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Libri & Conflitti. Gli otto autori di " Il futuro che non c'era" hanno accontato la vita di otto donne, otto vite

Post n°7839 pubblicato il 05 Giugno 2013 da cile54

Storie di donne e di vite negate

Claps, Meredith Kercher, Simonetta Cesaroni, Carmela Petrucci. Otto donne. Otto vite spezzate, quasi certamente, per mano di uomini. Otto uomini, dunque, raccontano in questo volume le vite di queste donne regalando loro “Il futuro che non c’era” (edizioni psiconline). Tutti conoscono nei dettagli quel che queste donne hanno fatto nella loro breve vita.

Ma nessuno sa – e nessuno purtroppo saprà mai – quel che, invece, avrebbero voluto fare, quel che avrebbero potuto fare. Chi avrebbero amato, dove avrebbero vissuto, quali emozioni avrebbero provato a ogni piccola conquista dei fi gliche avrebbero avuto (o che avevano già, ma che non vedranno crescere).

Gli otto autori che hanno partecipato all'antologia hanno accontato la vita di queste donne, come fosse proseguita normalmente. Una vita nuova, né “perfetta” né “terribile”. Un futuro “semplice”, fatto anche di sogni, infranti e realizzati, o di desideri accessibili. L’obiettivo dell’intero progetto editoriale, è di ricordare i fatti accaduti (e non minimizzarli) utilizzando un approccio diverso. Un approccio che mira a stimolare le coscienze attraverso uno sguardo inatteso.

 

L'estratto da Sulla soglia, di Alex Pietrogiacomi

Quanto respiro serve a una persona per vivere?

Certe volte me lo domando. Certe volte credo che ognuno ne abbia una quantità sua, un certo numero di colpi da sparare al giorno, chi più chi meno. E non capisco perché ci possa essere questa distinzione … forse perché qualcuno può vivere in apnea e altri no; forse perché se uno è grosso può tenersene di più dentro – come un magazzino – e andare avanti per parecchio più tempo di chi invece è più piccolino e ha maggior bisogno di aria; forse perché alcuni scelgono di non voler respirare più e si mettono in testa il sacchetto di plastica dei loro pensieri, stando attenti a sigillare bene la base del collo e non se ne importano proprio di quanto hanno consumato o potrebbero consumare.

Quanto respiro serve a una persona per vivere?

Non lo so e non so che me lo domando a fare. Io non so come funzionano le cose, come va il mondo o meglio, so come va il Mondo. Il mio Mondo. Quello che ho scelto.

Quello che abito, spoglio, rivesto, nutro, disseto, mangio e vomito ogni giorno.Il Mondo è un po’ matto e certe volte troppo prepotente. Pensa di essere intoccabile, di essere al di sopra di tutto, anche della vita che si esprime con quel movimento del nostro petto, quel movimento che ci rende tutti uguali, tutti fi gli di uno stesso cielo.

E Lui però smette (e fa smettere):

Di essere.

Di pensare.

Di fare boccate.

Di vivere.

Comincia a morire con il sorriso di chi la sa lunga, di chi ha raggiunto uno stato superiore agli altri, dominandoli con uno sguardo carico di pretese, di ordini gridati, di ordini imposti, di ordini che una volta eseguiti richiedono altri ordini da eseguire, una catena che non si rompe. Che non si interrompe. Eppure il Mondo non muore. Non cede di un passo. Sempre presente. Semmai sono gli altri che cadono attorno a lui.

Ma come fa? Allora penso che in realtà non smette di respirare, ma ti ruba il respiro in qualche modo, attraverso i pori della sua pelle che quando ti vede ubbidire, come un cane che riporta il bastoncino immediatamente dopo che lo hai pestato un po’ per fargli capire bene come si deve comportare, si dilatano, diventano buchi neri che ingoiano tutto quello che c’è attorno. Tutto quello di tuo che in quel momento vibra nell’aria. Resti malconcia, stanca, arrabbiata con te e con il Mondo che non capisce che non si può essere sempre cuori spezzati con cui giocare come un ciondolo, che ti ricordi di averlo soltanto quando lo tieni sulla pelle e il resto del tempo te lo dimentichi sul cotone delle tue posizioni.

Respira quindi! È un ladro. Fa fi nta di morire, in realtà ti sta derubando. Mi viene da ridere. Oddio, ridere no, sorridere. Sì, mi viene da sorridere, perché tutti questi pensieri, tutte queste pippe mentali me le faccio sempre qui sulla soglia della porta.

A metà tra quel “dentro” e quel “fuori” che è la mia vita. “La mia”! Quella di tutti forse, ma che ora è la “mia” perché i pensieri sono i miei, la porta è la mia, la luce che c’è fuori è la mia.

Sono qua sospesa sui passi stessi che dovrei fare e quelli che ho fatto in questo tempo, da sola e non e come sempre mi ritrovo a pensare, a fare la “fi losofa”.

A me il respiro manca, ne ho nostalgia. Non lo so usare ancora troppo bene forse, non riesco ancora ad avere quella proprietà della mia aria: se ne va, torna, accelera, rallenta … ma senza la mia proprietà, senza che io possa scegliere come gestirlo, come farlo muovere dentro di me e con me. Oh, come vorrei farlo muovere con me. Sentire che quella roba oleosa che mi entra in bocca chiamata aria scivoli dentro e fuori senza ostacoli. Libera.

Invece l’unica cosa che riesco a fare è interromperlo il respiro. Lo tengo zitto. Fermo. Dentro. Ancora più dentro. È stretto da una presa forte che non lo fa muovere, che non vuole che resti libero di poter fare come gli pare.

Gli interrompo la vita. Mi spiace farlo ma alcune volte è necessario, si deve fare per forza. Perché il Mondo non vuole che il respiro possa essere qualcosa di autonomo, di fresco. Deve essere regolamentato, controllato e se sa di vecchio, di stantio, meglio:

perché vuol dire che c’è qualcosa di “solito”, di “abituato” che oramai sa come va il Mondo.

Mi parlo di aria pesante quando sono sulla soglia. È buffo, ma poi nemmeno così tanto se ci penso bene: dietro ho la bolla di vetro con la solita aria, davanti ho una bolla più grande ma che magari qualche parte rotta ce l’ha che può permettermi di fare un salto ancora più fuori. Comunque una bolla più grande. Dove passa il vento, si sentono dei profumi di erba, di gente, di “altro”.

Dove ci sono loro. Che ti capiscono, non ti capiscono, ci provano o smettono di farlo. Che li abbracci, li stringi, gli batti con i pugni sul petto. Che vorresti non vederli più, sputargli in faccia ogni attimo di tristezza che hai vissuto e che li ami, da pazzi, con tutta te stessa e senza di loro saresti persa. Saresti niente.

Perché per quanto si possa essere da soli, loro sono quelli che ti riconoscono ad ogni cambiamento che fai, ad ogni moda che segui, ad ogni attimo che passi a cercare di essere qualcun’altra.

Loro ci sono. Sono lì fuori. Nella bolla più grande. Sempre pronti ad apparecchiare la tavola e farti tornare bambina. La loro bambina che cresce e che non smettono di volere felice, anche se spesso non sanno come fare per aiutarla in questo.

Autori: Sergio Aquino, Massimo Bisotti, Alberto Gherardi, Alessandro Greco, Andrea Malabaila, Carmine Monaco, Paolo Zardi.

03/06/2013 www.controlacrisi.org

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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