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Rivendicare il salario garantito e pieno è un obiettivo che accomuna chi il salario l'ha perso o chi non l'ha ancora visto

Post n°7899 pubblicato il 23 Giugno 2013 da cile54

Giovani senza speranza ma con la paghetta

Questa tuttavia non è la condizione dei giovani, che in maggioranza sono o disoccupati o hanno contratto a termine e/o part-time. La loro condizione sarebbe in effetti esplosiva se essi fossero arrivati con la "valigia di cartone", senza riserva alcuna, come avviene per gran parte degli immigrati. Tuttavia l'unità di riproduzione della forza lavoro e di consumo non è l'individuo, ma la famiglia, composta non solo dai genitori ed eventuali fratelli, ma anche dai nonni. La denatalità degli ultimi decenni ha prodotto il fenomeno per cui 4 nonni hanno spesso solo 2-3 nipoti, su cui riversano tutte le attenzioni, e parte dei risparmi.

Le lotte degli anni '60 e '70 hanno prodotto aumenti salariali che sono continuati fino alla fine degli anni '80. In quella fase anche una quota consistente di lavoratori dipendenti con più di un reddito in famiglia ha potuto mettere da parte una parte del salario e investirla soprattutto nell'acquisto della propria abitazione, ma anche di seconde case e in varie forme finanziarie (dai Bot-CCT alle obbligazioni e fondi d'investimento). Sono state accumulate notevoli "ricchezze", stimate pari a circa 7,5 volte il reddito disponibile annuo delle famiglie, uno dei rapporti più alti a livello mondiale. Come a dire che, in teoria, se restassero senza lavoro e senza reddito le famiglie italiane potrebbero mantenere il loro tenore di vita per 7 anni e mezzo vendendo il loro patrimonio. Ma anche qui siamo alla 'media del pollo', tra le enormi ricchezze di qualche migliaio di famiglie grandi borghesi, le cospicue ricchezze della media borghesia, e le modeste ricchezze - e povertà dei lavoratori dipendenti. Il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45,9% della ricchezza totale, mentre il 50% meno ricco delle famiglie possiede solo il 10% della ricchezza, e un 3% delle famiglie ha più debiti che proprietà.

L'indagine della Banca d'Italia sui redditi delle famiglie italiane (ultima disponibile quella del 2010) rileva che il 20% delle famiglie ha una ricchezza netta inferiore a 9.500 euro, un altro 10% è tra i 9.500 e i 50mila euro, mentre il 50% delle famiglie possiede più di 164 mila euro, e di questi il 10% più ricco è sopra i 559.500 euro. Ma le famiglie operaie si collocano per il 40% sotto i 9.500 euro e per il 52% sotto i 50 mila - sono quelle che non possiedono la casa. Un altro 29% possiede tra i 50 e i 209 mila euro, mentre il restante 19% si colloca sopra questa cifra. Le famiglie con capofamiglia impiegato si collocano per oltre la metà sopra i 164 mila euro, quelle di dirigenti, imprenditori e liberi professionisti occupano in prevalenza i 3 decimi più alti della ricchezza. Le famiglie di pensionati sono distribuite in maniera più uniforme, ma sono più presenti in quelli medio-alti.

Nella loro vita lavorativa molti pensionati anche ex operai hanno acquisito la proprietà della casa. Nel 1965 le famiglie proprietarie dell'abitazione erano il 47%; nel 2010 erano il 68,7%: 77% per i pensionati, 48,7% per le famiglie operaie e 75% per quelle impiegatizie. Mentre solo il 3% circa dei pensionati ha ancora un mutuo da pagare, lo sta pagando il 18% dei lavoratori dipendenti. Solo il 15,5% dei pensionati paga l'affitto, mentre lo paga il 40% degli operai (di più nelle aree urbane).

