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Un approccio al tema della difesa del Servizio Sanitario Pubblico. Discutere in ogni luogo per respingere l'attacco

Post n°6634 pubblicato il 09 Luglio 2012 da cile54

L’attacco alla sanità pubblica non è contingente, ha un retroterra e un disegno in itinere

Come operatori vogliamo mettere sul lavoro della discussione alcuni spunti di analisi per ricominciare a concretizzare il "che fare" di fronte a queste brutali e discriminatorie politiche sanitarie del governo e dei suoi sostenitori politici. L'intento è creare interesse ad approfondire i temi attuali per riaffermare che non c’è nulla di impossibile da cambiare, né tantomeno di ineluttabile. Siamo tutti coinvolti perché questa gestione politica della crisi colpisce nel reddito e nella salute sempre più le fasce di una popolazione meno abbiente che si amplieranno sempre di più.

I tecnici che vogliono governare questa crisi declamando di essere i soli in grado di risolverla sono gli stessi che hanno contribuito a produrla e continuano a lavorare per mantenere il potere economico nelle mani di pochi, degli stessi che sapevano. Questo va detto e va spiegato, senza sosta, alle persone che pagano per gli errori di altri, va loro spiegato soprattutto che il grande capitale economico e finanziario, quello vero del governo mondiale ha già pianificato il prossimo futuro, e sa bene come e quanto ( tutto) dovrà pagare quella classe borghese che ha sostenuto la chimera di una distribuzione delle ricchezze e di un liberismo capitalista equo. Non c’è nulla di più evidente di questo meccanismo eppure non c’è comprensione diffusa. Oppure la comprensione di questo meccanismo non produce ancora effetti di contrasto strutturato.

 Quella stessa classe costituirà il salvadanaio da rompere per ripagare i debiti. Nei prossimi decenni altri riusciranno a costituire un altro salvadanaio che sarà rotto alla prossima occasione. E’ necessario che siano coinvolte le istituzioni affinché si pronuncino chiaramente su questo. Su questo terreno dove vige l’ineluttabile ( c’è l’euro, c’è la crisi, bisogna pagare, paghino gli stessi) è fondamentale riprendere il discorso delle priorità, degli sprechi, è fondamentale proprio ora non sentirsi incastrati in un disastro da cui sembra impossibile uscire e dal quale ci dicono che intanto dobbiamo pagare e poi vedremo come uscirne.

Dobbiamo coniugare le nostre capacità tecniche un nuovo impegno politico e sociale, una ferma pressione per reclamare il dibattito per condividere un nuovo coraggio nelle scelte, e produrre risoluzioni di problemi soprattutto a favore delle fasce deboli e dobbiamo provvedere a mantenere un necessario realismo assieme alle nostre convinzioni politiche e sociali. Questi temi devono essere affrontati da tutti perché la storia recente, quella che ci coinvolge sta dimostrando come l’abbandono dell’impegno politico ci porti a distruggere quel sistema di lotta per i diritti che porterà le stesse istituzioni sociali a scomparire. La nostra convinzione deve essere chiara : i diritti acquisiti in una società capitalistica sono diritti giuridici e non più sociali. Questo significa che solo chi può permetterselo pagandosi defatiganti contenziosi giuridici può avere garanzia dei propri diritti.

 I diritti ottenuti dal liberismo e dal capitalismo sono dritti ottenuti con aspre lotte sociali, non dobbiamo dimenticarlo, ed è facile perderli anche se restano sulla carta. Questa è la chimera della democrazia liberale e del diritto capitalistico:lo stiamo vedendo adesso in Europa. Lo abbiamo visto trenta, quaranta anni fa in Sudamerica. Il voto nel contesto capitalistico è fondamentale, purché si voti quello che si deve votare, altrimenti è protesta, è irredentismo, è irresponsabilità. Un po’ come i bravi schiavisti che chiedevano ai propri schiavi “cosa fareste se foste liberi?”.

Questa è la realtà ma questo sembra di difficile comprensione e di difficilissima comunicazione.

 Questa breve premessa introduce quanto ci interessa sul servizio sanitario.

