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Movimento di indignadas in quanto donne. Non solo lavoratrici, disoccupate, licenziate, precarie, pensionate, intellettuali

Post n°4945 pubblicato il 13 Luglio 2011 da cile54

Quando quando quando

 

Il  movimento del 13 febbraio ha sicuramente segnato, per quantità e qualità, le piazze e i luoghi delle nostre città, ha segnato i corpi e le menti di molte donne. Forse sono state le prime ‘indignadas’ in una società,come quella italiana, che appariva segnata immedicabilmente da una rassegnazione passivizzante e da tutti gli ingredienti del berlusconismo, a rappresentare che cambiare era possibile.

Ci avevano colpito le donne che vedevamo in televisione: da una parte le cosiddette veline con la loro triste esibizione di corpi mercificati e dall’altra le donne delle manifestazioni di Berlusconi,le signore ingioiellate nelle sale delle conferenze e le donne davanti al tribunale di Milano che a difesa del presidente del consiglio innalzavano cartelli a condanna dei giudici e degli invidiosi che osavano attaccare il benefattore dell’Italia. Sì,ci colpiva la visione di queste donne,ci colpiva e ci rattristava. E gli incontri femministi a cui partecipavamo ci apparivano sì luoghi di agio,ma dove spesso ci si trovava a stupirci del degrado a cui ci toccava assistere. Ebbene,le donne hanno ripreso a camminare in tantissime,hanno ripreso a uscire nelle piazze. Fino all’incontro ultimo di Siena del 9 e 10 luglio. In tante,con tante differenze,decise a riprendersi la parola pubblica.

Nel frattempo il silenzio era stato rotto, le strade e le piazze erano state attraversate,qualcosa di molto grande si era mosso. Tante donne a raccogliere le firme per imporre l’acqua pubblica come elemento materiale e simbolico di un complesso di beni comuni sottratti alla mercificazione della vita, le metal meccaniche a Melfi, Pomigliano e Mirafiori a dire NO ai  ricatti di Marchionne, la manifestazione del 16 ottobre con tutta quella vera e propria ‘folla’ di pezzi di società sofferente che si è unita alla FIOM, le grandi folle di precari e precarie della conoscenza che hanno attraversato le nostre città fin dallo scorso dicembre costituiscono un vero e proprio terreno di soggetti sociali,non solo mossi dalla indignazione o dall’ansia di legalità o dalla questione morale: si tratta di donne e uomini spinti dalla volontà di costruire un nesso tra condizione e coscienza, dall’ansia di ricostruzione di una soggettività politica,dove per politica s’intende biopolitica, cioè politica in cui parlano i corpi, politica connessa alla vita.

Non credo di usare forzature quando dico che questo è il contesto in cui è nato il “Se non ora quando”: voglio dire che tante donne che hanno attivamente partecipato (e  costruito) ai movimenti di questi ultimi mesi si sono ritrovate in quel movimento di indignadas in quanto donne. Non solo in quanto lavoratrici, disoccupate, licenziate, precarie, pensionate, intellettuali. Ma in quanto donne. E poiché io penso che la libertà femminile non è un fiore di serra,sono convinta che essa ha bisogno di contesti che le donne medesime contribuiscano a costruire. Tante di noi hanno partecipato al 13 febbraio (e fino a Siena) con qualche osservazione critica: se è vero che la nota più grottesca del nostro presente è stata la cricca delle feste di Arcore e del velinismo politico,è anche vero che la lotta va estesa anche al patriarcato “democratico”, ossia non solo al nesso tra sesso e potere, tra sesso e politica, ma anche all’occupazione del potere da parte degli uomini, al loro ritenere il genere maschile come l’assoluto,al loro considerarsi depositari della politica,al loro considerare nel migliore dei casi le donne come ospiti più o meno gradite nella cittadella pubblica: più gradite quanto più ‘compatibili’.

Da questo punto di vista mi fa qualche problema l’unità delle donne “a prescindere”,non perché  non voglio le donne di destra (per quanto si potrebbe chiedere loro “dove eravate finora?”) o perché chiedo alle donne di destra di convertirsi alla sinistra o di iscriversi alla differenza politica, ma per ragioni davvero materiali.

Se la crisi che stiamo vivendo,in particolare in Europa,è la rappresentazione concreta del capitalismo che cerca di ristrutturarsi (qui la ‘continua crisi’ di Gramsci ci potrebbe aiutare a capire) e delle scelte liberiste dei governi di destra e delle socialdemocrazie europee,oggi la scelta politica delle donne non può non sviluppare una critica radicale (e una lotta) a quel liberismo che ha bisogno del moderno patriarcato come un suo potente alleato. Mi limito a osservare che qui non si tratta di una scelta ideologica,ma di una analisi materiale e sociale. Ne deriverebbero scelte dirimenti: la lotta al bipolarismo che annega le differenze e costringe a votare ‘turandosi il naso’,l’impegno per la democrazia di genere nelle istituzioni e nei partiti,la lotta contro l’attacco all’autodeterminazione di donne e uomini (dall’orrenda legge sulla fecondazione assistita votata da Rosi Bindi persino dall’opposizione,all’attuale testamento biologico al rifiuto dei diritti civili per i soggetti glbtq etc.etc.), fino ad una critica pratica di quel moderno liberismo che è il familismo laico e cattolico con l’assioma che i diritti delle donne coincidono con l’assistenza alla famiglia.

E allora: ritengo necessario organizzarci per  impedire che un centrosinistra molto maschile e un po’ femminile,che sperabilmente riuscirà a cacciare Berlusconi, si candidi a gestire, anche se in modo meno grottesco e volgare, le politiche liberiste,le privatizzazioni dei beni comuni, le politiche sicuritarie e le guerre umanitarie attraverso le missioni di pace? Quando?

 

Imma Barbarossa

12/07/2011

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