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A proposito di un’intervista a Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta, pubblicata su Repubblica

Post n°5008 pubblicato il 27 Luglio 2011 da cile54
Foto di cile54

Lo strizzacervelli e lo stupro

 

Bisognerà convenire che sia gli stupratori di guerra, sia gli stupratori in erba in tempi di pace, hanno in comune un’antica e consolidata formazione a far uso del sesso come strumento di autoesaltazione. Una lettura di genere di questi fenomeni sembra quasi impossibile da attendersi anche da figure di rilievo della ricerca intellettuale e della pratica clinica.

 

Lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet è certamente una persona di grande sapienza e notarietà per i suoi libri sull’età adolescenziale.

Ma questa volta non mi pare che abbia saputo capire il fatto, oppure l’intervistatrice (Tiziana Testa) ha manipolato le sue risposte.

L’intervista è stata pubblicata da La Repubblica ( 23 luglio) insieme all’articolo di cronaca che raccontava la violenza sessuale perpetrata ai danni di una bambina di cinque anni per opera di tre maschi tra i 15 e i 16 anni.

Il titolo: “Cinque anni, violentata da tre quindicenni” a firma di Giuliano Foschini. La vicenda è questa.

Portata in un casolare nella provincia di Teramo, è stata oggetto di molestia violenta da ragazzi del quartiere che vede ogni giorno.

 

Non molto tempo fa qualcosa del genere era già accaduto nelle Marche, in una città di mare, sempre a opera di giovani più o meno minorenni i quali, scoperti, si sono detti sorpresi di tanto clamore pensando di non aver fatto alcun danno.

E, se non ricordo male, probabilmente “imboccati”, hanno poi dichiarato che la ragazza (coetanea) era assolutamente d’accordo a fare l’ammucchiata, una con tre.

 

Ma veniamo al grande strizzacervelli di menti giovanili.

Alla domanda: ”Come può scattare una violenza così?” risponde che succede quando un gruppo di giovani si trasforma in banda e va alla ricerca di un soggetto debole: un bambino, un disabile, un anziano.

Il gruppo tende alla sperimentazione violenta che può anche degenerare: “Al di là delle intenzioni”.

Non ci sarebbe desiderio sessuale, né piacere. Sì, d’accordo, ma non mi pare che bande di ragazze adolescenti abbiano mai esercitato un tale tipo di sperimentazione.

Al professore questa considerazione non è venuta in mente.

 

Ragazzi normali, insiste l’intervistatrice, che non abbiano subito violenze, possono comportarsi così?

Certo, risponde Pietropolli Charmet, quando c’è noia e disperazione. La follia poi non è nell’individuo, ma nel gruppo. Quando i soldati, anche quelli istruiti e benestanti come è accaduto nell’ex Jugoslavia negli anni novanta, stuprano le donne nemiche, esercitano una follia di gruppo da cui è lontana mille miglia l’individualità di una formazione educativo-culturale? Per esempio.

Quanto alla noia e alla disperazione che cosa si intende? Forse che i ragazzi stanchi di troppo Pc, play station, cellulare, motorini e ingozzamenti di cibi a volontà, vanno alla ricerca di sensazioni ed emozioni nuove.

Tra le quali stuprare una bambina.

 

Ma forse anche perché, avendo ricevuto qualche anno prima un indottrinamento catechistico per il sacramento della cresima a suon di astratti concetti su Dio uno e trino, la Madonna vergine e sempre madre amorosa, tenuti alla larga da un sapere che li aiuti a capire la realtà, non sanno neppure cosa accade nel mondo come, per esempio, la carestia che affama in questi giorni - e uccide tanti bambini - nel Corno d’Africa; anche perché, l’Africa, l’abbiamo depredata e continuiamo a farlo.

Sono ragazzi e giovani, i nostri educati a orizzonti esistenziali assai limitati. Dai quali, appunto, è assente l’educazione alla sessualità anche per impedimento della Chiesa di Roma.

 

O forse anche perché continuano a sentirsi dire che loro sono maschi e non piangono come le femminucce per un nonnulla e continuano a essere oggetto di amore protettivo infinito dalle madri edipiche italiane?

 

Bisognerà convenire che sia gli stupratori di guerra, sia gli stupratori in erba in tempi di pace, hanno in comune un’antica e consolidata formazione a far uso del sesso come strumento di autoesaltazione identitaria di una virilità intesa come sopraffazione, dominio, insomma esercizio del potere a cominciare dal dominio sul corpo femminile?

 

Una lettura di genere di questi fenomeni sembra quasi impossibile da attendersi anche da figure di rilievo della ricerca intellettuale e della pratica clinica.

 

Ileana Montini

25 luglio 2011

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