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Costituente dei beni comuni. Tutti i movimenti hanno gli stessi avversari e gli stessi obiettivi, la fuoriuscita dal liberismo

Post n°4916 pubblicato il 06 Luglio 2011 da cile54

Acqua, una vittoria tutta da riscuotere «Andiamo avanti, senza fare sconti»

 

 «Non ci possiamo fermare e non possiamo fare sconti», avverte subito Stefano Rodotà, giurista e uno dei padri nobili dei referendum parlando davanti alle 5-600 persone giunte da tutta Italia a riempire il Teatro Vittoria di Testaccio dove, ridotto all’osso il tempo per la celebrazione, ci sarà spazio solo per capire insieme cosa è successo il 13 giugno e come si fa a rendere attuabili i referendum. Tra ieri e stamattina, i comitati promotori dei 2Sì rilanceranno la loro presenza sui territori e la campagna nazionale per l’acqua bene comune. Il romano Paolo Carsetti smentisce nell’introduzione la vulgata per cui il voto sarebbe stato solo una spallata di massa al governo: «Il 54% è andato a votare perché riteneva cruciali i temi - spiega - e, nella fascia 18-35 anni il quorum è schizzato al 64%». Cifre che spiegano l’impatto «scardinante» sulla politica che ha ottenuto un movimento che non ha potuto fare irruzione sul grande schermo, neppure dai sedicenti paladini della libertà di informazione, e che ha scelto di non scegliersi un leader. Quello che è successo «è un’azione collettiva contro le oligarchie e la personalizzazione della politica», dirà anche Rodotà mettendo altra carne al fuoco: «E’ la critica della politica contro l’antipolitica, è la politica costituzionale contro le manomissioni della costituzione, il costituzionalismo degli interessi materiali che vince l’astrattezza delle formule». Più voci si soffermano sul rischio rischio di «fughe in avanti» da parte di quei poteri forti che non volevano i referendum e ora non vogliono piegarsi alla volontà popolare. Viene spiegato che Pd e Terzo polo stanno provando a riproporre una legge pensata per sventare la possibilità che gli italiani si pronunciassero su una privatizzazione. E, a proposito di sconti negati, viene ricordato che in Puglia si assiste alla «trasformazione del processo più innovativo (c’era da un anno una legge scritta da esperti dei comitati e da esperti della Regione, ndr) in un processo ambiguo», come dice Margherita Ciervo riportando lo sconcerto dei comitati pugliesi per l’approvazione a 24 ore dalla vittoria dei Sì di una legge piena di insidie grazie alla cancellazione della dicitura "servizio di interesse generale". Di segno opposto l’esperienza napoletana dove, tre giorni dopo l’insediamento, l’Arin è stata trasformata in soggetto di diritto pubblico partecipato. Spiega a Liberazione l’assessore Alberto Lucarelli che sono già in corso le consultazioni condotte congiuntamente ai movimenti per individuare un modello dentro il quale, comunque, lavoratori e cittadini saranno a pieno titolo nei Cda. Ed è ancora Lucarelli a chiarire il senso dell’esigibilità dell’abolizione effettiva del 7% delle tariffe (che in Puglia e altrove è stata finora negata): «Nella remunerazione del capitale investito ci sono anche i costi della corruzione, la boghesia mafiosa, gli sprechi della politica».

 

Ecco perché non smobiliterà la struttura capillare che ha permesso prima la socializzazione dal basso di saperi, poi l’elaborazione di una legge di iniziativa popolare firmata da 400mila cittadini (da contrapporre ancora alle fughe in avanti) ma seppellita da governi apparentemente di segno opposto tra loro, quindi la raccolta di firme e la campagna vincente. Un percorso lungo grazie al quale «niente è come prima», spiega anche Marco Bersani di Attac: «Adesso dobbiamo essere i custodi del voto. Custodi perché i proprietari sono quei 27 milioni che hanno pronunciato i Sì». Bersani immagina che i comitati debbano diventare soggetti vertenziali per l’estensione delle lotte per i beni comuni e la democrazia. Nei territori ci si sta già pensando e si ragiona sulle potenzialità della disobbedienza civile, su una campagna per l’autoriduzione, su un’ondata di delibere di trasformazione comune per comune, Ato per Ato, sulla guerriglia giuridica fatta di ricorsi per sfrattare i gestori privati spesso opachi e anche le spa pubbliche. «Però non ci si chiuda sull’acqua», invita Massimo Rossi, portavoce della Federazione della sinistra, pensando a quanto sarebbe fecondo se la «stessa energia» fosse applicata per difendere altri beni comuni aggrediti dalla legge 30 o dalla riforma Gelmini.

 

Sul palco, si alternano le voci dei comitati locali e quelle delle organizzazioni nazionali (Cgil, Arci, Cobas, Fds, Sc, Usb, Pcl) che hanno promosso o aderito i referendum. E’ diffusa nei sessanta interventi della plenaria la consapevolezza che lottare per l’acqua bene comune voglia dire alludere a un rapporto diverso con l’ambiente, l’agricoltura, l’assetto urbano, con la legalità. Dirà Wilma Mazza di Ya Basta che è stata «rotta la compatibilità con la finanziarizzazione». Una traccia interessante. A seguirla si trova l’esigenza della ricomposizione delle vertenze: «La ricomposizione - dice - avviene nei territori, non credo al fronte comune delle lotte». In platea, «venuto ad ascoltare» c’è Paolo Ferrero, segretario del Prc, che in qualche modo le risponde: «C’è qualcosa di nuovo stavolta: tutti i movimenti hanno gli stessi avversari e gli stessi obiettivi, la fuoriuscita dal liberismo. Per questo c’è da costruire una costituente per i beni comuni». Oggi, dopo i gruppi di lavoro, la plenaria finale con gli occhi puntati sulla Val di Susa.

Checchino Antonini

5 Luglio 2011

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