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La donna ha una specificità che la sperimentazione è chiamata a tenere in considerazione

Post n°5638 pubblicato il 06 Dicembre 2011 da cile54

Dopo 30 anni dall'inizio dell'epidemia sono quasi 16 milioni nel mondo le donne affette da hiv, la maggior parte in età fertile. Per queste ultime il virus è diventato la principale causa di malattia e morte. E in Europa è in costante aumento il numero di donne colpite: il 35% delle nuove diagnosi riguarda infatti la popolazione femminile. Eppure le donne, le loro spefcificità. non sono prese in considerazione nella sperimentazione e nelle cure. Agenzia Asca 30/11/ 2011

 

Aids: 16 milioni di donne malate nel mondo, ma farmaci a misura di uomini

«Ogni anno – ha spiegato Cristina Mussini, direttrice della clinica delle Malattie infettive del policlinico di Modena nel corso del convegmo in corso al Senato in vista della Giornata mondiale contro l'aids che si celebra giovedì primo dicembre – nel nostro Paese si registrano 4mila nuovi casi di infezione da hiv: dodici ogni giorno, uno ogni due ore. Almeno un terzo riguarda le donne. Ciononostante sono sottorappresentate negli studi clinici. Sono necessari più dati, specialmente di lungo termine, per valutare la risposta al trattamento antiretrovirale nelle pazienti con hiv e migliorare la gestione della malattia. I farmaci utilizzati in terapia sono spesso sperimentati in giovani maschi, pertanto è difficile capire a priori come possano interferire con l'organismo femminile. Vi sono inoltre peculiarità connesse allo stato di sieropositività femminile che vanno dal desiderio di maternità alla scelta del contraccettivo adatto. Ad esempio, poche sanno cosa significa avere un figlio essendo hiv positive e che le attuali terapie antiretrovirali possono proteggere il nascituro».

Le persone che scoprono di avere il virus hanno un'età media di 39 anni (i maschi) e di 35 (le femmine). «I dati del Sistema di Sorveglianza – ha detto Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell'Istituto Superiore di Sanità – sottolineano l'urgenza di avviare campagne di sensibilizzazione per incoraggiare l'adozione di comportamenti sessuali sicuri, in particolare tra i giovani e la popolazione femminile, e di effettuare il test hiv di routine alle donne in gravidanza per ridurre il rischio di trasmissione dell'infezione sia attraverso i rapporti sessuali che da madre a bambino».

«Lo stigma – secondo Rosaria Iardino, presidente onorario di Nps Italia onlus (Network italiano delle persone sieropositive) – è un fatto culturale, strisciante, che non si manifesta più con comportamenti apertamente di pregiudizio, ma connota tutta la vita delle persone con hiv. Per questo motivo piu' che parlare di stigma al femminile bisogna considerare che il fatto di essere donna diventa un moltiplicatore culturale del pregiudizio. Il passaggio dell'infezione dal mondo omosessuale a quello eterosessuale è ampiamente dibattuto, invece la crescita del numero di casi nella popolazione femminile è semplicemente un dato statistico. In medicina esistono alcuni aspetti che evidenziano l'esistenza di uno stigma, non manifesto, non urlato, ma non per questo meno pericoloso, a partire dalla minore rappresentatività femminile negli studi clinici. La donna non può essere assimilata all'uomo, come una mera variabile, ma ha una specificità che la sperimentazione è chiamata a tenere in considerazione per promuovere una medicina che riconosca adeguatamente le pari opportunità». Le stime indicano che in Italia sono attualmente presenti tra 143mila e 165mila persone hiv positive, di cui più di 22mila in aids.

01.12.2011

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Roma, 12 maggio 1977

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