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Chesa ingorda, oltre i profitti di un immenso patrimonio immobiliare e di attivitą commerciali come il turismo religioso

Post n°5093 pubblicato il 20 Agosto 2011 da cile54

Privilegi del Vaticano. Così lo Stato perde circa tre miliardi

 

C'è una casta che, nel nostro paese, è davvero intoccabile: quella di Oltretevere. Non c'è giorno in cui i privilegi dei politici (e ora pure quella dei calciatori) non vengano messi alla berlina, stigmatizzati, portati ad esempio negativo. Silenzio tombale, invece, sui privilegi economici e fiscali di cui gode, non si capisce bene a che titolo, la Chiesa. Mentre si chiedono sacrifici da lacrime e sangue a cittadini e imprese, non un centesimo viene chiesto al Vaticano: di tutte le misure ideate dal ministro Tremonti, non ce ne è una che tocchi, ma che dico, sfiori, le ricchezze della Santa Sede.

La quale, in questi giorni di tregenda - in cui crollano le borse, nazioni potenti come gli Usa rischiano il fallimento e la nuova crisi economica fa impallidire quella del '29 - si fa superare a sinistra (si fa per dire, ovviamente) da milionari tipo Warren Buffett e Luca Cordero di Montezemolo, i quali almeno si sono fatti venire lo scrupolo di dire: «Vogliamo pagare più tasse». Dal Vaticano, al contrario, silenzio. Decisamente la messa è finita.

Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani, si è preso la briga in questi giorni di fare due conti (ancorché approssimativi, visto che il patrimonio del Vaticano da ottant'anni sfugge ad ogni censimento). Ne esce che eliminando privilegi che non hanno ragion d'essere (e che sono sotto il riflettore dell'Unione europea alla voce "illeciti aiuti di stato" e "concorrenza sleale") si potrebbero recuperare tre miliardi di euro, forse addirittura quattro. All'anno.

La prima sforbiciata dovrebbe riguardare lo scandalo dell'esenzione dall'Ici: come noto, le strutture non destinate al culto in cui si esercitano attività commerciali e a fini di lucro (cliniche private, scuole, negozi, ecc) non pagano l'imposta comunale sugli immobili. Ebbene, è stato calcolato che da lì potrebbero arrivare nelle casse dello stato ben due miliardi di euro, più di quanto si preve di ricavare dalla cosiddetta tassa di solidarietà. Con l'otto per mille la Chiesa incassa un altro miliardo, con il quale per un terzo (così pare) paga lo stipendio dei sacerdoti e con il resto ci costruisce nuove chiese, sostiene le diocesi, evangelizza i popoli del terzo mondo, finanzia le iniziative della Cei ecc. A voler essere buoni e trasformando il prelievo in un 5 per mille (come per le associazioni non profit), lo stato risparmierebbe altri 400-500 milioni.

E non è finita. Perché le attività della Chiesa cattolica godono di una serie di sgravi e agevolazioni fiscali su Ires (meno 50 per cento), Irap, Iva, cui vanno aggiunti aiuti "indiretti" come le convenzioni sanitarie e lo stipendio agli insegnanti di religione. Sforbiciando qua e là e magari eliminando i contributi per le scuole cattoliche che allo stato costano circa 240 milioni (mentre si tagliano fondi alla scuola pubblica), si potrebbero recuperare altri 500 milioni. Totale: tre miliardi. E alla Chiesa resterebbero comunque tutti i profitti derivanti da un immenso patrimonio immobiliare e da attività commerciali redditizie come il turismo religioso, sui quali pagare le tasse come chiunque altro.

Eresia? Chiedetelo agli indignados spagnoli, che in questi giorni protestano per l'arrivo del papa a Madrid in occasione della giornata mondiale della gioventù. Come risaputo, la Spagna non naviga in buone acque e anche al governo Zapatero sono state imposte scelte economiche draconiane. Non è piaciuto, perciò, che l'indebitatissimo stato spagnolo si sia dovuto accollare 25 milioni di euro (ma c'è chi parla di 50) per contribuire all'iniziativa: «Zero delle mie imposte al papa», scandiscono gli indignados spagnoli. E noi?

 

Romina Velchi

19/08/2011

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