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Tunisia, rivolta nel sangue: 66 morti. Un regime oppressore che tanto piace al governo italiano

Post n°4238 pubblicato il 15 Gennaio 2011 da cile54

Un’insurrezione per il pane e per la libertà

 

Tra le foto che documentano il massacro tunisino, ce n’è una toccante più di altre: è il cadavere di un giovane, bellissimo anche da morto, disteso su una barella e carezzato in volto da due mani compassionevoli. E’ un cristo da Pietà. E’ l’icona straziante della sorte toccata a una gioventù fra le più vivaci e istruite dell’area euro-mediterranea che oggi paga per i peccati di una dittatura feroce e rozza, checché ne dicano i governanti francesi e il “nostro” ministro degli esteri. Un regime tirannico e corrotto, ottuso e paranoico, che in poco più di un ventennio ha fatto dell’intero Paese una galera a cielo aperto. In questa prigione estesa, la libertà di espressione è conculcata. Molti giornali, anche europei, sono proibiti. Gli oppositori sono sorvegliati, minacciati, rapiti perfino all’estero, imprigionati e torturati in patria. Gli artisti, i blogger, i rapper sono considerati nemici pubblici da sequestrare e incarcerare. “Qui non si parla di politica”, come al tempo del regime mussoliniano: neppure per strada poiché ovunque c’è l’orecchio di un agente in borghese dietro le tue spalle. Ovunque, come nel Ventennio italiano, in luoghi e occasioni pubbliche, perfino in bottegucce sperdute nel deserto, campeggia il ritratto del tiranno: rifiutarsi di esporlo significherebbe rischiare gravi ritorsioni.

I segni della dittatura sono disseminati dunque in ogni dimensione e recesso del Paese: è curioso che pochi li colgano fra le schiere di turisti occidentali che invadono la Tunisia, fra i governanti francesi e italiani che sono soliti frequentarne gli hotel a cinque stelle.

Certo, la pressione che infine ha fatto saltare il tappo della bombola tunisina riguarda le peculiarità di un Paese che ha conosciuto un passato di modernizzazione e di straordinarie riforme (in senso proprio) e che quindi ha alimentato aspettative sociali alte ed estese. Bourguiba, infatti, ha lasciato in eredità un incredibile sviluppo della scolarizzazione pubblica, un sistema sanitario diffuso ed efficiente, nonché leggi per la parità di genere che all’epoca erano più avanzate di tante europee: si pensi alla legge sull’aborto e alla diffusione dei consultori. Anche per questo la disperazione giovanile è tanto acuta da esprimersi non solo con la rivolta ma anche col suicidio. La schiera di laureati che un tempo trovavano impiego nei più vari settori pubblici è sottoposta da anni a un drammatico processo di declassamento, destinata come è alla disoccupazione o a lavoretti precari e umili. In una società fatta per lo più di persone con un senso profondo della dignità e dell’orgoglio, la hogra, il sentirsi umiliati e disprezzati, ha contribuito a far esplodere la rivolta. L’Europa-fortezza ha alimentato gravemente questa serpeggiante disperazione sociale. Fino a poco tempo fa restava, come ultima, la speranza di emigrare verso l’Italia o la Francia. Oggi non più, a causa della crisi economica che colpisce pure i paesi europei e per colpa del proibizionismo anti-migrazione esercitato con ogni mezzo, anche estremo, e con la complicità attiva degli stessi Stati della riva sud del Mediterraneo.

Ma la lunga e coraggiosa rivolta tunisina è anche e soprattutto contro il regime oppressivo e dispotico di Ben Ali. E’ un’insurrezione per il pane e per la libertà. Non è solo, come si è scritto, la sollevazione disperata di giovani disoccupati senza futuro, colpiti come ovunque dagli effetti del neoliberismo e della crisi economica mondiale. Non è solo una rivolta giovanile. Sta diventando, invece, un movimento politico che va oltre le rivendicazioni sociali dei giovani laureati-disoccupati e che coinvolge attori sociali i più vari: operai, sindacalisti, artisti, liceali, avvocati, medici, insegnanti, intellettuali, professori universitari, altri settori delle classi medie. Ormai il regime, infatti, ha perso consenso e legittimità perfino fra le élite del Paese. Solo le élite governanti e affariste europee continuano a sostenerlo con impudenza; con stoltezza, in fondo, dato che esso è destinato ad essere travolto da questa sollevazione. La feroce repressione che sta esercitando, la scia di cadaveri che lascia durante la sua agonia non serviranno a scongiurarne la fine. Malgrado il bagno di sangue, la rivolta non si fermerà finché il dittatore non sarà costretto ad andarsene. A meno che non sia deposto da un colpo di stato militare. Spetterebbe alla comunità internazionale, agli organismi dell’Unione europea, ai suoi singoli paesi vigilare ed esercitare pressioni perché ciò non accada. Spetta alle forze di sinistra europee e soprattutto ai movimenti di base esprimere solidarietà attiva verso il popolo tunisino in rivolta per contribuire a scongiurare quest’esito nefasto.

 

Annamaria Rivera

14/01/2011

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