là di sè buon saggio,
In oggi è favorito e per la buona;
Perchè Breusse (640) in oltre a' premi e lode
L'ha di più fatto diavolo a due code.

30
Or che gli arriva all'improvviso addosso
Il venir della maga, ch'è il suo cuore,
Lui mago, pur tagliatole a suo dosso,
Le spedisce per suo trattenitore.
Mentr'il petardo col cannon più grosso
Sentesi fargli strepitoso onore,
Cavalier Nepo, com'io dissi dianzi,
Col riverirla se gli affaccia innanzi.

31
E perchè a Benevento essa di lui,
Com'ei di lei, avuto avea notizia,
Non prima si riveggon, ch'ambedui
Rifanno il parentado e l'amicizia.
Tra' diavoli poi van ne' regni bui;
E perchè Martinazza v'è novizia,
E non intende il gracidar ch'e' fanno,
L'interpetre fa egli e il torcimanno.

32
Per via l'informa e le dà molti avvisi
D'usanze e luoghi, e intanto di buon trotto
La guida a' fortunati campi Elisi,
Dove si mangia e beve a bertolotto (641);
E tra quei rosolacci e fioralisi
Si passa il tempo in far di quattro e d'otto (642):
Chi un balocco e chi un altro elegge,
Chè lì (643) non è un negozio per la legge.

33
Quivi si vede un prato, ch'è un'occhiata,
Pien di mucchietti d'un'allegra gente;
Che vada pure il mondo in carbonata,
Non si piglia un fastidio di nïente;
Ma, com'io dico, tutta spensierata
Ballonza, canta, e beve allegramente,
Come suol far la plebe agli Strozzini (644),
O sul prato del Pucci, o del Gerini.

34
Quivi si fa al pallone e alla pillotta (645):
Parte ne giuoca al sussi (646) e alle murelle (647):
Colle carte a primiera un'altra frotta
I confortini (648) giuoca e le ciambelle:
Altri fanno a civetta (649), altri alla lotta:
Chi dice indovinelli, e chi novelle:
Chi coglie fiori, e un altro un ramo a un faggio
Ha tagliato, e con esso canta maggio.

35
Più là un branco ha messo l'oste a sacco,
Sicchè tutti dal vin già mezzi brilli,
Mentre la gira (650), fan brindisi a Bacco:
Altri giuoca a te te (651) con paglie o spilli:
Altri piglia o dispensa del tabacco:
Altri piglia le mosche, un altro grilli:
E tutti quanti in quei trastulli immersi
Si tengono (652) il tenor, si vanno a' versi.

36
La donna resta lì trasecolata,
Vedendo quanto bene ognun si spassa;
E perchè Nepo l'ha di già informata,
Non ragiona di lor, ma guarda e passa.
Per tutta la città vien salutata,
E infin le stanghe e ogni forcon s'abbassa;
Ed ella, or qua or là voltando inchini,
Pare una banderuola da cammini.

