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Scene di macelleria sociale: è questo il quadro che disegna l'Istat nel suo rapporto annuale sullo stato della povertà
Post n°4965 pubblicato il 17 Luglio 2011 da cile54
Un paese da mille euro al mese (in due)
in Italia nel corso del 2010. A star male, molto male, non sono soltanto i ceti situati nei gradini più bassi della scala sociale, e che rientrano a pieno negli indici statistici che delineano la cosiddetta "povertà assoluta", ma ormai anche le classi medie che vedono progressivamente eroso il loro potere d'acquisto e avvalersi di prestazioni e servizi sociali. La famosa "pera", con la quale i cantori del ceto medio descrivevano un tempo la conformazione grafica di quella che chiamavano la "società opulenta", dal collo lungo e una grande pancia, torna ad essere una classica piramide. I ceti medi scivolano in basso, piccola e media borghesia sprofondano. Risulta povera, o quasi povera, circa una famiglia su cinque. 1 milione e 156 mila nuclei familiari (il 4,6% delle famiglie residenti) vive in condizioni di povertà assoluta, per un totale di 3 milioni e 129 mila persone (il 5,2% dell'intera popolazione). Un dato - spiega il rapporto - che mostra l'assenza di segni di miglioramento rispetto al 2009, mentre "segnali di peggioramento" provengono dagli indicatori sulla "povertà relativa". L'11% delle famiglie, cioè 2 milioni 734 mila nuclei, pari a 8 milioni e 272 mila individui poveri, il 13,8% dell'intera popolazione, rientrano nella soglia indicata per definire la povertà relativa, ovvero una capacità di spesa media mensile che per una famiglia di due componenti nel 2010 è risultata "pari o inferiore a 992,46 euro". Il declino del ceto medio trova ulteriori conferme nella presenza di sempre maggiori rischi di povertà in gruppi appartenenti a famiglie tradizionalmente non povere. A segnalarlo è la presenza di un 3,8% di famiglie con valori di "spesa e consumi equivalente" appena superiori (non oltre il 10%) alla linea di povertà. Appena 100 euro sopra la cosiddetta povertà relativa. Quota che raddoppia quasi nel Mezzogiorno. La povertà relativa è in aumento anche tra i lavoratori autonomi (+ 1,6%) e i titolari di diplomi medio-alti (+ 0,8%). Peggiorano alcune fasce della popolazione: nel meridione quasi una famiglia numerosa su due è povera. La povertà relativa aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), specie se i figli sono piccoli; tra quelle con membri aggregati, ad esempio quelle dove c'è un anziano che vive con la famiglia del figlio (dal 18,2% al 23%), e di monogenitori (dall'11,8% al 14,1%). E la condizione delle famiglie con membri aggregati peggiora anche rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6% al 10,4%). In particolare, fa notare l'Istat, sempre nel Mezzogiorno l'incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori. Quindi, quasi la metà di questi nuclei vive in povertà relativa. Dal punto di vista geografico, le regioni più povere sono Basilicata (28,3%), Sicilia (27%) e Calabria (26%), dove la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere scende a 779 euro (al Nord è di 809,85; al Centro di 793,06). Si conferma che la diffusione della povertà tra le famiglie con a capo un operaio o assimilato (15,1%) è decisamente superiore a quella osservata con lavoratori autonomi (7,8%) e, in particolare, di imprenditori e liberi professionisti (3,7%). Paolo Persichetti |
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
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