Il progetto attuale sulla sanità ci porterà a sfasciare il servizio sanitario nazionale a favore di un sempre più incalzante sistema privatistico, ma noi continueremo a pagare il vecchio e dovremo anche pagare il nuovo. Si sentono voci che vogliono rilanciare il tema della famiglia come ammortizzatore sociale, ma questa è una doppia mistificazione: da una parte si vuole caricare sulla famiglia il peso di una parte della assistenza, dall’altra non si vuole riconoscere che la famiglia “moderna” non è e non sarà in grado di assorbire questa responsabilità, soprattutto nelle città dove la famiglia sarà sempre più non-tradizionale o mono persona e le sue risorse non ancora sperimentate, probabilmente non reggeranno l’impatto del carico socio economico di compartecipazione alla spesa sanitaria-assistenziale.

 Ultimo esempio è il “co-payement” , il ticket per intenderci, la partecipazione alla spesa. Accettare supinamente questo concetto, al di fuori di interventi contingenti e limitati significa produrre una crescita di spesa per la famiglia e significa che solo i “ricchi” potranno approfittare di un qualche servizio sanitario moderno. Prendiamo ad esempio il sistema sanitario lombardo, si dice che questo sistema sia in regola, in equilibrio economico, e tuttavia si sono trovati recentemente enormi fiumi di ruberie e sprechi. Vuol dire che quei soldi avrebbero potuto essere meglio impiegati se controllati, magari per ampliare i servizi a favore di altri cittadini, magari per favorire altri investimenti sociali. E’ possibile che questi siano discorsi utopistici, ma sono solo costatazioni della realtà.

Crediamo che non potremo risolvere nulla in questo disastro generale che ci coinvolge se non abbiamo una visione ideale netta e noi la possediamo. Dobbiamo riuscire a comunicare alla gente, agli operatori e riuscire ad agire nelle istituzioni.

 Noi sappiamo che il capitalismo è capace di cannibalizzare se stesso, a volte inizia con una parte di se stesso per rigenerarsi, ma questa semplice regola economica è difficile da spiegare, nonostante sia sotto gli occhi di tutti.

 Dal nostro punto di vista diciamo subito che la esigenza del Potere attuale, quello capitalistico si intende, è quella di governare la spesa per produrre significativi cambiamenti nella gestione economica del “pubblico” e per poter dimostrare che la gestione privatistica è da preferire a quella pubblica. Su questo argomento è opportuno dire subito che l’Europa preme per la modifica degli attuali sistemi di finanziamento e pagamento della sanità al fine di aumentare la quota che sarà a disposizione delle compagnie assicurative private o di fondi integrativi nazionali e sovranazionali.

Riprendiamo, come ulteriore chiarimento, le problematiche dirompenti per il SSN derivanti dal “core business” del sistema aziendalistico. La vicenda della Santa Rita e delle altre cliniche e ospedali privati di Milano ha  dimostrato come i DRG possono essere fonte di inappropriatezza, per meglio dire come questi  possono essere utilizzati per pratiche cliniche inutili e dannose al fine di ottenere un profitto.

Non è l’unico caso e l’unica possibilità. Molto diffusa, anche nelle strutture pubbliche sono le “dimissioni selvagge”, ovvero quella pratica per cui i pazienti vengono dimessi dagli ospedali ancora in condizioni di malattia e senza che sia stato stabilito il seguito delle cure siano esse domiciliari o residenziali Quando le dimissioni avvengono   è una   tragedia, soprattutto quando si tratta di malati colpiti da cronicità e non autosufficienza. I famigliari sono in grandi difficoltà a risolvere il problema, in genere si impoveriscono arrangiandosi o con le badanti o ricoverando a fatica la persona in RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale). Una vera ed efficace assistenza domiciliare in Italia, salvo eccezioni, non esiste. Per di più i cittadini, nella gran parte dei casi  non sanno che possono rifiutare le dimissioni. Oppure hanno paura ad affermare questo loro diritto (si veda il manuale ”Diritto alle cure e all’assistenza sociale delle persone malate croniche non autosufficiente” – supplemento al numero 177-179 di Medicina Democratica, pag. 40), quindi semplicemente subiscono.

