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« Solo il 5% degli anziani...Le minacce per il futuro... »

Come è cambiata la criminalità organizzata? Lo raccontano 23 scrittori in un libro

Post n°4281 pubblicato il 26 Gennaio 2011 da cile54

Il popolo dell'antimafia risponde a Berlusconi: «Strozzateci tutti»

 

«Se trovo quelli che scrivono libri di mafia e vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura, giuro che li strozzo». Lo disse Silvio Berlusconi, a conclusione di un discorso, pronunciato il 28 novembre 2009, il cui tono mal si addiceva, come spesso gli capita, ad uno statista. La frase, a questo serviva, fece il giro del mondo e venne presto ribattezzata come "L'editto di Olbia" dal nome della cittadina sarda in cui venne enunciata. "Strozzateci tutti" hanno risposto di getto un gruppo di scrittori provenienti dalle più diverse discipline, dal giornalista al docente universitario, allo psichiatra e allo psicologo, diverse scritture professionali di persone che già si sentivano parte di un fronte comune e che si sono ritrovate a realizzare un ponderoso volume curato da Marcello Ravveduto e in cui si avvicendano 23 scrittori.

Pubblicato da Aliberti Editore, "Strozzateci tutti" testimonia in fondo di come ci sia la possibilità di raccontare e di costruire una cultura e un sentire sociale antimafia dal basso. «Silvio ci ha dato la stura - racconta Marcello Ravveduto - così è uscito fuori questo lavoro diviso in due sessioni, mafie quotidiane e mafie interpretate. Nella prima a scrivere sono soprattutto i giornalisti e le persone che osservano il divenire dei sistemi mafiosi e delle resistenze che si costruiscono per arginarle, nella seconda ci sono approfondimenti di carattere storico e di analisi dell'immaginario prodotto con la cultura mafiosa». Inevitabilmente il testo, anzi i testi, pur essendo incentrati sulla criminalità organizzata finiscono con il dover fare i conti con le grandi questioni sociali irrisolte, come l'assenza di welfare e di politiche di sviluppo che non siano la ripetizione fallimentare di una industrializzazione che raramente ha costruito economia, ma anche con le nuove questioni, prime fra tutte la presenza forte di cittadine e cittadini migranti di prima e seconda generazione. «Ma c'è stato anche chi, partendo da Parigi, ha cercato di raccontare di come queste organizzazioni riescano a conquistarsi spazi anche in Europa, creando economia inquinata; chi attraverso la "Linea della palma" ha definito la presenza delle grandi organizzazioni meridionali in ogni regione italiana; chi ha cercato interpretazioni storiche e sociologiche affrontando temi come il sicilianismo, l'utilizzo strumentale fatto dalle n'drine della cultura popolare calabrese».

Ravveduto ha una certa ritrosia ad utilizzare il termine "percorso alternativo": «Perché il nostro lavoro cerca di leggere la realtà attuale, guarda alla crisi, si interroga su come l'economia mafiosa insista su quella che non lo è. E' un tentativo portato avanti da chi vive nei territori perché così come esiste un "ceto" dell'antimafia, esiste un popolo dell'antimafia, esiste una lettura dal basso per capire cosa accade e pensare a forme di resistenza popolare e civile. L'idea, peraltro non nuova, è quella di dar vita ad una rete e non ad una classe dirigente. La classe dirigente andrebbe costruita per avere un positivo impatto istituzionale. Se ci fosse e riuscisse ad intersecare il proprio agire con una rete sociale, si potrebbero pensare insieme politiche sociali progredite, cosa che ad oggi si intravvede raramente».

