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Unite libere autonome. Le giornaliste italiane dicono basta e fanno nascere una rete per il cambiamento

Post n°5639 pubblicato il 06 Dicembre 2011 da cile54

Nasce Giulia

 

Centinaia di giornaliste italiane hanno dato vita a una nuova associazione, Gi.U.Li.A (giornaliste unite libere autonome) per combattere la discriminazione e l'uso strumentale della donna nel mondo del giornalismo

 

Dopo vent’anni di Berlusconi anche il mondo dell’informazione si solleva e lo fa con le donne che nell’informazione ci lavorano. Sono le Giornaliste unite libere autonome, in sigla Gi.U.Li.A., che oggi hanno presentato, in una conferenza stampa alla Fnsi a Roma: 1 - il loro manifesto e le loro adesioni con quasi 400 firme da tutto il mondo del giornalismo italiano provenienti da carta stampata, radio, televisione, web, uffici stampa; 2 - una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in cui si pone il problema della rappresentazione offensiva dell’immagine della donna nell’informazione; 3 - un sito http://giulia.globalist.it/ (che presto diventerà www.giuliagiornaliste.it), in cui si possono leggere i contributi delle giornaliste che rappresentano Giulia e dove può ancora aderire compilando un formulario; 4 - e una pagina Facebook.

 

Una rete nazionale che “nasce in tempi di crisi grave del Paese e di attacco alla dignità della donna” e che combatte contro “l’uso della donna come corpo, oggetto, merce e tangente”, come si legge nel manifesto in cui si chiede a gran voce un cambiamento radicale nel giornalismo italiano. “Basta con l’informazione ad effetto, con l'uso della cronaca-spettacolo, con la manipolazione delle notizie, le censure”, dice Giulia auspicando “un cambiamento nella vita delle redazioni, piene di giornaliste ma ancora dominate da logiche e interessi maschili”. Giulia, sotto lo slogan Giornaliste unite per il cambiamento, avvia così la prima seria riflessione che il mondo dell’informazione fa su se stesso a partire da chi è direttamente oggetto-soggetto di questa discriminazione: ovvero le giornaliste che oltre alle discriminazioni sul lavoro, sono spesso obbligate a diventare veicolo di quegli stessi stereotipi contro cui combattono in un contesto culturale che invece di progredire ha fatto balzi all’indietro fino a rendere più che normale un certo tipo di donna “servizievole e accondiscendente”, e comunque in secondo piano rispetto all’uomo di turno.

 

“L’informazione manipolata e ridotta a megafono del potere, – afferma Giulia attraverso la sua portavoce Alessandra Mancuso, giornalista del Tg1 - l’offensiva rappresentazione dell’immagine delle donne, la sistematica negazione dei problemi veri del Paese e della società, ci ha spinto a creare un movimento di giornaliste, ed è la prima volta che accade in queste forme. In meno di due mesi le adesioni al documento costitutivo sono state oltre 350 in molte regioni italiane. Andato via Berlusconi, i problemi restano identici: non se ne può più di quest’informazione condizionata dai poteri e dagli interessi di parte, che non fa inchieste, che censura, che dà sempre più spazio al sensazionalismo e allo spettacolo e continua a rappresentare in modo distorto la donna, i giovani, la società. Non possiamo più accettarlo. E’ ora di esigere un cambiamento, anche nelle redazioni così profondamente maschiliste, e di farlo in prima persona”.

 

Un’idea, quella della donna al servizio di qualcuno sia dentro le redazioni che nella società intera, che ci fa ricordare, rendendolo ancora attuale e tangibile, il famoso tetto di cristallo per cui le donne non possono accedere ai posti di comando, e quindi al potere, non perché incapaci o prive di competenze, ma solo perché appunto donne: una realtà che sembrava in parte superata, o superabile come è stato in alcuni paesi del nord Europa (la Svezia ha una rappresentanza femminile in Parlamento che arriva al 47%), ma che oggi, soprattutto grazie alla retromarcia registrata in Italia negli ultimi vent’anni, è tornata alla ribalta amplificandosi nella politica, nel mondo del lavoro, nelle scuole, in famiglia, nella società, assumendo anche caratteri violenti sia nella realtà quotidiana sia nel linguaggio, peggiorando di gran lunga la situazione del genere femminile. Le giornaliste offese pesantemente da colleghi o da politici non sono una rarità da molto tempo e forse tutto quello che era sommerso è stato portato a galla proprio grazie a quel “rigurgito maschilista” che, probabilmente, durante il regime berlusconiano ha dato libero sfogo pubblico e senza freni, riportando alla ribalta il maschilismo mai sopito dell’italiano medio: chi non ricorda il fuori onda di neanche un mese fa durante Omnibus in cui Crosetto, ex sottosegretario alla Difesa, si rivolse a Antonella Rampino durante la pausa di un dibattito a La7, affermando testualmente: “L’argomento che devo usare con te lo sai qual è... è che a te non ti spoglierebbe nessuno”? o il più recente articolo, pubblicato da Libero quando Berlusconi era già fuori dalla guida di Governo, dall’inquietante titolo “Togliete i libri alle donne e torneranno a far figli”, scritto dall’altrettanto inquietante Camillo Longone?

 

Capire che non si tratta di innocue pochade ma di dichiarazioni di guerra continue e costanti alle donne italiane di ogni livello culturale e ogni grado sociale, significa capire dove le donne italiane si trovano in questo momento: sottorappresentate nei luoghi della politica e del lavoro, costrette a sopportare il doppio della fatica in una società in cui è praticamente assente un welfare di genere, sottoposte a continue violenze, fisiche e psicologiche, e sopraffazioni dettate da una radicata idea discriminatoria nei confronti delle donne come genere (e non solo come singole) da parte di autorità, istituzioni, nelle scuole, in famiglia, ovunque. Una posizione per noi ormai troppo scomoda ma sostenuta e rafforzata da un immaginario al quale Giulia sembra volersi opporre definitivamente.

Luisa Betti

05.12.2011

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