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« Dietro il volto efficien...Una societa malata termi... »

Maria Nadotti Giornalista, saggista e traduttrice. Ha curato il volume "Dieci in paura"

Post n°4092 pubblicato il 06 Dicembre 2010 da cile54

«Chi manipola la paura può controllare la società. Per questo viene alimentata»

 

«Realizzando questo libro ci siamo interrogati anche sulla storia della paura nel mondo occidentale, su un elemento ricorrente che emerge in ogni condizione di crisi: il fatto che il potere del momento indichi un potenziale capro espiatorio cui attribuire lo stato di disorientamento e di pericolo della società. La caccia al capro espiatorio finisce per offrire una tregua al corpo sociale, placa le sue paure, per quanto infondate possano essere. Basti pensare a quello che è accaduto negli Stati Uniti negli anni Cinquanta con la caccia alle streghe del maccartismo. E in questo momento storico i capri espiatori si spostano velocemente, cambiano molto spesso in funzione delle paure che servono, apparentemente, a placare».

Giornalista, saggista, consulente editoriale e traduttrice, Maria Nadotti racconta così la genesi di Dieci in paura, il volume collettivo che ha recentemente curato e che è stato pubblicato dalle edizioni Epoché (pp. 211, euro 14,00) e che può essere presentato come un valido antidoto all'isteria sociale di massa che ha accompagnato negli ultimi anni lo sviluppo delle politiche xenofobe, securitarie e di stigmatizzazione delle diversità nel nostro paese come in buona parte dell'Occidente. Dieci scrittori e poeti italiani, tra cui Maria Attanasio, Maurizio Braucci, Luca Rastello e Giulia Niccolai si sono misurati «con il feuilleton eccitato e monocorde che ha preso il posto dell'analisi politica e dell'informazione» per aiutarci a smontarlo attraverso altrettante «contro-narrazioni amare ed esilaranti, dure e tenere, per capire in che modo un'emozione arcaica come la paura abbia ripreso possesso delle nostre esistenze coniugandosi con la sempre più strillata promessa/garanzia di tutela». Non un esercizio di stile, ma una chiave utile a ridefinire uno spazio della realtà liberato dal ricatto delle ansie e dei timori, visto che oggi la paura è il principale strumento di propaganda politica e il più sfruttato dei temi mediatici: mettere al centro delle questioni il senso di insicurezza che le si accompagna fa vincere le elezioni, innalza gli indici di ascolto e, soprattutto, incontra l'approvazione dei cittadini.

 

"Dieci in paura" racconta e analizza il ruolo per così dire "sociale" svolto oggi da questo sentimento nel nostro paese. Di cosa stiamo parlando?

Dobbiamo partire da un chiarimento. Credo che la paura sia ciò che ha permesso agli esseri umani di transitare dall'epoca delle caverne ad oggi, senza correre il rischio di estinguersi. Senza la paura, vale a dire ad esempio la capacità di capire quali sono i nostri limiti, quali le cose che è meglio non fare forse oggi l'uomo non ci sarebbe più. Perciò la paura di per sé è un sentimento nobile, molto umano e anche utile. Detto questo, negli ultimi decenni, come era già accaduto in altre epoche storiche, la paura, da sana e utile si è trasformata in qualcosa di autonomo rispetto alla realtà: quasi una sorta di paranoia collettiva facilmente manopolabile da chi la voglia volgere ai propri fini. In particolare il libro nasce dal desiderio di analizzare il modo in cui gli organi di informazione e la "macchina" della politica hanno contribuito a volgere l'isteria di massa che caratterizza quest'epoca, e che loro stessi alimentano, in una forma di dominio e di controllo sociale. Un gruppo di scrittrici e scrittori italiani si sono così cimentati proprio con le forme di costruzione di questa paura artificiale, cercando anche di indicare i possibili percorsi attraverso i quali provare a smontarla.

 

Ma perché la paura può trasformarsi in uno strumento così forte di controllo, perché manipolarla può assicurare il dominio su un'intera società o, come accaduto dopo l'11 settembre, su quella parte del mondo che si autodefinisce come Occidente?

In realtà se noi spostiamo lo sguardo dalla condizione collettiva a quella individuale ci rendiamo immediatamente conto di come non vi sia modo migliore di esercitare il proprio potere su qualcuno che sfruttando le sue paure. Perciò contribuire ad alimentare in una società una sorta di paura indistinta che si alimenta ogni giorno di nuovi allarmi significa spingere le persone ad essere poi in balia di chi si presenta come garante della sicurezza e dell'ordine. Per fare un esempio concreto, la tragedia dell'11 settembre rappresenta un avvenimento che ha materializzato molta ansia sociale. Ma che uso è stato fatto di quella vicenda? Coloro che hanno deciso di utilizzare la paura provocata dall'attacco a New York per i propri scopi sono riusciti a farsi dare una sorta di delega in bianco per intervenire su una serie di cose che nulla avevano a che fare con l'attentato. Negli Stati Uniti l'avvio della guerra nel 2001 è stato reso possibile dal fatto che quando una società è così spaventata e arriva qulacuno che dice "Io vi salverò", in molti sono pronti a rispondere "Sì, fallo", anche se chi si presenta come salvatore è magari, come in questo caso, parte del pericolo. Si tratta di un meccanismo psicologico antico, di nuovo ci sono solo le forme che sta assumendo e la velocità con cui si propaga.

 

Il libro è nato da un confronto con gli animatori del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza visto che l'evocazione mediatica della paura si accompagna spesso a una fotografia del "sociale" come pericoloso, basti pensare alla stigmatizzazione sistematica dei migranti. Come sono andate le cose?

La scintilla che ha fatto partire l'intero progetto è arrivata proprio dal Cnca che si occupa da anni di tutto quello che potremmo definire come "disagio sociale". Gli animatori del Cnca si sono resi conto che malgrado nel nostro paese alcuni indicatori, come ad esempio quelli relativi alla criminalità, non abbiano fatto che migliorare, nel senso che il numero dei crimini commessi è progressivamente diminuito, la paura non ha fatto che crescere nel paese. Come mai tra la realtà e la percezione soggettiva o di gruppo che se ne ha ci sia questo evidente gap? Perché su questo c'è chi ha lavorato, sia in termini politici che comunicativi, proponendosi come vero e proprio imprenditore della paura. Il punto è che tra la realtà e la sua percezione da parte degli individui c'è lo spazio dell'immaginario e del nostro inconscio che possono essere costruiti e indirizzati. E' a partire da questa considerazione che è nato "Dieci in paura", con l'idea che si potesse affrontare la macchina narrativa che abitualmente alimenta il formarsi di paura infondate dal punto di vista contrario: vale a dire smontando le paure e rimettendo i piedi per terra.

Guido Caldiron

05/12/201

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Roma, 12 maggio 1977

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