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Gli italiani sono stati già colpiti ferocemente dai tagli a previdenza, assistenza, sanità, scuola e ricerca

Post n°4088 pubblicato il 04 Dicembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Il taglio al cinque per mille è miope e vessatorio

Che la "legge di stabilità" fosse l'ennesimo contributo alla destabilizzazione del Paese, lo si era capito già da un pezzo. Il taglio del 75% al 5 per mille ne è solo la prova definitiva, un provvedimento miope, vessatorio, contraddittorio e illiberale.

E' miope: forse lo Stato risparmierà qualcosa (300 milioni), ma a caro prezzo. E' come chi si ipoteca la casa sapendo che non potrà pagare il debito. La casa, qui, è la società italiana, attraversata da una crisi economica che un giorno è detta finita e il giorno dopo viva e vegeta e soprattutto da una crisi di coesione sociale, di cui non mancano le manifestazioni in questi giorni. Un gap tra ricchi e poveri che cresce, famiglie sempre più fragili, giovani laureati che partono, precari senza pensione futura, anziani sempre più soli, abbandonati anche dai giovani stranieri che non avevano voluto accogliere, e che ora non hanno più voglia di fare i badanti. Cosa succede quando al crescere delle tradizionali forme di povertà si somma lo sfilacciamento progressivo del tessuto sociale? In che modo una società divisa e senza prospettive dovrebbe sopportare ancora tagli ai servizi, costi crescenti per assistenza e salute, disoccupazione, stringendo la cinghia per tornare a una fase di sviluppo? Potrebbe, se fosse ricca di capitale sociale. Ma oggi il maggior produttore di capitale sociale è il non profit, che non è sostenuto, ma prima sfruttato e poi depauperato di risorse.

E' vessatorio: la gente è stata già molto colpita dai tagli a previdenza, assistenza, sanità, scuola e ricerca...E' stato azzerato il fondo per la non autosufficienza, quello per le politiche della famiglia ridotto a poco più di un quarto, come quello per la casa. Le pensioni di accompagnamento sono state tolte anche a chi ne aveva diritto, in molte regioni aumentano le prestazioni a pagamento, o quelle con ticket onerosi. A Roma una persona con disagio mentale deve pagare 320 euro per sentirsi dire che non può fare la patente. Le nuove forme di povertà e di fragilità non hanno risposta nei servizi pubblici, se non in poche isole felici. Solo il non profit riesce a rispondere ad alcuni bisogni, a creare reti di sostegno. Ma le convenzioni sono al ribasso e il loro numero cala, come i bandi per i progetti; ci sono Regioni che non pagano le case famiglia e i centri di accoglienza da due, tre anni; il servizio civile è stato decurtato e gli adempimenti burocratici (costosi) aumentano... Si dice che il non profit non deve dipendere dallo Stato, deve essere sostenuto dalla società, ed è vero, ma allora i cittadini devono anche pagare per mantenere in vita l'unico settore in cui ancora hanno fiducia (come per ambiente, cultura, formazione e tutto quanto è bene comune).

E' contraddittorio: è inaccettabile che il ministro Sacconi pubblichi un Libro Bianco sul Welfare e da due anni teorizzi un nuovo welfare all'insegna di "meno Stato più società", e poi il governo di cui fa parte non perda occasione per togliere risorse alla società in questione. Sussidiarietà non significa che lo Stato se ne lava le mani; la società non può attivarsi contro o nonostante lo Stato, semmai in collaborazione. Anche il federalismo conta sulla società e sulle sue risorse. La scelta di non sostenerla è, dunque, contraddittoria anche col progetto politico apparentemente tanto amato dal governo.

E' illiberale: i cittadini, già traditi dalle promesse elettorali, avevano una possibilità di scelta: destinare una piccola parte delle loro tasse a un soggetto o a un progetto scelto da loro stessi. E l'opportunità di indicare le proprie priorità, premiare chi ritenevano meritasse fiducia, contribuendo a sottrarlo a clientelarismi politici e capricci delle amministrazioni. Ora si pagano più tasse, in cambio si hanno meno Stato e società, ed è stata ridimensionata anche questa possibilità.

Al non profit che chiedeva una legge bipartisan per stabilizzare il 5 per mille, lo Stato risponde punendolo. Ma un'altra scelta c'era: non radicale come l'abolizione delle province, ma 300 milioni non si potevano togliere ai 24 miliardi per le spese militari? I 20 milioni per la mini-naja non si potevano restituire al servizio civile?

Ora qualcuno prova a insinuare, giocando a innescare la guerra tra poveri, che il 5 per mille è stato tagliato per favorire i giornali d'opinione. Peccato che sono proprio quei giornali i più attenti alle tematiche del mondo del volontariato e alle conseguenze della crisi sociale supplendo spesso alla latitanza del servizio pubblico, nel quale spicca solitaria l'eccezione Radio Tre che ieri ha dedicato l'intero palinsesto al mondo del volontariato.

Francesca Danese

presidente Cesv Lazio

03/12/2010

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