Anche i pensionati andrebbero divisi a seconda della provenienza sociale, ma è evidente che molti nonni, anche di origine non borghese, hanno acquisito delle "riserve" durante la loro vita lavorativa, più di quanto possano fare i futuri pensionati. In particolare, il possesso dell'abitazione è un fattore importante di "stabilizzazione sociale", sia perché, pagato il mutuo, libera una parte consistente del reddito e permette di sopravvivere anche a fronte della perdita del lavoro da parte di un membro della famiglia, sia perché spesso porta a una mentalità proprietaria e tendenzialmente conservatrice, su cui possono far leva campagne come quella di Berlusconi sull'IMU. E infine è una proprietà che passa in eredità alle nuove generazioni, che si trovano proprietarie anche senza avere un lavoro.

Insieme alle paghette dei nonni che si aggiungono a quelle dei genitori, l'ammortizzatore della famiglia allargata rende meno pesante l'impatto della crisi sui giovani, anche se ciò vale soprattutto per le famiglie di reddito medio-alto che non per quelle operaie che in maggioranza sono costrette a mandare i figli a lavorare subito dopo la media superiore.

Lottare per la garanzia del salario

Di questi aspetti occorre tenere conto se si vuole portare le giovani generazioni a una coscienza anticapitalista: il giovane disoccupato di oggi è diverso da quello che arrivava dal meridione o dal Veneto negli anni Sessanta, o dall'immigrato che arriva in Italia senza riserve e con la sola possibilità di vendere la propria forza lavoro per qualsiasi lavoro e prezzo per sopravvivere.

Tuttavia il prolungarsi della crisi e delle difficoltà esaurisce le riserve liquide delle famiglie proletarie in breve tempo, e la perdita della casa, che sta già avvenendo per decine di migliaia di persone che non riescono più a pagare il mutuo o l'affitto, è un fatto traumatico che può portare a una radicalizzazione politica, come dimostra l'estendersi delle occupazioni di case sfitte nell'ultimo periodo. E l'impatto dei giovani con un mercato del lavoro cinico che spesso li priva anche della dignità assoggettandoli a uno sfruttamento selvaggio - fino agli stage gratuiti per gli studenti, che ricordano le corvée feudali - è tale da portare a una convergenza ed empatia tra i nuovi proletari autoctoni e quelli immigrati che si stanno ribellando e organizzando a partire dai magazzini della logistica. Il capitalismo non cessa di riprodurre contraddizioni che i comunisti devono saper utilizzare in senso rivoluzionario, per scuotere le masse da decenni di torpore. La rivendicazione del salario garantito e pieno è una parola d'ordine semplice che può accomunare chi il salario l'ha perso o non l'ha ancora visto a causa della crisi, e chi ha solo un mezzo salario per il part-time o un salario intermittente perché lavora a termine. Salario come corrispettivo della disponibilità ad offrire la propria forza lavoro per vivere, non reddito in virtù di una generica e interclassista cittadinanza.

 

Pagine Marxiste n.33

dal testo: Crisi e disagio sociale

Il diverso disagio sociale dei giovani italiani e quello dei loro coetanei turchi e brasiliani,si manifesta in un modo molto diversio e  radicale , la protesta turca , da non confondere con le primavere arabe , dove l'economia industriale sta facendo passi da giganti anche per il decentramento di molte industrie europee in cerca di bassi salari. Si scontrano masse di giovani proletari e studenti con il potere conservatore di Erdogan , si possono paragonare ai giovani operai e studenti italiani del periodo 68/69 che si ribellavano contro una scuola conservatrice e bacchettona , o iniziavano lotte operaie per aumenti salariali e diritti , questo sta avvenendo in questi giorni anche nella nuova superpotenza emergente brasiliana , ribellioni giovanili contro le loro borghesie nazionali .

In Italia come fa notare l'articolo ,erano i giovani con le valigie di cartone , che lasciati i loro campi agricoli entravano nelle grandi industrie ,passavano da semplici contadini a proletari dell'industria , da loro partivano quelle lotte operaie che portavrono allo statuto dei lavoratori .

Oggi le grandi fabbriche chimiche ,siderurgiche , sono sparite , si è esaltato il piccolo è bello, ma hanno prodotto migliaia di lavoratori senza diritti sindacali , la grande fabbrica come scuola di coscienza di classe è morta , ma ha generato nuove leve di sindacalisti e politici borghesi che hanno fatto della politica e del sindacato un mestiere ben retribuito .

da zoppeangelo

21/6/2013

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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