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I termini reali per difendere il proprio contratto e per sbugiardare la pubblicità televisiva del governo

Post n°4188 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da cile54

La precarietà si combatte anche in tribunale

Con la legge Treu, il legislatore ha iniziato a prevedere ipotesi di lavoro cosiddetto flessibile attraverso il quale consentire alle aziende di utilizzare e sfruttare manodopera assunta da soggetti terzi, senza assunzione dei rischi di impresa che un qualsiasi rapporto di lavoro deve comportare.

Ed è attraverso tale sdoganamento che si è potuti arrivare al secondo passo del diabolico percorso, ovvero alla legge 30/03, attraverso cui si è compiuto un notevole salto in là nella codificazione del precariato prevedendo - con il tentativo di sovvertire il principio generale per cui ogni posto di lavoro nasce a tempo indeterminato salvo eccezioni - che dette eccezioni venissero trasformate in regola, consentendo all'impresa di potere disciplinare rapporti di lavoro di fatto pienamente subordinati con contratti che di tale tipologia nulla hanno a che vedere.

Con la riforma in questione il passo è definitivo ed il piano si sposta verso l'unico contesto i cui si fanno i giochi, ovvero quello processuale e della tutela effettiva dei diritti del lavoratore.

La precarietà ormai imposta e codificata sul piano dei rapporti sostanziali, viene ora introdotta sul piano delle conseguenze delle illegittimità del datore di lavoro, vuoi creando ogni artificio per rendere più difficile al lavoratore l'esercizio dei diritti connessi all'articolo 24 della Costituzione, vuoi tentando di abbattere completamente i costi e le sanzioni che le illegittimità del datore di lavoro dovrebbero ancora prevedere.

Il percorso parlamentare che ha portato alla riforma è stato poi assolutamente condiviso da tutte le forze politiche. A ciò si deve aggiungere che nei due anni che ci son voluti per l'emanazione della riforma nessuno dei sindacati confederali ha sollevato la ben che minima obiezione alle modifiche che si stavano introducendo.

Vediamo ora in breve alcune delle modifiche introdotte:

1) Viene introdotta la possibilità di spostare le vertenze di lavoro dall'autorità giudiziaria a collegi arbitrali, privatizzando in questo modo la funzione dei giudici del lavoro.

2) Viene introdotta la possibilità di certificare la regolarità dei contratti di lavoro e quindi la volontà del lavoratore. In questo modo il ricatto che prima era implicito nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, oggi viene addirittura ad essere certificato.

3) Viene introdotto l'obbligo di impugnazione entro 60 giorni di ogni forma di cessazione (scadenza, interruzione) di tutti i contratti atipici (contratti a termine, collaborazioni a progetto, somministrazione etc.). Tale obbligo è inoltre esteso nei casi di allontanamento verbale dal posto di lavoro.

4) Viene infine forfetizzato il risarcimento del danno dovuto al lavoratore che si sia visto riconoscere l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Fino ad oggi il risarcimento era commisurato alle mensilità che il lavoratore aveva perso per effetto dell'illegittima cessazione del rapporto di lavoro. D'ora in poi il risarcimento verrà liquidato fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione.

Questo il quadro generale. Un quadro che, tuttavia, presenta caratteri tetri, foschi e di drammatica previsione per i diritti di milioni di cittadini-lavoratori precari, che si vedranno praticamente azzerate le già residue di resistere alla forza d'urto del capitale.

Occorre comunque evidenziare che la riforma è stata scritta in modo assolutamente poco chiaro ed in alcuni casi presenta evidenti vizi di legittimità costituzionale. Ed è forse questo l'unico aspetto che può essere di conforto.

Al riguardo recentemente il Tribunale di Busto Arsizio, nell'ambito di un giudizio che aveva ad oggetto l'impugnazione di un contratto a termine, si è pronunciato evidenziando proprio tali lacune.

In particolare, il Giudice, dopo aver dichiarato l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, nell'applicare la norma introdotta dalla riforma che prevede la forfettizzazione del risarcimento nella misura da 2,5 a 12 mensilità, ha statuito che, in ossequio ai principi comunitari, la penale in questione non può che applicarsi in aggiunta al normale risarcimento che viene determinato nelle mensilità che il lavoratore avrebbe percepito dal momento che è stato lasciato a casa all'effettivo reintegro, che rimane comunque dovuto al lavoratore - anche dopo l'entrata in vigore della riforma - perché diretto a compensare la perdita di reddito connessa all'estromissione dal posto di lavoro (cd danno conseguenza), laddove, appunto la sanzione prevista dal collegato lavoro è invece da riconnettersi al mero ambito ed alla mera questione di una apposizione di termine intervenuta in contrasto con la legge (cd. danno evento).

Come si può vedere, se l'intento del legislatore era quello di limitare il costo economico delle illegittimità poste in essere dal datore di lavoro, il risultato ottenuto è completamente opposto ed il datore di lavoro in questione dovrà sborsare una somma superiore a quella in precedenza prevista.

Staff legale San Precario

30/12/2010

 
 
 
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Roma, 12 maggio 1977

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