Il curatore insiste molto sulla necessità di lavorare sulla tutela delle vittime e sulla prevenzione: «Le leggi come quella sul racket o sull'usura ci sono ma non si riesce a dare risposta a tutte le esigenze che lo richiedono, col risultato che sembra di applicare un cerotto su uno squarcio. Evoca poi un rischio serpeggiante: «Negli anni passati avremmo dovuto investire di più nello sviluppo locale, nell'economia non profit e del terzo settore. Si sarebbe potuto e si potrebbe ancora fare tanto investendo sui beni confiscati alla mafia che producono economia legale. Ma si è perso tempo e la camorra tenta già di entrare nel terzo settore. Non è casuale. Come negli anni Settanta tentava di entrare nei mercatini dei quartieri operai, quando la classe operaia costituiva un argine al potere dei clan, ora tenta di infiltrarsi in settori dove l'etica nel lavoro per produrre reddito è molto forte. Si producono servizi alla società mettendoci dentro tanto impegno e questo è un valore aggiunto che prefigura altro modello di sviluppo. Non è un caso che a qualcuno dia fastidio». Secondo Ravveduto c'è da lavorare molto sull'immaginario che è diventato più forte della realtà, si è costruito un sistema valoriale di eroi contrapposti, da una parte il modello figlio di una dinamica piccolo borghese, del martire, dall'altra quella del super uomo mafioso: «Del resto in certe dimensioni se non sei mafioso non sei un uomo. Io considero ancora valida la lezione di Borsellino secondo cui di mafia si deve parlare, bisogna evitare però di cadere in una dimensione da stereotipo che è tipica di molta letteratura e di molta cinematografia. Penso a due punti diametralmente opposti: Roberto Saviano e Cetto Laqualunque. Il magnifico personaggio di Albanese, vero mafioso, dice giustamente "Io sono la realtà e voi siete la fiction", di fatto anche Saviano potrebbe essere considerato il frutto di una fiction. C'è anche chi afferma che solo Saviano è la realtà, io sono per una "terza via" in cui bisogna lavorare costruendo competenze per non sedimentare stereotipi. Del resto tornando al nostro lavoro io sono convinto che ci siano i professionisti dell'antimafia e i dilettanti/professionisti dell'antimafia, quelli che si improvvisano esperti per una inchiesta».

A parlargli di come questi ragionamenti possano incontrarsi con le difficoltà nel mondo dell'informazione, di come chi prova anche a ragionare di mafia in maniera diversa si ritrovi in condizioni di minorità e di rischio di estinzione, la risposta è netta: «Mi rendo conto di come rischino di chiudere testate storiche che rappresentano partiti e movimenti reali e non sono fra coloro che credono che queste voci debbano sopravvivere da sole o soccombere. In casi come il vostro l'intervento dello Stato è doveroso. Penso però che con certi meccanismi di finanziamento pubblico si siano mantenuti in vita organi inesistenti che appaiono solo per fare propaganda a qualcuno e penso, fatto più grave, che al consociativismo della politica si sia aggiunto il consociativismo dell'informazione. Accade anche perché non c'è ancora una società civile preparata a stabilire un rapporto con l'informazione. Bisognerebbe poter discutere di pluralismo reale mettendo anche a sintesi le occasioni che potrebbero venirci dal digitale e dal satellitare per scardinare il monopolio. Per il resto il sistema delle comunicazioni è sotto tutela governativa. Esistono gruppi editoriali attraversati dallo stesso prodotto. Torno su Saviano non perché io sia contro di lui ma perché anche lui è all'interno di un sistema che lo costringe: pubblica per Mondadori e scrive sull'Espresso, due gruppi diversi, senza che questo crei problemi. Tanto è che chi ha provato a scrivere contro Saviano è stato pubblicato dal Manifesto e da voi».

Marcello Ravveduto vuole chiudere però sulla mafia di oggi: «Le organizzazioni che sparano sono le più povere, sono le bande che si contendono alcune nicchie di mercato illegale o che tentano di avvicinarsi a quelle potenti per poterci convivere. Ha ragione Umberto Santino quando parla di "borghesia mafiosa" di una economia sporca integrata in quella legale con i "Casalesi" in Lombardia che gestiscono lo smaltimento dei rifiuti, con le imprese edili chiacchierate che ricevono il certificato antimafia. C'è la crisi e l'economia ha minore attenzione dello Stato, mentre la mafia non vuole che lo Stato trovi pretesti di ordine pubblico per entrare nei territori. Mi viene in mente Carmine Alfieri, un boss che non chiedeva il pizzo nel suo paese, non permetteva che si spacciasse né che si prestasse ad usura. E' rimasto latitante per modo di dire a casa sua per quasi 20 anni».

 

Stefano Galieni  

25/01/2011

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