Note:
(606) E FAR DEL TUTTO ecc. E scontarla. Dondola, ch' io sconto, disse un derubato vedendo penzolare il ladro dalla forca; cioè, sconto il debito che meco tu hai, col piacere di vederti costì dondolare.
(607) CHE NON È DE' FATTI. Più di quanti ne siano mai stati commessi.
(608) DA ULTIMO BUON TEMPO. Non sempre anderà a un modo. Post nubila Phœbus.
(609) LA DIGRUMA. Va fra sè ruminando, pensando.
(610) PANZANE. Bubbole, chiacchiere.
(611) EBBE IL SUO RESTO. Fu servita proprio a dovere e come meritava.
(612) DI FIGURA. Glien'hanno fatta una solenne; dal giuoco di primiera.
(613) QUANTO LA CANNA. Per quanto le duri fiato nella canna della gola
(614) CHIARITO. Vedi C. I, 1
(615) GIULIO PADOVANO compose quattro Capitoli in terza rima, nei quali narra un suo viaggio all'inferno.
(616) MANTOVANO. Virgilio.
(617) A MARTELLO ecc. Non regge alla prova. Non si mantiene poi sempre allegra.
(618) ELLA. La gente. Costruisci quel che segue così: Qualche rimorso di quel che la gente ha fatto ecc. ci fa sentire le quali serpi.
(619) RAVVISTA qui vale semplicemente: Avendo conosciuto.
(620) AGGRAVARSI ecc. Si fa maggior male, fisicamente, se mentre gli è dato il tratto, si lascia andare; moralmente, se dice cose che accrescano gl'indizi della imputazione.
(621) LE DÀ PEL MEZZO. Ci dà dentro a occhi chiusi e capo chino; tira innanzi senza riguardo alcuno.
(622) TIRANDO INNANZI ecc. Vedi c. IV, 60.
(623) POR PORRI. Quando si pongono i porri, sono così sottili, che richiedono molto tempo a porgli. (Minucci.)
(624) IL COLONNINO. Un termine supposto.
(625) TOCCA. Va; dal toccare i cavalli colla sferza per muoverli.
(626) QUAI CON LE BRACHE ecc. Alle quali anime, per la paura, eran cascate le brache fino al ginocchio.
(627) GENTI BIGE. Scellerate e da non se ne fidare. Chiamavansi bigi cioè di colore incerto, quelli che dalla fazione dei Palleschi (fautori dei Medici) passavano a quella dei Piagnoni (fautori di fra Girolamo Savonarola), o a quella degli Arrabbiati o Compagnacci (nernici del Savonarola).
(628) BÀRBERA (Cioè fa come un barbero alle mosse) la trottola, quando non gira unita e pari, ma a salti.
(629) COME FA. ecc. Come il peso tira una pallottola al grillo che è una piccola palla a cui debbonsi accostare le altre quanto è più possibile, per vincere al giuoco delle pallottole o piastrelle, o murelle.
(630) IL PICCINO, il grande e la catena sono tre contrappesi di piombo per via dei quali si fanno fare alle pallottole i giri voluti. Intende, peccati piccoli o grandi.
(631) TI DIA Ti sia data, t'incolga la Maddalena. Era la campana della torre del Bargello che sonava quando alcuno andava alle forche.
(632) SALERNO. Sassi.
(633) QUEI SER. I governatori dell'inferno.
(634) IN COCCA. In pronto; dalla corda dell' arco che è nella cocca, cioè pronta a lanciare.
(635) LEGNO DA BOTTE FA. S'accosta, come i legni o doglie delle botti fanno tra sè.
(636) MARACHELLA. Qui, spia.
(637) TI GRATTERAI ecc. Non toccherai il guadagno.
(638) LA FORMA DEL CAPPELLO. Vedi c. V, 48.
(639) NEPO DA GALATRONA fu uno stregone che visse nel 15° secolo.
(640) BREUSSE o Breus. Uno dei Cavalieri erranti della Tavola rotonda. Ma qui intende Plutone.
(641) A BERTOLOTTO. A usanza di Bertolotto, a scrocco.
(642) IN FAR DI QUATTRO ecc. In non far nulla.
(643) CHE LÌ ecc. La legge lì non ha da far nulla; non v'è legge.
(644) ALLI STROZZINI ecc. Villa della famiglia Strozzi; e così quelle che seguono, che son tutte poco lontano da Firenze.
(645) LA PILLOTTA. È una palla piena di vento, di una grossezza media fra il pallon grosso e la palla comune.
(646) IL SUSSI consiste nello scagliar delle pietre contro un matton ritto, sopra cui sono alcuni soldi, per farli cadere.
(647) LE MURELLE, o piastrelle, sono lo stesso giuoco che le pallottole o palline, ma si fa con sassi di forma piana.
(648) CONFORTINI. Chicche.
(649) CIVETTA. Vedi c. II 42.
(650) MENTRE LA GIRA. Mentre il bicchiere va attorno.
(651) A TE TE. Si fa questo giuoco con due spilli o pagliucole poste sopra un tavolino. Due bambini le vanno spingendo l'una contro l'altra, finchè s' accavallino. Quella che resta di sopra, vince
(652) SI TENGONO ecc. S'aiutano e s'accordano.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 

L'appressarsi di Madonna

L'appressarsi di Madonna

Chi è questa che ven, ch'ogn'uom la mira,
che fa tremar di claritate l'are,
e mena seco Amor, sì che parlare
omo non può, ma ciascun ne sospira?

Deh, che rassembla quando li occhi gira!
dical Amor, ch'i' nol porria contare:
cotanto d'umiltà donna mi pare
ch 'ogn 'altra veramente la chiamo ira.

Non si porria cantar la sua piacenza,
ch 'a lei s'inchina ogni gentil vertute
e la beltate per suo dio la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra,
e non si pose in noi tanta vertute
che propriamente n'abbiam conoscenza.

Guido Cavalcanti
Da: Antologia della Lirica Italiana a cura di Angelo Ottolini. Milano Casa Editrice R. Caddeo & C., 1923, pagina 26

Bibliografia su Guido Cavalcanti (1250-1300):
Ediz.: E. Rivalta, Le rime di G. C, Bologna, Zanichelli, 1902.
N. Arnone, Firenze, Sansoni, 1881.
P. Ercole, Livorno, Vigo, 1885.
I. Del Lungo, Dal sec. e dal poema di Dante, Bologna, 189S.
P. Savj-Lopez, Trovatori e poeti, Palermo, Sandron, 1906.

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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