 Il finanziamento a prestazione favorisce le dimissioni selvagge,   queste non solo vengono praticate “spontaneamente”, ma anche vengono richieste dalla stessa autorità di gestione dell’ospedale e della regione che controlla quanti ricoveri vengono fatti, e non accetta tempi lunghi di permanenza nel posto letto. Lungi da noi richiedere di tornare ai tempi passati quando le strutture ospedaliere venivano finanziate a “giornata di degenza”.

Anche dal punto di vista delle dimissioni selvagge i DRG sono dunque inaccettabili.

Ci riferiamo ancora una volta a una sentenza al seguito di un processo che  ha coinvolto il presidente di Medicina Democratica,  Tonino d’Angelo in qualità di segretario regionale (della Puglia) del Tribunale per i Diritti del Malato   accusato di diffamazione dalla Casa Sollievo della Sofferenza (il famoso ospedale – privato convenzionato – di San Giovanni Rotondo), insieme al direttore della rivista su cui era stato intervistato e per un altro articolo  da lui scritto su un altro giornale locale. Il processo iscritto a ruolo nel 1999 è arrivato a sentenza  - di primo grado -  nel 2009!. Tutti sono stati ampiamente assolti con pagamento di tutte le spese della parte soccombente   che aveva chiesto allora agli accusati 2 miliardi di lire per i danni all’immagine che avrebbe subito.

Insieme alla  parte preminente del processo che riguardava un bambino affetto da una grave malattia, (errore diagnostico e rifiuto di trasferimento), vi è stato un altro filone che ha riguardato proprio i DRG.

 L’attuale governance è tesa a consentire la più vasta penetrazione dell’impianto di controllo e di gestione privato o assimilabile per gestire, di fatto, il fondo sanitario nel suo insieme. Una azione palese è quella di avere costituito un potere gestionale–dirigenziale avulso dal controllo democratico e per molti versi da quello politico, sovrapponendo e distanziando la gestione cosiddetta strategica a quella operativa. Nella pratica si è sradicata la professionalità dell’impiegato pubblico, penalizzando la sua azione e affiancandogli nel tempo, per poi sostituirlo, personale a contratto privato, di consulenza. Ma non certo e non solo il singolo professionista pubblico viene inesorabilmente esautorato, ma soprattutto il singolo servizio. Questo comporta subito due risultati: si scolla la dirigenza e l’operatore singolo dalla medesima istituzione e automaticamente li si incolpa di non essere capaci a partecipare alla stessa. Questi operatori pubblici vengono privati di strumenti di dialogo, di partecipazione sindacale e li si costringe ad un superlavoro, sul campo, respingendo le loro critiche o analisi e si chiede loro un maggiore impegno, a minor costo e con minori garanzie. Senza più strumenti li si accusa di non voler o non saper partecipare al miglioramento del “prodotto” sanitario e li si accusa di non voler o non saper partecipare al contenimento della spesa.

Ovviamente anche il centrosinistra ha contribuito alla realizzazione di questo disegno. In particolare ha partecipato a confondere gli operatori, ha partecipato a far pesare il costo rispetto al prodotto, pagando la malattia e non la salute, non ha efficacemente sottolineato il costo evitato, rispetto alla spesa presunta, non ha fatto abbastanza per sottolineare gli sprechi della gestione, sottolineando invece gli sprechi del singolo. In pratica la Sanità costerebbe troppo, vi sarebbero troppe realtà inutili, quindi da tagliare, vi sarebbe una incapacità degli operatori unita a una scarsa cultura di risparmio da parte degli utenti. Infine, nonostante la tenuta fisica e politica di molti di noi, i singoli operatori e le organizzazioni sindacali non sono certo aiutati a confermare il proprio vero ruolo nel contesto del lavoro, poiché non solo non li si coinvolge nelle scelte strategiche ma li si incolla ad un inutile ruolo di difesa lobbistica. Paradossalmente, infatti, le stesse organizzazioni sindacali si vedono costrette continuamente a difendere, sempre più confusamente e malamente, il ruolo degli operatori, continuamente messo in discussione, quando questo dovrebbe essere consolidato, e non vengono più interpellati nella costruzione del lavoro. In poche parole la generazione dei nuovi contratti sanitari comporta questa tendenza: riduzione delle piante organiche, pseudomeritocrazia, contratti originali, incongruenza dei piani di formazione e di aggiornamento ( molta della formazione e dell’aggiornamento viene demandata al privato con promiscuità e conflitto di interessi con la industria farmaceutica per esempio), incertezza negli obbiettivi.

Se si studia il quadro generale del pensiero economico in ambito sanitario ci si rende conto di tutto il disegno che nell’ultimo decennio ha devastato il sistema pubblico. Prendiamo ad esempio gli sprechi e la appropriatezza nelle cure. Si trovano numerosi lavori scientifici sulla necessità che il singolo operatore sia coinvolto nella appropriatezza nell’impiego delle risorse, e però NON esistono lavori scientificamente costruiti relativi agli sprechi delle grosse risorse finanziarie a disposizione dei governi sanitari. Che vuol dire? Vuol dire che se ognuno si sente in dovere di richiamare il singolo all’ordine, nessuno mette in fila tutto quello che si è sprecato, inutilizzato, ripetuto, buttato al vento, malversato delle risorse. Qualche volta leggiamo di qualche amministratore che ha rubato, ma mai dico mai vediamo un lavoro scientifico su quanto danno questa malgestione ha prodotto a livello generale del bilancio sanitario. Quante risorse sono state sprecate che avrebbero potuto invece essere riservate sotto forma di servizi ai cittadini. Nella pratica succede che le amministrazioni sanitarie sono molto puntuali e competenti a dire faccio un esempio, al singolo medico che non ha lavorato in maniera appropriata perché ha impiegato una medicina più costosa di un’altra, ma nessuno è stato in grado di porre attenzione alle decine di milioni d euro che privati e convenzionati hanno letteralmente fagocitato al Sistema Pubblico.

Facciamo un altro esempio: in Piemonte si tagliano risorse e posti letto, la Regione deve pagare grandi e piccole strutture sanitarie private/convenzionate per ricoveri e servizi, ma allora, ci si dovrebbe chiedere, se abbiamo bisogno del convenzionato sia come servizi che come posti letto perché tagliamo il pubblico? Vuol dire che abbiamo bisogno di quei posti letto e di quei servizi se li usiamo e li paghiamo!!!! E non li paghiamo certamente di meno, infatti se così fosse i sistemi regionali avrebbero dei risparmi veri, e gli istituti privati non avrebbero alcun plusvalore. I soldi pubblici non devono creare plusvalore (oltre un certo limite) perché in questo caso significa che comunque se ne potevano spendere meno. Allora perché dobbiamo tagliare i posti pubblici quando poi dobbiamo ricorrere ai privati. E’ come se una famiglia in deficit economico taglia la cena a casa propria per non spendere, ma va a mangiare al ristorante!!!

 La linea nazionale è ormai definita: partecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini sul tipo dell’IMU per intenderci. Ogni persona, ogni famiglia in base al reddito dovrà partecipare alla spesa pagando quote aggiuntive. Su questo tema fondamentale e vitale per tutti noi non vi è alcun dibattito, le persone lasciano fare ai governanti anche locali senza intervenire pesantemente. Dobbiamo pagare due volte per il sevizio sanitario? Dove stiamo andando? Nessuno si pone queste domande?

Per non parlare delle priorità. Si accetta supinamente ( non tutti) la costruzione della TAV e non si chiede che quelle risorse vadano prima a beneficio di priorità ben più importanti. La TAV potrà dare lavoro a 1000 persone, e far guadagnare 10 imprese industriali. Ma quei soldi non potrebbero essere meglio spesi in investimenti più produttivi finalizzati al rilancio di economie in agonia, non solo locali?

 Il voto di protesta si incanala nella necessità che ha la gente di farsi sentire. Ma il voto di protesta, è noto, non consente la creazione di una proposta politica e sociale strutturale, può servire per spaventare ( per qualche minuto) i responsabili dello sfascio dello stato sociale e ritardare ( di qualche mese) le operazioni normative di sfascio, ma non potrà mai determinare cambi di rotta perché il voto di protesta è ondivago e comunque non si traduce in una operazione “rivoluzionaria”.

 Certo sembrano vecchie analisi leniniste. Ma questo è il “guaio”: sono ancora attuali!

Roberto Bertucci e Franco Cilenti

Redazione periodico Lavoro e Salute

 
 
 
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